Filatelia e Storia di Claudio Albertazzi - C.F. LBRCLD67M31A944V - Via Primavera 9 – 40063 Ca’ del Costa – Monghidoro (BO) – Italy – Tel. 051-6555270 Cell. 340-4847236
Si avvisano i visitatori che questo sito utilizza dei cookies per fornire servizi ed effettuare analisi statistiche anonime.  Continuando la navigazione in questo sito si acconsente all’uso.
Filatelia e Storia
  • Home
  • Chi sono
  • Filapedia
    • Africa >
      • Algeria
      • Angola
      • Benin
      • Botswana
      • Burkina Faso
      • Burundi
      • Camerun
      • Capo Verde
      • Centrafrica
      • Ciad
      • Comore
      • Costa d'Avorio
      • Egitto
      • Eritrea
      • Etiopia
      • Gabon
      • Gambia
      • Ghana
      • Gibuti
      • Guinea
      • Guinea-Bissau
      • Guinea Equatoriale
      • Kenia
      • Lesotho
      • Liberia
      • Libia
      • Madagascar
      • Malawi
      • Mali
      • Marocco
      • Mauritania
      • Mauritius
      • Mozambico
      • Namibia
      • Niger
      • Nigeria
      • Repubblica del Congo
      • Repubblica Democratica del Congo
      • Ruanda
      • São Tomé e Príncipe
      • Senegal
      • Seychelles
      • Sierra Leone
      • Somalia
      • Sudafrica
      • Sudan
      • Sudan del Sud
      • Swaziland
      • Tanzania
      • Togo
      • Tunisia
      • Uganda
      • Zambia
      • Zimbabwe
    • Americhe >
      • Antigua e Barbuda
      • Argentina
      • Bahamas
      • Barbados
      • Belize
      • Bolivia
      • Brasile
      • Canada
      • Cile
      • Colombia
      • Costa Rica
      • Cuba
      • Dominica
      • Ecuador
      • El Salvador
      • Giamaica
      • Grenada
      • Guatemala
      • Guyana
      • Haiti
      • Honduras
      • Messico
      • Nicaragua
      • Panama
      • Paraguay
      • Perù
      • Repubblica Dominicana
      • Saint Kitts e Nevis
      • Saint Vincent e Grenadine
      • Santa Lucia
      • Suriname
      • Trinidad & Tobago
      • Uruguay
      • USA
      • Venezuela
    • Asia >
      • Afghanistan
      • Arabia Saudita
      • Armenia
      • Azerbaigian
      • Bahrain
      • Bangladesh
      • Bhutan
      • Brunei
      • Cambogia
      • Cina
      • Corea del Nord
      • Corea del Sud
      • Emirati Arabi Uniti
      • Filippine
      • Georgia
      • Giappone
      • Giordania
      • India
      • Indonesia
      • Iran
      • Iraq
      • Israele
      • Kazakistan
      • Kirghizistan
      • Kuwait
      • Laos
      • Libano
      • Maldive
      • Malesia
      • Mongolia
      • Myanmar
      • Nepal
      • Oman
      • Pakistan
      • Qatar
      • Singapore
      • Siria
      • Sri Lanka
    • Europa
    • Oceania
  • Trivial
  • Blog
  • Privacy

La nascita di Niccolò Machiavelli

3/5/2015

0 Commenti

 
Picture
1932. Pro società nazionale Dante Alighieri. Ritratto.
Picture
1969. 5º centenario della nascita
di Niccolò Machiavelli. Ritratto.

Oggi è il 546° anniversario della nascita di Niccolò Machiavelli.
Scrittore e politico nato a Firenze il 3 maggio 1469, compiuti gli studi classici nel 1498 venne nominato segretario della seconda cancelleria della repubblica fiorentina, instaurata in seguito alla cacciata, nel 1494, di Piero dei Medici. Durante la complessa fase storica delle guerre d'Italia, Machiavelli divenne, di fatto, uno dei più importanti agenti diplomatici fiorentini, strettamente legato al gonfaloniere a vita Piero Soderini. Machiavelli fu mandato in Francia (1502, 1503, 1510), presso Cesare Borgia (1502), al conclave da cui doveva risultare eletto Giulio II (1503), presso l'imperatore Massimiliano (1507-1508), al concilio di Pisa (1511). Frutto di queste missioni diplomatiche furono vari scritti di occasione, nei quali analizzò eventi o situazioni di cui era stato testimone diretto o su cui era stato spinto a documentarsi. Erano già chiari, in questi opuscoli, i temi che avrebbe sviluppato: la crisi italiana veniva spiegata con le limitate dimensioni degli stati, con la corruzione, con la mancanza di eserciti stabili (fondamentale fu, a questo proposito, l'incarico che Machiavelli ottenne, nel 1505, di organizzare una leva di truppe nel Mugello e di creare una magistratura che si occupasse, a Firenze, degli affari militari). Questo periodo di intensa attività pubblica si chiuse nel 1512, con la caduta della repubblica e il ritorno dei Medici. Accusato di aver preso parte a una congiura contro di loro, Machiavelli fu imprigionato per un anno. Dal 1513 si ritirò nel suo podere presso San Casciano dove, libero ormai da ogni impegno di stato, poté dedicarsi alla stesura delle sue grandi opere storico-politiche (i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, 1503-1521; Il Principe, 1513; Dell'arte della guerra, 1519-1520) e letterarie (la Mandragola, 1518) in cui vengono individuati i fondamenti della scienza politica e dello stato moderno. Per Machiavelli la politica è arte del conseguimento e della conservazione del potere e quest'ultimo si identifica con un ordine che non deriva dal rispetto di principi etici o religiosi ma solo dalla capacità del "principe" (sia individuo o collettività) di mantenerlo, per amore o per tema. Tornato nelle grazie dei Medici riottenne, dal 1520, incarichi diplomatici. Gli furono commissionate le Istorie fiorentine, che portò a termine tra il 1520 e il 1525. Ma, restaurata la repubblica (1526), cadde nuovamente in discredito, poco prima di morire il 21 giugno 1527, a Firenze.
Per ricordare il grande politico fiorentino abbiamo scelto i due francobolli italiani che gli sono stati dedicati nel 1932 e nel 1969. Di entrambi abbiamo pubblicato l'immagine e una breve descrizione sopra.


La crudeltà e la clemenza: se sia meglio esser più temuti che amati o più amati che temuti

1 – Passando ora a trattare le altre qualità elencate prima, dico che ciascun Principe deve desiderare di essere ritenuto clemente, e non crudele: tuttavia deve stare attento a non usare male la clemenza. Cesare Borgia era ritenuto crudele; ciononostante con quella sua crudeltà aveva riordinato la Romagna, l’aveva unificata, pacificata e resa fedele. E se si considererà bene questo, si vedrà come il Valentino sia stato molto più clemente dei Fiorentini, che, per sfuggire alla fama di crudeltà, lasciarono che le fazioni provocassero la rovina di Pistoia. Pertanto, un Principe non deve preoccuparsi di essere considerato crudele, se questo può mantenere i suoi sudditi uniti e fedeli; perché con pochissime condanne esemplari, sarà più clemente di coloro che, per troppa pietà, lasciano che i disordini si aggravino fino a far nascere uccisioni e rapine, e queste solitamente recano danno all’intera collettività, mentre le condanne del Principe colpiscono il singolo individuo. Fra tutti i Principi, è impossibile che il Principe nuovo possa evitare di essere considerato crudele, perché gli Stati nuovi sono pieni di pericoli. E Virgilio stesso, per bocca di Didone, dice:

Res dura, et regni novitas me talia cogunt
Moliri, et late fines custode tueri

( la difficile situazione e il regno appena costituito mi costringono
a fare tali cose, e a difendere i confini con molti difensori, Eneide, I, 563-4)

Cionondimeno deve essere cauto prima di credere e di agire e non deve fare paura a se stesso, ma comportarsi in un modo che sia improntato a prudenza e umanità, che l’eccessiva fiducia non lo renda imprudente e l’eccessiva diffidenza non lo renda crudele.

2 – Nasce da ciò la questione se è meglio essere amato che temuto o viceversa. La risposta è che si vorrebbe essere l’uno e l’altro, ma poiché è difficile mettere insieme le due cose, risulta molto più sicuro, dovendo scegliere, esser temuti che amati, quando viene a mancare una delle due. Perché degli uomini in generale si può dire questo: che sono ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitivi davanti al pericolo, avidi di guadagno; e mentre fai loro del bene sono tutti dalla tua parte e ti offrono il sangue, i beni, la vita e i figlioli, come ho detto precedentemente, quando il bisogno è lontano; ma quando il bisogno ti si avvicina, ti si rivoltano contro. E quel Principe che si è interamente fondato sulle loro parole, se è privo di altre difese, va in rovina; perché le amicizie che si acquistano col denaro, e non con grandezza e nobiltà d’animo, si comprano ma non si possiedono e, al momento del bisogno, non le puoi spendere. Gli uomini hanno meno timore di colpire uno che si faccia amare anziché uno che si faccia temere; perché l’amore è tenuto su un vincolo basato sul dovere che, poiché gli uomini sono malvagi, è spezzato in ogni occasione in cui è in gioco il proprio tornaconto; ma il timore è basato sulla paura di essere punito, la quale non ti abbandona mai.

3 – Ciò nonostante il Principe deve farsi temere in modo che, pur non conquistando l’amore dei sudditi, non si faccia comunque odiare; perché essere temuti e nello stesso tempo non odiati sono due cose che vanno bene insieme; e questo succede sempre quando si astiene dal toccare i beni dei suoi cittadini e dei suoi sudditi e le loro donne; e se avesse la necessità di colpire un casato, deve farlo quando vi sia una giustificazione adeguata e un motivo manifesto; ma soprattutto deve astenersi dall’appropriarsi della roba degli altri: perché gli uomini dimenticano più in fretta la morte del padre che la perdita del patrimonio. Inoltre, i motivi per togliere i beni a qualcuno, non mancano mai; e sempre chi comincia a gestire il potere con rapine trova l’occasione per appropriarsi della roba altrui; al contrario le occasioni per agire contro un casato sono più rare e vengono meno in più breve tempo.

4 – Ma è soprattutto quando il Principe si trova col suo esercito e comanda un gran numero di soldati, che è necessario che non si curi della fama di crudele; perché senza questa nomea nessuno ha mai tenuto unito un esercito né disposto ad alcuna impresa. Fra le mirabili imprese di Annibale si annovera questa: che, pur avendo un esercito grandissimo, insieme di molte stirpi di uomini, portato a combattere in terre straniere, non era mai sorto alcun conflitto né fra loro né contro il comandante così nella cattiva come nella sua buona fortuna. Il che non poté derivare da altro che dalla sua disumana crudeltà, la quale, insieme con le sue infinite doti, lo rese sempre venerabile e terribile agli occhi dei suoi soldati: senza la crudeltà, le altre sue virtù non sarebbero bastate per ottenere questo effetto. E gli storici, poco avveduti in questo, da una parte ammirano il suo modo d’agire, dall’altra ne condannano la principale causa, cioè la crudeltà.

5 – E che sia vero che le altre doti non sarebbero bastate, è sufficiente considerare il caso di Scipione l’Africano, condottiero di qualità rarissime a trovarsi non solamente ai suoi tempi, ma in tutta la storia delle vicende che si conoscono, contro il quale, in Spagna, le sue legioni si ribellarono. E questa ribellione non fu provocata da altro che dalla sua eccessiva clemenza, che aveva permesso ai suoi soldati di godere di una libertà più grande di quanto fosse compatibile con la disciplina militare. Questo comportamento gli fu rimproverato in Senato da Fabio Massimo che lo definì corruttore delle legioni romane. I Locresi, essendo stati depredati da un luogotenente di Scipione, non furono indennizzati da lui, né fu punita l’insolenza del luogotenente: e tutto ciò nasceva proprio dalla sua natura troppo indulgente; e volendolo qualcuno scusare in Senato, disse che c’erano molti uomini capaci più di non sbagliare che di punire gli errori. Questa caratteristica della sua natura avrebbe, col passare del tempo, potuto macchiare la fama e la gloria di Scipione, se avesse continuato a manifestarsi nell’esercizio del potere; ma vivendo sotto il potere del Senato, questa sua qualità dannosa non solo rimase nascosta, ma gli recò gloria.

6 – Concludo, dunque, ritornando alla questione se è meglio essere temuto che amato, che poiché gli uomini amano a loro piacimento e temono secondo il piacimento del Principe, un Principe saggio deve fondarsi su ciò che è suo e non su ciò che è degli altri: deve solamente, come ho già detto, fuggire l’odio.

Questo è il XVII capitolo del capolavoro di Niccolò Machiavelli Il Principe. Se volete continuare a leggere lo splendido trattato di dottrina politica scritto quasi cinquecento anni fa ma ancora oggi attualissimo potete trovarlo nella biblioteca dell’Antica Frontiera.

0 Commenti

L'arrivo di Giovanna d'Arco ad Orléans

29/4/2015

0 Commenti

 
Picture
Oggi è il 586° anniversario dell'arrivo di Giovanna d'Arco ad Orléans.
Durante la guerra dei Cent'Anni, dopo l'ascesa al trono del giovanissimo Enrico VI, sotto la reggenza dello zio paterno Giovanni di Lancaster, duca di Bedford, gli Inglesi riuscirono a occupare nel 1425 Mans; nel 1427 attaccarono Montargis e l'anno dopo avanzarono su Orléans per aprirsi la via al cuore della Francia. La dominazione inglese nel nord della Francia era tuttavia poco sicura: nelle popolazioni rurali gravissimo era il malcontento; in Normandia viva effervescenza; a Parigi, non rari i complotti. L'assedio di Orléans, incominciato nell'ottobre del 1428 e fattosi rigidissimo nel dicembre, commosse le popolazioni. Solo il governo di Carlo VII parve non avvertirne l'importanza e, dopo un tentativo di ostacolare le operazioni degli assedianti (12 febbraio), abbandonò la città al suo destino. L'arrivo improvviso a Chinon, dove soggiornava il re, di Giovanna d'Arco (23 febbraio) cambiò del tutto la situazione. Convinta della missione datale da Dio di salvare la Francia, la fanciulla riuscì a imporsi al re e ai suoi consiglieri. Alla testa d'un corpo di milizie affidatole, essa marciò su Orléans, dove riuscì il 29 aprile a entrare con una parte di soldati. L'8 maggio, gli Inglesi abbandonavano l'assedio.
Per ricordare questo importantissimo episodio della Storia francese nel periodo della Guerra dei Cent'Anni abbiamo scelto il francobollo blu da 50 centesimi di franco che le poste transalpine dedicarono a Giovanna d'Arco e alla liberazione di Orléans nel 1929, in occasione del suo quinto centenario.


Giovanna d’Arco nacque nel 1412 in un villaggio della regione dei Vosgi, la catena montuosa della Francia orientale, da un’umile famiglia di contadini. Da bambina, assistette agli orrori della guerra civile, cui seguì l’occupazione di gran parte della Francia da parte dell’esercito inglese dopo la battaglia di Azincourt (1415), in una fase altamente drammatica della guerra dei Cent’anni.
Fin dall’adolescenza si ritenne chiamata da una missione divina: risollevare il proprio Paese e salvarlo dallo sfacelo. Giovanna diceva che erano le “voci” celesti di San Michele arcangelo, santa Caterina e santa Margherita a incitarla a quel compito. Nel 1429 fuggì di casa e riuscì a raggiungere il capitano di Vaucouleurs, Robert de Baudricourt, che comandava una guarnigione rimasta fedele all’erede al trono di Francia Carlo (il futuro Carlo VII). Giovanna lo convinse a farla scortare da alcuni uomini armati per attraversare il territorio occupato dal nemico e incontrarsi con il re che si trovava a Chinon. Si introdusse nella corte travestita da uomo e riuscì a parlare con Carlo: gli spiegò quel che la muoveva alla sua missione e lo esortò ad affidarle il comando delle truppe per dirigerle alla difesa di Orléans, assediata dagli Inglesi da oltre otto mesi e ormai sul punto di cadere. Non senza perplessità, Carlo accondiscese e Giovanna, dopo aver subito per tre settimane gli interrogatori di teologi e prelati chiamati a valutarne le reali intenzioni, prese le armi e nel giro di una settimana liberò Orléans dall’assedio (era l’8 maggio 1429), conquistando così anche il suo celebre soprannome di “Pulzella d’Orléans”.

Se volete approfondire le eroiche gesta belliche di Giovanna d’Arco potete farlo sfogliando le pagine del 6° volume de La Storia – Dalla crisi del Trecento all’espansione europea nella biblioteca dell’Antica Frontiera.


0 Commenti

La pace di Lodi

9/4/2015

0 Commenti

 
Picture
Oggi è il 561° anniversario della pace di Lodi.
Essa pose fine alla guerra tra Francesco Sforza e Firenze da un lato e Venezia, Napoli e Savoia dall'altro. L'accordo permise allo Sforza di succedere in Lombardia ai Visconti, restituì Bergamo e Brescia a Venezia e fissò il confine fra i due stati all'Adda. Assicurò la stabilità politica italiana sino alla fine del secolo.
Non esistono francobolli dedicati alla pace di Lodi. Per ricordare questo importante evento storico abbiamo scelto l'esemplare che le poste italiane emisero nel 1946 per celebrare l'avvento della Repubblica. Il valore azzurro da 15 lire commemora la Repubblica di Venezia nei secoli VIII-XVIII. La vignetta mostra un particolare del "Trionfo di Venezia" di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato nel 1582 e conservato nel Palazzo Ducale. E' una delle 
immagini pittoriche più magniloquenti della glorificazione della Repubblica dei dogi: raffigura Venezia incoronata e circondata da Onore, Pace e Felicità al cospetto di tutta la società veneziana, della nobiltà fino al popolo, sorvegliato, però, da armati a cavallo. Venezia è così rappresentata come protettrice delle arti dei deboli e della pace ed ispirata dalle più grandi virtù. 


Mentre lottava ormai per la conservazione del suo dominio, il Visconti morì nell’agosto 1447 e la sua scomparsa senza eredi legittimi determinò il caos in tutto il Ducato. A Milano, il patriziato locale colse l’occasione per resuscitare un governo di tipo municipale e costituì la “Repubblica ambrosiana”, e le altre città non persero tempo a riprendere l’autonomia perduta a opera dei Visconti: la Lombardia piombò in uno stato di dissoluzione politica nel quale era chiaro che essa si presentava come una facile preda per Venezia, le cui forze si impossessarono subito di Piacenza e di Lodi e continuarono, naturalmente, a combattere l’estemporanea Repubblica milanese, così come avevano combattuto il duca defunto. L’unica carta da giocare per evitare la conquista veneziana era il ricorso allo Sforza, che intendeva succedere al suocero ed era arrivato conducendo con sé la moglie e facendosi forte d’una assai improbabile donazione di Filippo Maria. I Veneziani furono battuti presso Caravaggio, poi lo Sforza liquidò la Repubblica ambrosiana e, sostenuto da Firenze, affrontò la lotta contro la lega che avevano nel frattempo coalizzato contro di lui Venezia, il duca di Savoia e il re di Napoli. Ancora una guerra debilitante per tutti: la conclusione si ebbe nel 1454 con la pace di Lodi nella quale lo Sforza e i Veneziani si accordarono, alle spalle dei loro alleati, riconoscendosi reciprocamente i possessi detenuti in quel momento.
Il risultato politico della pace di Lodi fu la costituzione di una lega che garantisse lo status raggiunto dopo l’arresto del tentativo di egemonia veneziana nell’Italia settentrionale, che aveva dimostrato come nessuno dei grandi Stati regionali fosse in grado di imporre la sua prevalenza.

Se volete approfondire potete farlo sfogliando le pagine del 6° volume de La Storia – Dalla crisi del Trecento all’espansione europea nella biblioteca dell’Antica Frontiera.



0 Commenti

La morte di Lorenzo il Magnifico

8/4/2015

0 Commenti

 
Immagine
1449. Cinquecentenario della nascita di Lorenzo il Magnifico. Ritratto.
Immagine
1492. Cinquecentenario della morte di Lorenzo il Magnifico. Ritratto.

Oggi è il 523° anniversario della morte di Lorenzo il Magnifico.
Signore di Firenze, ove vi nacque il 1° gennaio 1449, finanziere, mecenate e poeta, fu una delle figure più rappresentative del Rinascimento. Figlio di Piero di Cosimo, resse il governo fiorentino dal 1469. Sormontata la crisi del 1478, quando nella congiura diretta dai Pazzi perì suo fratello Giuliano, fece di Firenze l'ago della bilancia nella politica italiana, in alleanza prima con gli Sforza contro Venezia, in mutevoli legami poi con il papato e il regno di Napoli. All'interno, istituì il Consiglio dei settanta (1480) e affidò la cancelleria privata a propri fedeli più che a figure dell'oligarchia urbana. Con lui i Medici si trasformarono definitivamente da famiglia fondata sulla ricchezza economica in dinastia signorile. Lorenzo fu al contempo grande organizzatore della cultura umanistica fiorentina: sia come datore di lavoro del Poliziano e protettore di Pico della Mirandola sia come autore (La Nencia del Barberino, Canti carnascialeschi). Morì a Firenze l'8 aprile 1492 per una peritonite, a soli 43 anni.

Per ricordare il grande statista e umanista fiorentino abbiamo scelto i due francobolli che le poste italiane gli hanno dedicato nel 1949 e nel 1992. Di entrambi abbiamo pubblicato le immagini e una breve descrizione sopra.

Tra il 1469 e il 1492, gli anni in cui Lorenzo de’ Medici governa la città, Firenze vive una stagione artistica eccezionalmente felice, grazie all’attività degli scultori-pittori Andrea del Verrocchio e Antonio del Pollaiolo e a quella di un gran numero di pittori, da Botticelli a Leonardo. […] E’ soprattutto ad un dipinto di Botticelli che è legata, nell’immaginario collettivo, quella stagione culturale e la figura stessa del Magnifico. Si tratta della Primavera, un’opera generalmente datata al 1478 circa, e sul cui significato la critica non cessa di interrogarsi. La Primaveraoccupa un posto eccezionale nella storia della pittura occidentale: si tratta infatti del primo importante dipinto di grandi dimensioni che raffigura un soggetto mitologico-allegorico non basato, sembra, su una fonte testuale antica. Sebbene, cioè, tutte le figure siano facilmente identificabili (da destra, nell’ordine, il vento Zefiro, che insegue la ninfa Cloris, e probabilmente Flora, la donna che sparge fiori; al centro Venere, e poi il gruppo delle tre Grazie e Mercurio; in alto, in volo, è Cupido), queste non prendono parte a un’azione riconducibile a un preciso episodio mitologico. Due sono i filoni in cui è possibile raggruppare le numerose ipotesi interpretative che sono state avanzate negli anni. Da una parte c’è chi crede che il dipinto debba essere letto in chiave neoplatonica, e cioè in relazione agli scritti di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola (1463-1494), figure chiave dell’Accademia che si riuniva nella villa di Lorenzo il Magnifico a Careggi. Il valore civilizzatore della bellezza, rappresentato da Venere, cui l’anima deve aspirare per distaccarsi dai piaceri terreni, sarebbe quindi il significato ultimo del dipinto. Dall’altra parte c’è chi giudica queste letture delle sovrainterpretazioni, e invita ad un sano scetticismo. Il dipinto, ad esempio, potrebbe più semplicemente raffigurare i tre mesi della Primavera: da destra marzo, il mese dei venti freddi (il gruppo Zefiro-Cloris-Flora), poi aprile, a cui da sempre è associata Venere, e infine maggio, con Mercurio (figlio di Maia, da cui derivava il nome stesso del mese) che disperde con il caduceo le nuvole.

Se volete approfondire la vita di Lorenzo il Magnifico e dei tanti artisti che lavorarono per lui potete continuare a leggere gli ultimi 3 volumi dell’enciclopedia Il Medioevo nella biblioteca dell’Antica Frontiera.

Se invece volete restare abbagliati dalla bellezza della Primavera di Botticelli potete raggiungere gli Uffizi, che sono a poco più di un’ora di auto dal b&b: sarà un’esperienza indimenticabile!

0 Commenti

La nascita e la morte di Raffaello Sanzio

6/4/2015

0 Commenti

 
Immagine
1970. 450º anniversario della morte di Raffaello Sanzio. 20 lire: Dipinto "Trionfo di Galatea" di Raffaello. 50 lire: Dipinto "Madonna del cardellino" di Raffaello. 
Immagine
1983. Natale. 250 lire: Madonna Sistina, dipinto di Raffaello Sanzio. 400 lire: Madonna dei candelabri, dipinto di Raffaello Sanzio. 500 lire: Madonna della seggiola, dipinto di Raffaello Sanzio. 
Immagine
1974. Uomini illustri - 2ª emissione. Autoritratto di Raffaello Sanzio.
Immagine
1985. Esposizione internazionale di filatelia, a Roma - arte rinascimentale. Venere sul carro, opera di Raffaello.
Immagine
1998-2003. Serie ordinaria "Donne nell'arte". Ritratto di donna di Raffaello Sanzio. 
Prima emissione del 1998 in lire. Seconda emissione del 1999 in lire e in euro. Terza emissione del 2002 in euro. 
Quarta emissione del 2003 uguale alla precedente, ma con la sigla "S.p.a." nella dicitura.

Oggi è il 532° anniversario della nascita e il 495° anniversario della morte di Raffaello Sanzio.
Pittore e architetto nato a Urbino il 6 aprile 1483, formatosi nella bottega del padre Giovanni Santi, dal 1494 fu allievo del Perugino, la cui lezione di armonia compositiva e semplificazione formale fu il punto di partenza per la sua arte (Sposalizio della Vergine, 1504, Milano, Brera). Fondamentale fu in seguito l´esperienza fiorentina (1504-8), durante la quale conobbe l´opera di Michelangelo, Leonardo e soprattutto Fra´ Bartolomeo: qui sviluppò la sua ricerca di rappresentazione e idealizzazione della natura individuandone le leggi armoniche e proporzionali ed elaborando un ideale di bellezza nato dalla conciliazione di immagine reale e immagine ideale e fondato sulla semplicità, leggiadria, grazia e naturalezza di gesti ed espressioni, come appare nelle numerosissime Madonne col Bambino (Madonna del Cardellino, 1505-6, Firenze, Uffizi; Madonna del Belvedere, 1506, Vienna, Kunsthist. Mus.; Madonna del Granduca, 1506 ca, Firenze, Pal. Pitti; La bella giardiniera, 1507, Parigi, Louvre). Di questo periodo sono anche i ritratti, memori dell´esperienza leonardesca e fiamminga, in cui elabora un nuovo taglio compositivo di tre quarti (Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, 1507-8; La gravida, 1506-7, Firenze, Pal. Pitti). Dal 1508 si trasferì definitivamente a Roma, dove, per Giulio II, eseguì la decorazione della Stanza della Segnatura (1508-11), di Eliodoro (1511-14), dell´Incendio di Borgo (1514-17) nei Palazzi Vaticani, testimonianza della sua maturazione stilistica per la sapienza e l´equilibrio del grandioso e monumentale impianto compositivo e per l´intensità espressiva delle figure. Del periodo romano sono ancora la decorazione della Loggia della Farnesina (Trionfo di Galatea, 1513 ca), numerose Madonne col Bambino (Madonna Aldobrandini, Londra, Nat. Gall.; Madonna della seggiola, 1513-14, Firenze, Pal. Pitti), i superbi ritratti di Tommaso Inghirami (1516 ca), Firenze, Pal. Pitti, di Giulio II (1511-12), Londra, Nat. Gall., di Baldesar Castiglione (1515 ca), Parigi, Louvre, della Velata (1515 ca), Firenze, Pal. Pitti, di Leone X con due cardinali (1517-18), Firenze, Uffizi e le pale d´altare (Madonna Sistina, 1513 ca, Dresda, Gemäldegal.; Trasfigurazione, 1519-20, Roma, Mus. Vaticani). Suoi sono anche i cartoni con Storie di Pietro e Paolo per dieci arazzi destinati alla Cappella Sistina e tessuti a Bruxelles (Londra, Victoria and Albert Mus.). Sotto il pontificato di Leone X, operò prevalentemente come architetto a Roma (progetto per la basilica di S. Pietro, 1514; Cappella Chigi in S. Maria del Popolo, 1515; Villa Madama alle pendici di Monte Mario, 1517-20); in tale attività ebbe grande importanza lo studio dell´antichità classica, che lo spinse, nominato nel 1515 soprintendente alle antichità romane, a eseguire una pianta monumentale di Roma antica. Alla sua bottega si formarono numerosi talenti (Giulio Romano, Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio) e la sua opera esercitò grande influenza e fu oggetto di studi da parte degli artisti successivi.
Raffaello morì il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Secondo Vasari la morte sopraggiunse dopo quindici giorni di malattia, iniziata con una febbre "continua e acuta", causata secondo il biografo da "eccessi amorosi", e infelicemente curata con ripetuti salassi.
Per rendere omaggio al grandissimo artista, tra i più celebri del nostro Rinascimento, abbiamo selezionato tutte le emissioni che le poste italiane gli hanno dedicato nel corso degli anni. Di ognuna di esse abbiamo pubblicato l'immagine e una breve descrizione sopra.


“Oggi mia moglie ed io siamo andati a Palazzo Pitti…” annota nel suo Diario Nathaniel Hawthorne: è il 10 giugno del 1858 e da qualche anno lo scrittore, console a Liverpool, percorre l’Europa con la metodicità e, si direbbe, la prevedibilità dell’americano teso a cercare un senso alla sua vita attraverso la verifica e l’incontro di due culture. “La collezione di quadri […] è la più interessante che io abbia visto, e non mi sento né forse mi sentirò mai in grado di parlare di uno solo […] Ma il quadro più bello del mondo, ne sono convinto, è la Madonna della seggiola di Raffaello. La conoscevo attraverso cento incisioni e copie, e perciò mi ha illuminato con una bellezza familiare, sebbene infinitamente più divina di quanto non l’avessi mai vista. Un artista la stava copiando, producendo qualcosa di assai vicino, certo, a un facsimile, e tuttavia senza, naturalmente, quel misterioso non-so-che che rende il quadro un miracolo.”

Se volete restare incantati dalla bellezza delle opere di Raffaello potete farlo sfogliando le pagine del 3° volume de I classici dell’arte nella biblioteca dell’Antica Frontiera. E se ne avete voglia la Madonna della seggiola (che fa parte di una collezione sterminata di capolavori) è a poco più di un’ora di auto dal b&b: ne vale la pena!

0 Commenti

La nascita di Sandro Botticelli

1/3/2015

0 Commenti

 
Immagine
1973. Uomini illustri - 1ª emissione. 
Autoritratto dall'Adorazione dei Magi, 1475, Galleria degli Uffizi di Firenze.
Immagine
2002. Serie ordinaria "Donne nell'arte". Emesso contemporaneamente all'introduzione dell'Euro in Italia, venne disegnato da Rita Morena e rappresenta un particolare del dipinto "La Primavera" di Sandro Botticelli, realizzato nel 1478 ca. ed esposto presso la Galleria degli Uffizi di Firenze. La figura femminile è in bruno aranciato, la cornice in verde-nero.
Immagine
2001. Rassegna culturale, economica e scientifica "Italia in Giappone 2001". La  vignetta  riproduce, in primo piano, il dipinto "Annunciazione" del Botticelli, conservato presso la galleria degli Uffizi, in Firenze; in alto a destra, è raffigurato il Museo nazionale delle arti occidentali, in Tokyo, dove il dipinto fu esposto unitamente ad altre opere italiane e, a sinistra, è riportato il logo della rassegna  "2001 Italia in Giappone".
Immagine
2010. Natale. Adorazione dei Magi, 1475, 
Galleria degli Uffizi di Firenze.

Oggi è il 570° anniversario della nascita di Sandro Botticelli.
Sandro Botticelli (soprannome di Alessandro di Mariano Filipepi) nacque a Firenze il 1° marzo 1445, in una famiglia ma non povera. Fu allievo di Filippo Lippi; i suoi primi lavori risentono chiaramente dell'influenza del Pollaiolo e del Verrocchio (Madonna del Roseto, 1468, Parigi, Louvre; La fortezza, 1470, Firenze, Uffizi; S. Sebastiano, 1474, Berlino, Staatliche Museen), ma dal 1470 lo stile botticelliano appare del tutto formato e capace di produrre una serie di originali capolavori, in cui sembra trasporsi la leggerezza della poesia del Poliziano (Adorazione dei Magi, 1475, Firenze, Uffizi; Allegoria della Primavera, 1478 ca, Firenze, Uffizi; affreschi nella Cappella Sistina, 1481-82; Nascita di Venere, 1482 ca, Firenze, Uffizi; Madonna del Magnificat, 1485, Firenze, Uffizi). Dinamismo e plasticismo espressi con chiarezza e leggerezza di linee e con delicato cromatismo nel dar vita a scene allegoriche, ora dall'incantato lirismo, ora dalla potente drammaticità, costituiscono i tratti salienti dell'opera di Botticelli, in cui si riflettono fedelmente le vicende e gli ideali della Firenze medicea. Verso la fine del sec. XV, il clima fiorentino mutò bruscamente (decadenza dei Medici) e con esso la pittura di Botticelli, che si aprì alla nuova spiritualità religiosa (predicazione di Girolamo Savonarola) mettendo radicalmente in discussione la cultura precedente (Pala di S. Marco, 1490 ca, Firenze, Uffizi; Madonna del Padiglione, 1495 ca, Milano, Pinacoteca Ambrosiana; La derelitta, 1495, Roma, Collezione Pallavicini; Natività, 1501, Londra, National Gallery).
Per rendere omaggio al grandissimo pittore fiorentino abbiamo scelto i quattro francobolli che le poste italiane hanno dedicato a lui e alle sue opere nel corso degli anni. Di ognuno di essi abbiamo pubblicato l'immagine e una breve descrizione sopra.


Noi ci troviamo, di fronte all’artista, in una condizione di privilegio, come avviene tutte le volte che sui risultati si sono accumulate ragioni e interpretazioni, nel nostro caso da contare per secoli. È proprio un segno di distinzione artistica questa libera accettazione, anzi questa stratificazione dei movimenti culturali: accettazione e stratificazione che sono in grado non solo di registrare la ricchezza dell’invenzione artistica ma anche la continuità del discorso culturale. Un artista, in un certo senso, prevede a lunga scadenza quello che dopo un certo periodo apparirà agli occhi degli osservatori; e immette nel suo testo, nella sua raffigurazione, toni e soluzioni che soltanto dopo un lungo deposito di anni acquisteranno il loro autentico rilievo.
Con questo si vuol dire che il nostro modo di guardare Botticelli è completamente diverso da quello adottato dai suoi contemporanei, probabilmente è anche diverso dalla valutazione dei contemporanei maggiori in senso assoluto (si legga Leonardo), in quanto noi – a volte coscientemente, il più delle volte inconsciamente – vi aggiungiamo qualcosa che appartiene alla somma delle varie esperienze culturali che si sono accumulate su quell’esemplare d’invenzione. Naturalmente, c’è una grossa parte di arbitrio in operazioni del genere; ma è un arbitrio giustificato. Altrimenti non esisterebbe senso della storia, e ci sarebbe una grave impossibilità di adesione all’opera e al lavoro di chi ci ha preceduto.
Valga il caso del Botticelli, in cui convivono liberamente due registri op­ posti, coesistono due registri che non hanno nulla in comune fra di loro: la disposizione degli elementi fissi dei suoi quadri, e la persuasione intima, profondamente sentimentale delle sue figure. In questo senso il teatro, lo spettacolo della vita che egli ci offre è sempre doppio: da una parte c’è il rispetto di quella che potremmo chiamare la costruzione architettonica dei suoi temi, e dall’altra c’è un invito perentorio ad entrare nel romanzo appena accennato dei suoi uomini. li pittore dice tutto o almeno sembra dir tutto e indicare quello che ha voluto dire nel quadro; ma, se si osserva bene, c’è – subito e dietro – un’altra scena che solo un cuore moderno riesce ad animare e a far vivere. La regolarità dell’impianto, la precisione della realtà sono fin troppo evidenti perché vi si debba insistere, ma guai a dare un colore fisso a queste sue leggende che, solo superficialmente, sono aderenti al testo delle sue leggende o delle sue composizioni. E proprio perché l’artista mostra di compiere su se stesso uno sforzo quanto mai severo, lo spettatore è portato a registrare immediatamente l’incertezza, il dubbio, l’inquietudine che si leggono sui volti dei suoi uomini e delle sue donne. Tante volte si è insistito sulla facoltà di traduzione pura e semplice, lineare, del mondo del suo tempo, quasi che si fosse trattato di riportare sulla tela degli esemplari fissi (e allora siamo spinti ad attribuire a quel repertorio umano un valore attuale sorprendente), mentre non sempre si è tentato di sollevare il velo di malinconia che il pittore ha steso su quegli stessi volti. Ora è proprio questo velo a consentirci la forma più alta di accostamento all’arte del Botticelli, è questo velo a farne uno degli interpreti dell’animo umano in senso assoluto. Quando poi l’artista raggiungerà il limite della piena maturità, riuscirà a condensare in una stessa figura la composizione architettonica e la soluzione, l’estenuazione sentimentale.
Caso mai, varrebbe la pena di chiederci che cosa è stato a determinare questo raro fenomeno di compenetrazione nella rigidità della composizione. E qui per l’appunto tocchiamo il primo dato o il primo frutto della suggestione culturale. Quel poco che sappiamo delle sue frequentazioni e quel tanto che deduciamo dalla conoscenza del suo mondo non ci servo­ no certo a risolvere il problema, almeno nel senso di stabilire, punto per punto, i passaggi della sua formazione. Ciò non toglie che sia sufficiente la presenza di questo fatto per capire che l’atteggiamento dell’artista di fronte alla realtà non era mai naturale e che la natura era insensibilmente corretta dall’aggiunta dell’interpretazione di dati culturali. Ci deve essere stato, nelle diverse soluzioni dell’opera, un costante rapporto fra quello che il pittore vedeva e quello che lo stesso pittore voleva vedere, da un punto di vista molto più largo, molto al di là delle cadenze e delle scelte dettate dal proprio gusto. Basta pensare alla carica delle sue figure, al peso interiore dei suoi volti, per intravvedere un dialogo, un’ abitudine al ragionamento sulle cose, quale fornisce la lettura, la meditazione, il perenne inseguire una verità più alta.
Lo spettatore non può non essere attirato da questi interrogativi aperti o chiusi che si trovano su quei volti: la pittura del Botticelli esige questo intervento costante, e sembra molto difficile potervicisi sottrarre. Tutt’al più, vien fatto di chiederci in che modo si debba impostare la risposta, a che punto stabilire l’aggancio, e questo per comprendere subito la natura dei segreti proposti e per vedere se siamo in grado di entrare in rapporto, nell’ambito di una corrispondenza che è ben diversa dalla semplice dilettazione, dal semplice atto di accettazione. Quello che abbiamo chiamato romanzo nasce proprio da questa situazione, nella quale si sono calati motivi personali – di cui evidentemente non sappiamo più nulla – e motivi più alti, di carattere generale, legati al dato dell’umanità di quei personaggi. Non si sbaglia, dunque, a parlare di immobilità apparente di queste figure o, paradossalmente, di immobilità animata su un secondo piano. Da dove vengono quei personaggi? Per molti esiste un rapporto anagrafico preciso, ma che non serve, perché la parte lasciata sospesa e il margine dell’altra evocazione sono assai vasti, al punto che, a distanza di secoli, non siamo stati capaci di colmarne la zona dell’interrogazione.
Inoltre, per quello che riguarda la storia stessa dell’artista, bisogna aggiungere subito che molto di questo discorso segreto, o non detto, o detto in un altro linguaggio, è sostenuto dall’uomo di cultura. Botticelli è stato fra i primi ad avvertire il limite della realtà, a scardinare la lettura obbligata e a mettere in dubbio la validità di un’arte conchiusa nella lettera del testo proposto. Eppure, a prima impressione, risulta rigido anche in questo senso, al punto da sembrare freddo, timoroso di trasgredire le linee del­ la composizione esteriore. Ma è proprio nel giro di queste impressioni che si avverte l’opportunità di provare, di verificare l’ordinamento apparente. E allora non tarderà la sorpresa che risolve da cima a fondo la lettura del pittore: la rigidità della lezione nasconde un atteggiamento drammatico, un’interpretazione molto diversa, quasi inconciliabile con i presupposti del tema. Direi che il grande Botticelli va cercato in questa lunga battaglia con se stesso, una guerra di cui restano preziosi documenti non solo nei particolari ma anche nell’intera costruzione della sua opera. Del resto, non ci sarebbe stata la trasformazione religiosa, né si sarebbe avuta quella decantazione dei temi di vita, di natura, che ha portato alla conquista di una struttura psicologica diversa. È chiaro che in questi casi non basta né la volontà né il bisogno di adeguamento: l’arte non sopporta questi condizionamenti, a meno che non si sia disposti a deformare il proprio lavoro.
Si provi a studiare il passaggio dall’invenzione libera, nel quadro della natura, al giuoco delle composizioni, allo studio di temi completamente diversi, e si vedrà che tale passaggio è stato possibile perché prima c’era stato un rovesciamento dall’interno di quegli stessi motivi naturali. Non scorgiamo, sui volti del primo tempo, mai una frazione di gioia; i suoi personaggi ci appaiono bloccati, dolorosamente sorpresi di fronte a uno spettacolo segreto di cui lo spettatore ignora tutto. Se in Botticelli ci fosse stata una maggiore tranquillità, certe opere come la Primavera avrebbero la violenza e la forza di uno scoppio. Al contrario, tutto viene risolto su un altro piano; e il movimento stesso del quadro è di colpo arrestato, bloccato, come se fosse stato vittima di un’ altra condizione: i suoi personaggi so- no gravi, tradiscono una verità che nessuna natura riuscirà mai a sopportare. C’è stato, dunque, nell’atto dell’illustrazione, un dubbio di fondo che è finito per rimanere sui volti, nei gesti, perfino in quel tanto di stilizzato che ci disturba nel corso dei primi incontri. Evidentemente, Botticelli non ha avuto il coraggio di spostare l’asse delle sue ricerche e di portare in primo piano la seconda visione, la vera lettura del mondo che l’abitudine e la legge della cultura gli avevano suggerito. Ora è proprio in queste fratture del primo tessuto del suo discorso che uno spettatore moderno riesce a inserirsi e ad allargare un’indagine che generalmente viene saltata. Se davvero abitudine alla cultura significa, alla lunga, capacità alla meditazione e sollecitazione a trasformare gli elementi della realtà, il Botticelli ha tratto la parte più alta della sua forza da questa nuova riva dell’arte del suo tempo. L’immobilità apparente finisce per dare un’accentuazione opposta agli elementi delle sue rappresentazioni; e nello sforzo di contenere, di rispettare le norme delle costruzioni apparenti, si coglie la violenza drammatica della sua incertezza. Spesso sembra che i suoi personaggi non possano par­ lare, ed è vero; ma l’impedimento non gli viene da un eccesso di controllo dell’artista nel senso della perfezione, bensì dalla coscienza di aver supposto un altro linguaggio, il linguaggio chiuso di chi è dominato da una passione che gli altri ignorano o per la quale manca l’autorizzazione alla traduzione. Però quello che il pittore ha avuto paura di aprire resta a disposizione dello spettatore d’oggi, il quale prima di tutto è affascinato dall’assenza, dal vuoto apparente del discorso; e non può non sentire tutto il peso della coscienza, che è poi la norma essenziale a cui si attiene tutta l’interpretazione dell’artista.
I passaggi sono allora questi: in un primo tempo la realtà diventa per Botticelli insufficiente, per cui non gli sembra più possibile portare agli estremi limiti la sua idea di equilibrio (perfezione della composizione non vuol dire equilibrio, anzi in questo caso denuncia una grossa frazione d’incertezza); in un secondo tempo, una volta socchiusa questa porta sull’ignoto, interviene il giuoco degli apporti culturali (e qui si va dalle frequentazioni fiorentine all’idea di commentare Dante per immagini); e finalmente in un terzo tempo l’artista placa la sua ansia nell’invenzione di natura religiosa. Non possono lasciare tranquilli i soggetti religiosi, tanto meno la semplicità con cui da ultimo il Botticelli li ha saputi affrontare. Anche perché, nell’ambito dello stesso libro religioso, ci sono da principio delle figure di santi che rendono gli stessi accenti drammatici che abbiamo trovato nelle figure del tempo naturale; beninteso, tale drammaticità ha una soluzione piena: non siamo più alle contrazioni che hanno affascinato gli studiosi più attenti, siamo però sempre nell’ambito di una violenza che ha accompagnato quei protagonisti per molti anni della loro vita.
Qual è stato il cardine su cui l’artista ha fatto poggiare la sua trasformazione? E diciamo subito che essa deve essergli costata parecchio, come avviene tutte le volte che un artista si sforza di vincere gli stimoli e le suggestioni culturali. La risposta è questa: fra i due tempi c’è stata la lezione del Savonarola. A noi poco importa che questa influenza sia mal documentabile: perché si arrivi a capirne la presenza d’importanza, basterà pensare al primo tempo del Botticelli e a quella che era stata la sua formazione. Probabilmente egli trovava nella posizione del Savonarola una negazione recisa e netta, assoluta, di tutto quello che aveva imparato dai libri e dai discorsi degli amici e che aveva costituito il suo fondo di dubbio.
Savonarola deve essergli apparso come lo spirito capace di risolvere le sue incertezze, e l’unica intelligenza in grado di offrirgli la chiave del mistero che adombrava sul volto dei suoi protagonisti. Al fondo di quel buio, al fondo di quella dolorosa ed estenuante forma di “assenza” che egli ave­ va sentito nascere nel cuore del mondo, ora avrebbe potuto mettere una parola di salvezza, una ragione a cui affidare il compito di dissolvere le nebbie e le ansie della sua inquietudine culturale. Lo stesso linguaggio del fra­ te, così diverso da quello dei suoi amici, deve essergli suonato come il rumore del tuono che preannuncia una burrasca risolutrice, come l’eco di un altro mondo più reale, più sicuro, meno legato alle radici amare della terra dei sentimenti umani. Come vedete, il romanzo si arricchisce, non si impoverisce, e ne sono testimonianza le “storie” di san Zanobi, dipinte negli ultimi anni, in cui resta ben poco dello spirito di contrazione che animava le prove dell’uomo di cultura.
La vera storia di Botticelli si è svolta dietro le quinte, dietro lo schermo di una ricerca di perfezione formale; e ne possiamo avere un’idea – sia pure pallida, come, del resto, di tutto quello che accade agli altri – limitando l’esame e lo studio alla natura della sua assenza, all’inseguimento di quello che vedono gli occhi fissi di certi suoi personaggi. Non ci sono letture più affascinanti di queste che apparentemente contraddicono la storia ufficiale e il dettato stesso dell’artista che finge di seguire le regole del giuoco. Ci .si potrà obiettare di caricare di sensi impropri un motivo che potrebbe avere altre spiegazioni, e l’obiezione terrebbe se – lo ripetiamo ancora una volta – non ci fosse stato il Savonarola e se nell’ ambito della storia stessa del Botticelli non fossero riscontrabili queste due postulazioni diametralmente opposte.
Che cosa diceva la cultura nuova all’artista? Di credere nella vita, di accettare le cose come l’ultimo termine della ragione. E l’artista finge di credere a queste proposte, ma non può fare a meno di sollevare il velo del dubbio. Un dubbio, certo, che va in due direzioni distinte: da una parte sembra pretendere qualcosa di più, qualcosa che supera gli stessi limiti del nuovo codice e che noi riassumiamo nell’ombra, nella parola dell’equivoco e dell’ambivalenza; dall’altra parte mette a nudo il sospetto che deriva, naturalmente, dalla prima esaltazione e dalla gioia fisica: di più e di meno, tutto e qualcosa che non soddisfa. È evidente che il Botticelli da solo – diciamo con i suoi strumenti d’artista – non ce l’avrebbe fatta a risolvere questo equilibrio impossibile; e qui probabilmente sta la ragione della sua condotta doppia, la scelta di un registro che gli consentisse di dare una costruzione del mondo apparente e nello stesso tempo di insinuare un dubbio. Per rovesciare la situazione aveva bisogno della parola ferma e crudele del Savonarola, una parola che assomigliava piuttosto a un atto di forza, a un gesto di violenza inteso a cancellare dal quadro delle interpretazioni tutto ciò che poteva generare incertezza e insoddisfazione.
Si dirà che la parola del Savonarola mal si adattava alle sue abitudini di uomo di cultura, ed è vero; ma il Botticelli non aveva bisogno di materiale per continuare quel dialogo, aveva bisogno proprio del contrario: di una spugna, di un solvente assoluto che lo placasse. Quando sarà passata la burrasca, ecco che sarà scomparsa materialmente l’occasione del so­ spetto, e il pittore saprà come riempire quel vuoto che lo aveva affascinato al punto da mettere in pericolo l’uso e l’applicazione dei suoi strumenti artistici.
L’approdo a Dante rientra in questa visione dialettica del suo lavoro. Tornare a Dante – anche se si trattava di un testo di uso comune e quoti­ diano, nel suo tempo – voleva significare che la stessa idea di composizione aveva trovato un altro piedistallo, non lasciava più né dubbi né timori. Botticelli trova in Dante un senso alla storia di quel mondo di cui aveva colto in certi particolari l’estrema fragilità. Era il modo migliore per placare la ragione, per chiudere la porta in faccia al dubbio.
Questa, a nostro avviso, è l’attualità di Botticelli, il modo per intenderne il segreto, anche se la sua storia ha uno sviluppo che, per forza di cose, ci rimane estraneo. In lui i conti tornano, il dubbio viene risolto da una parola senza possibilità di appello, e il mondo finisce per trovare un equilibrio, addirittura un centro. Ora è proprio da questo margine che la questione si complica e diventa insolubile per chi, come noi, è abituato a investire la realtà per sezioni e nel disordine. Quella che abbiamo chiamato la sua modernità è racchiusa nell’ ambito dell’assenza, degli sguardi che inseguono un’altra preda: per tutto il resto, vale la più semplice delle spiegazioni. Il metro della valutazione è troppo cambiato perché si possano stabilire altri rapporti, così come il nostro discorso è troppo disancorato da quelle che erano le leggi della sua morale per tentare un confronto. Questo, del resto, era già stato alluso quando si era messo l’accento sulla modernità del Botticelli, che è piuttosto una modernità ricavata dalle nostre condizioni.
Così, di quello che senza dubbio deve essere stato il dramma di un certo periodo della sua esistenza, noi siamo portati a fare una lettura doppia: un po’ leggiamo come se al suo posto ci fossimo stati noi, un po’ diamo al testo un senso più generale, assoluto. Ma in tutt’e due i modi riesce possibile un recupero che eviti gli scogli e le insidie della semplice speculazione estetica. Se il Botticelli fosse riducibile esclusivamente al nostro sguardo, alla misura del nostro piacere, un discorso come quello che abbiamo tentato di fare non avrebbe senso, mentre il suo peso subirebbe una grave riduzione.
Un museo ha una sola possibilità di essere vivo, ed è quella di aprire nel nostro discorso la porta a quelle che sono le nostre ragioni, le nostre inquietudini. In questo caso, è proprio il forte apporto culturale dell’artista a rendere più accettabile 1’operazione, anzi a richiedere il costante innesto di questi rapporti che apparentemente sono personali, mentre in effetti obbediscono a un’ altra cifra. Quando l’arte risolve i suoi problemi col sussidio di queste sollecitazioni, acquista un’ altra dimensione e sfiora le ragioni più alte. Nel nostro caso, i protagonisti della visione botticelliana investono con la loro stessa presenza problemi che riguardano la nostra fisionomia più segreta. È il posto che deve occupare l’uomo, e in un secondo tempo è il significato che bisogna dare alla nostra presenza. Non si scandaglierà mai abbastanza la forza di certe contrazioni, la solitudine del dramma che questi attori del suo mondo rendono in maniera tanto efficace. Per esempio, dalla composizione dellaCalunnia si arriva a una valutazione più stretta, quale è consentita dal ripiegamento della figura più alta su se stessa.
Soltanto con l’innesto delle ragioni religiose il Botticelli sembra poter superare il limite chiuso della solitudine, e allora i suoi personaggi parlano fra di loro, tradiscono un colloquio che altrove appare sempre impossibile e negato. Ma prima c’è una separazione netta fra il mondo delle cose e degli oggetti e gli uomini: alla chiarezza, alla rappresentazione lucida della realtà viene contrapposta l’oscurità, la segretezza, insomma l’altro mondo delle profondità umane. Se in apparenza l’artista sfugge l’impegno psicologico, in effetti egli riesce a cogliere nella semplice contrapposizione l’intensità tragica della nostra presenza sulla terra. Quasi che l’artista si sentisse paralizzato di fronte allo spettacolo della realtà e restasse chiuso nell’ambito di un discorso che non riesce a farsi.
Questo tema del silenzio carico del Botticelli è un altro tema modernissimo e per molti aspetti affascinante, un po’ come se l’artista fosse riuscito a individuare un discorso non materializzabile, fra lo stupore e la simpatia contratta. Quella che spesso abbiamo chiamato forza non è altro, a ben guardare, che la coscienza passiva di questa nuova situazione: l’artista chiamato a raccogliere i simboli stessi della bellezza sente che c’è qualcosa d’altro, dietro la prima rappresentazione, e ne avverte l’insidiosa suggestione. Il calcolo di precisione nel Botticelli ha solo un rispetto formale, mentre in realtà è la controproposta dell’assenza, del vuoto, a determinare il corso dei pensieri nuovi.
Non ci si accusi di portare troppo avanti queste suggestioni segrete. Già il Pater si era posto in altri termini lo stesso problema, quando annotava: “Ma un pittore come Botticelli, un pittore secondario, è soggetto appropriato per la critica generale?”. Walter Pater, è pur vero, si preoccupava di centrare il punto per lui capitale: quello della qualità del piacere che artisti come Botticelli possono fornire. A noi è interessato spostare i limiti dell’indagine, e leggere Botticelli soprattutto in quello che non ha detto esplicitamente, ma ha però saputo fortemente segnare per il futuro. Sempre Pater chiudeva il suo saggio così: “Studiando l’opera di lui si comincia a capire a quale gran posto fosse stata chiamata l’arte italiana nell’umana cultura”. Come dire: guardate quello che Botticelli ha fatto per aprire la strada; un tema che è stato commentato, studiato, ed è diventato parte viva della nostra cultura. Ma restando su queste posizioni si dava alla cultura del Botticelli, alla cultura che Botticelli ha contribuito a promuovere, un aspetto solo. Di qui l’opportunità di allargare il discorso, e di cominciare a vedere quanto stimolo di novità, quanta suggestione attiva ci fosse nella parte dell’ombra e del segreto che tiene nella rappresentazione del Botticelli una delle prime grandi luci dell’invenzione moderna.
Botticelli aveva capito che non sapremo mai tutto dell’uomo, e che proprio nell’ambito della sua raffigurazione va lasciata la traccia di questo regno dell’ignoto e dell’irraggiungibile.

Se volete approfondire vita e opere di Sandro Botticelli potete continuare a leggere il volume a lui dedicato de I classici dell’arte nella biblioteca dell’Antica Frontiera.

Se invece volete restare abbagliati dalla bellezza e dalla perfezione formale della sua arte potete raggiungere gli Uffizi, che sono a poco più di un’ora di auto dal b&b: sarà un’esperienza indimenticabile!

0 Commenti

La morte di Johann Gutenberg

3/2/2015

1 Commento

 
Picture
1954. Quinto centenario della Bibbia di Gutenberg. Stampatore del 15° secolo al torchio a mano.
Picture
1961. Serie ordinaria.
Ritratto di Gutenberg.
Picture
1964. Capitali dei Länder della Repubblica Federale Tedesca. Magonza (capitale della Renania-Palatinato), museo Gutenberg.
Picture
1983. Europa, grandi opere del genio umano. Moderno carattere tipografico con lettera A. Invenzione dell'arte tipografica ad opera di Johann Gutenberg.
Picture
2000. Sesto centenario della nascita di Johann Gutenberg.
Incisione su rame di A. Thevet.
Caratteri e segni della Bibbia di Gutenberg.

Oggi è il 547° anniversario della morte di Johann Gutenberg.
Stampatore tedesco, membro di una famiglia patrizia di Magonza, mise a punto la stampa di libri su matrici di metallo semi-mobili. Della sua vita e delle sue attività si sa assai poco anche perché non aveva l'abitudine di sottoscrivere i libri che stampava (ne è rimasto un solo esempio, del 1461). Esule a Strasburgo, si iscrisse fra il 1428 e il 1444 alla corporazione degli orafi e avviò i primi esperimenti tipografici. Tornato a Magonza, riuscì ad aprire una tipografia nel 1450 ma cinque anni dopo subì un processo per insolvenza e dovette abbandonarla; nell'ultimo decennio della sua vita aprì, grazie ai finanziamenti del sindaco di Magonza, una seconda officina tipografica che stampò bibbie, messali e trattati religiosi. L'inventore della stampa morì in povertà e quasi cieco il 3 febbraio 1468, a Magonza.

Per rendere omaggio al grande tipografo tedesco abbiamo scelto i cinque francobolli che la Germania Federale gli ha dedicato nel corso degli anni. Di ognuno di essi è possibile vedere l'immagine e leggere una breve descrizione sopra.

Johann Gutenberg, l’inventore della stampa
Johann Gutenberg nacque a Magonza nel 1400, dalla famiglia Gensfleisch, più nota però con il nome di Gutenberg, il nome del villaggio d’origine. Il padre lavorava presso la zecca cittadina e Johann prese la strada dell’orificeria, dal cui esercizio apprese quelle conoscenze tecniche poi alla base della scoperta del modo di «scrivere artificialmente con caratteri mobili».
I primi documenti per cui ci è noto risalgono al 1420, mentre quelli che per la prima volta fanno cenno – piuttosto oscuro – alla nuova arte sono del 1439. Questi ultimi si riferiscono a un processo che Gutenberg intentò a Strasburgo, dove si trovava esule almeno dal 1433, contro Nikolaus Dritzehn, fratello ed erede di Andreas Dritzehn, Johann Riffe e Andreas Heilmann, con i quali collaborava sin dal 1436 allo scopo di sfruttare dei procedimenti industriali da lui escogitati. Stipulato il contratto della società, si era posto il laboratorio in casa del Dritzehn. Non molto tempo dopo, Andreas morì e dall’officina scomparvero alcuni pezzi del materiale già preparato. Questo furto e la pretesa dei fratelli del defunto di succedergli nella società, provocarono la lite che finì in tribunale. Gli atti alludono, con un linguaggio forse volutamente misterioso, ai procedimenti di Gutenberg; si parla infatti di «specchi» (Spiegel, forse in riferimento a stampe tabellari oppure copie del volume Speculum humanae salvationis?) e poi di «pezzi» (Stücken) che si separano o che si fondono, «forme» (Formen) di piombo e di un torchio: tutti strumenti alla base della tipografia. Non si sa cosa accadde a Johann negli anni seguenti; di certo la società fu sciolta e pare che nel 1444 egli ritornasse a Magonza. In quest’epoca dai suoi torchi sarebbero uscite alcune opere, ma l’attribuzione è discutibile; sono infatti giunte a noi copie frammentarie e senza il nome di tipografo. Verso il 1450, Gutenberg si associò con un ricco compatriota, Johann Fust, che gli prestò 800 fiorini per la fabbricazione di certi utensili e successivamente altre somme per «l’opera dei libri», cioè per l’acquisto di carta, pergamena e inchiostro: sono gli anni di preparazione dal grande capolavoro, la Bibbia detta «delle 42 linee» o «Mazarina» dal nome della biblioteca dove venne scoperto nel sec. XVII un esemplare. Contemporaneamente, egli avrebbe dato altre prove delle sue capacità, pubblicando, sempre senza nome di tipografo, il Türkenkalender e almeno due edizioni delle Lettere d’indulgenza, contenenti una bolla di papa Niccolò V relativa alla raccolta di aiuti per il re di Cipro in lotta contro i Turchi. Per ragioni difficili da stabilire, il lavoro di stampa procedeva a rilento nonostante l’apporto tecnico di un nuovo socio, Peter Schoeffer, e reclamava sempre nuovi finanziamenti. La situazione di Gutenberg divenne sempre più pesante: non era più in grado né di far fronte al pagamento degli interessi né di restituire le somme avute (oltre 2000 fiorini d’oro). Fu intentato un processo e Fust ebbe, nel 1455, sentenza favorevole al sequestro di tutto il materiale giacente nella stamperia, compresi i fascicoli fino ad allora preparati dei duecento esemplari della Bibbia. Il lavoro fu in seguito ultimato dal Fust e dallo Schoeffer (1455-1456) e messo in vendita a loro esclusivo profitto. Gutenberg, estromesso dalla società, trovò un altro alleato in Corrado Humery, sindaco di Magonza, con l’aiuto del quale nel 1458 aprì una nuova stamperia: da essa si presume sia uscita, prima del 1461, un’altra Bibbia, detta «delle 36 linee». Gutenberg si ritirò dall’esercizio della professione verso il 1462 e morì verso il 1468. Non è possibile ricostruire con esattezza gli annali tipografici di Gutenberg, ma se la moderna critica tende ad abbandonare gran parte dei paleotipi a lui attribuiti in passato, è unanime il riconoscimento secondo il quale fu Gutenberg il primo ad aver intuito la possibilità di moltiplicare i testi mediante lo sfruttamento di tecniche già note combinate con la sua invenzione della forma, per la composizione tipografica.

La stampa a caratteri mobili
Il primo libro a stampa recante l’anno di edizione è datato 1457: venne pubblicato a Magonza da due editori, uno dei quali era stato socio di Johann Gensfleisch, conosciuto come Johann Gutenberg (ca. 1400-1468), l’inventore della tipografia moderna. Qualche anno prima, Gutenberg aveva dato alle stampe la cosiddetta «Bibbia delle 42 linee», considerata il primo lavoro tipografico in assoluto: esso tuttavia non reca data alcuna. È questa la ragione per cui è difficilissimo stabilire con precisione la data di nascita della stampa: del resto, la stessa «invenzione» di Gutenberg è piuttosto una efficace sintesi di competenze tecniche precedenti, destinata a durare per più di quattro secoli.
I precedenti che resero possibile la nascita della tipografia sono fondamentalmente quattro: la diffusione della carta fabbricata con la triturazione di materiali fibrosi (legno, lino, paglia, cotone: un’invenzione cinese, giunta in Europa nel sec. XI); l’utilizzo del torchio a vite, impiegato nelle cartiere per pressare la pasta da cui ricavare i fogli di carta, e ora anche per imprimere la stampa; l’imitazione della stampa xilografica (anch’essa un’invenzione cinese), ossia l’utilizzo di una tavola di legno incisa, inchiostrata e successivamente premuta su un foglio – una tecnica inizialmente adoperata in Europa per produrre carte da gioco e immagini; infine, l’introduzione dei caratteri mobili, imitando un procedimento dell’oreficeria: qui i caratteri erano costituiti da punzoni di acciaio, e gli orefici si servivano di questa tecnica per incidere scritte sui pezzi da loro fabbricati.
L’applicazione di caratteri mobili alla stampe garantiva la possibilità di apportare correzioni al testo stampato; inoltre diventava possibile riutilizzare gli stessi punzoni (ossia i medesimi caratteri), combinati diversamente, per comporre qualsiasi altro testo. La necessità di disporre di una grandissima quantità di caratteri, indispensabile per stampare un libro di centinaia di pagine, suggerì a Gutenberg anche un’altra innovazione: la fusione a ripetizione. In tal modo le matrici di acciaio venivano adoperate per produrre caratteri di piombo, metallo più tenero ed economico, allo scopo di ottenere con facilità migliaia di esemplari della stessa lettera.

Se volete approfondire l’invenzione della stampa a caratteri mobili e la vita di Johann Gutenberg potete farlo sfogliando le pagine del 6° volume de La Storia – Dalla crisi del Trecento all’espansione europea nella biblioteca dell’Antica Frontiera.

1 Commento

La presa di Granada e la fine della Reconquista

2/1/2015

0 Commenti

 
Immagine
Oggi è il 523° anniversario della presa di Granada.
La città andalusa fu l'ultimo reame ad essere "riconquistato" dai cristiani che, per un lungo periodo, le consentirono di sopravvivere, sia pure in uno stato di sostanziale infeudamento, alla corona di Castiglia, fino a quando, il 2 gennaio 1492, Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona costrinsero alla resa e all'esilio l'ultimo Sultano Abū ʿAbd Allāh (il "Boabdil" delle cronache cristiane dell'epoca). 
Per ricordare questo importante evento storico abbiamo scelto la serie di cinque valori che nel 1951 le poste spagnole emisero in occasione della giornata del francobollo per commemorare il quinto centenario della nascita della regina Isabella I. Gli esemplari raffigurano sullo sfondo del ritratto della regina un particolare della "
Presa di Granada", il quadro dipinto dal pittore spagnolo Francisco Pradilla nel 1882 e che si trova oggi nel Palazzo del Senato a Madrid.


La conquista di Granada segna un momento esaltante, da un punto di vista politico e religioso, per gli esiti finali della “riconquista” Le fasi precedenti l’episodio guerresco sono simili a quelli che hanno preceduto il fenomeno delle crociate, con ampie concessioni di privilegi, da parte papale, ai sovrani cristiani, e non meno ampie concessioni di indulgenze a quanti prendono le armi contro i Mori. Da parte loro i Mori del Regno di Granada testimoniano un alto grado di frammentazione politica che li porta inevitabilmente alla sconfitta. Con il Regno moresco scompare un luogo di contatto e conoscenza tra culture diverse.
Il vassallaggio moresco
A partire dal 1272, l’ultima postazione musulmana nella penisola iberica rimane il Regno di Granada, una regione che si estende nella parte sud-orientale della Spagna occupando buona parte della costa in prossimità dello Stretto di Gibilterra. Si tratta di una provincia strategicamente importante, poiché attraverso di essa i Mori potranno esercitare nei secoli successivi un’influenza sulla politica iberica, attraverso complessi intrecci di alleanze e vassallaggio con le potenze cristiane. Il matrimonio tra Isabella di Castiglia (1451-1504) e Ferdinando il Cattolico (1452-1516) e la loro rispettiva ascesa al trono di Castiglia e di Aragona pone le premesse di una definitiva soluzione del problema della persistenza moresca, in quanto i due sovrani, potendo procedere di comune accordo, esprimono i termini di una strategia politica che presenta le stesse caratteristiche quanto alla riaffermazione della matrice cattolica nei due regni.
Dopo che Isabella ha affrontato la guerra con Alfonso V di Portogallo (1432-1481), che rivendicava alla moglie Giovanna (1462-1530) la successione legittima sulla corona di Castiglia, il dispendio di risorse economiche che il conflitto ha comportato ha ripercussioni in entrambi i Regni. La risoluzione di questi problemi sembra essere determinata anche dal­ l’allettante possibilità di una legittima appropriazione di tutti i benefici ecclesiastici, vigenti nel Regno di Granada, che viene riconosciuta da una bolla di papa Innocenzo VIII (1432-1492, papa dal 1484) dell’8 dicembre 1484. Essa concede, tra 1’altro, il patronato delle chiese e dei monasteri del Regno di Granada con la facoltà, da parte dei sovrani spagnoli, di presentare alla Santa Sede i nominativi di vescovi e abati scelti da loro stessi.
Le fonti tradizionali attestano che il sultano del Regno di Granada, Muley Abu al-Hasan (?-1485), si oppone al tributo che il suo Stato deve pagare nei confronti dei sovrani di Castiglia. Alle richieste da parte di questi ultimi che l’omaggio vassallatico sia rinnovato come condizione della conferma della tregua tra musulmani e cristiani, il sovrano moro minacciosamente risponde che le monete per pagare il tributo servono ai suoi sudditi per fabbricare armi contro i cristiani. È con queste premesse che i due Regni cristiani, agli inizi degli anni Ottanta del Quattrocento, procedono assieme, sul piano militare, contro il Regno di Granada.
La crisi dei due sultani
Il conflitto ha una durata più che decennale, poiché le operazioni militari sono inframmezzate con trattative tra i sovrani cattolici e i personaggi che guidano le diverse città moresche diventate obbiettivo di attacchi militari cristiani. Il marchese di Cadice (1443-1492) ottiene il primo significativo risultato già nel febbraio 1482, quando penetra negli Stati moreschi conquistando la città di Alora, che si arrende alla fine di giugno del 1484. La città conquistata si trova a poca distanza da Granada capitale del Regno, di cui Alora costituisce una sorta di avamposto difensivo. Proprio per questo gli abitanti della capitale Granada si ribellano al sultano, nominando al suo posto il figlio Boabdil (Abù’ Abdallàh, 1452-1528). Il sultano spodestato si salva con la fuga e si rifugia a Malaga presso il fratello Zaghal.
Come conseguenza di questa vicenda, scoppia una guerra civile tra il sultano spodestato e il figlio, a causa della quale si rompe il fronte difensivo dei Mori nei confronti degli attacchi cristiani. Il nuovo sultano, per fronteggiare contemporaneamente i suoi nemici cristiani e i sostenitori del vecchio sultano, assedia la città di Lucene che viene liberata dall’intervento cristiano; nel corso della battaglia, lo stesso Boabdil viene fatto prigioniero. La detenzione del giovane riunifica le truppe moresche sotto la guida e l’esperienza del padre. Ferdinando per cercare di frantumare di nuovo il riacquistato amalgama del fronte moresco libera il giovane capo musulmano e lo dota di mezzi finanziari e di milizie per essere in grado di affrontare il padre.
La conquista del Cattolico
Le truppe ferdinandee entrano nel regno dei Mori, ottenendo risultati cospicui in termini di conquiste di centri urbani. Nel settembre del 1484 viene acquisita Setenil, nel maggio del 1485 Ronda, un anno dopo Loja; infine, nell’aprile del 1487 e nel successivo agosto, prima Vélez-Màlaga, poi Màlaga, Di fronte ai disastri militari che hanno fatto perdere centri importanti del Regno, i “reguli” che guidano le città moresche decidono di porre alla guida dello Stato un nuovo sultano, sostituendo i due fautori della guerra civile. Viene scelto Zaghal, fratello del vecchio sultano e zio di Boabdil. La grave crisi militare che ha colpito il Regno moresco non si arresta nonostante il cambio dinastico, poiché Zaghal, nel corso del 1489, perde Baza, Cadige e Almeria.
Lo slancio delle armate cristiane viene rinsaldato dalla bolla papale del 1479 di indizione della crociata, più volte reiterata negli anni successivi. Essa offre, come controprestazione al pagamento di una somma stabilita, l’indulgenza plenaria, l’assoluzione da peccati riservati, la commutazione di voti, il perdono e l’omissione di censure, dell’interdetto, del digiuno. Si tratta di una sorta di composizione pecuniaria per delitti spirituali realmente commessi o soltanto imputati. Due anni più tardi, infine, è la stessa capitale del Regno e residenza del sultano ad essere minacciata dalle truppe dei due re cattolici, i quali il 6 gennaio del 1492 penetrano con il loro esercito all’interno delle mura della città islamica.
A distanza di otto secoli dalla conquista musulmana del regno visigoto i seguaci di Maometto (570 ca. – 632) sono costretti ad abbandonare la penisola iberica e lasciano nelle mani di Isabella e Ferdinando la città che meglio rappresenta la civiltà araba conservando nel suo seno l’Alhambra e la Generalife, monumenti tra i più rappresentativi dell’arte orientale. Proprio Granada era stata fondata dagli Arabi nel 756 presso le rovine della città di Illiberis divenendo, dopo la conquista di Cordova, la capitale dell’ultimo dei regni dei Mori.
La cacciata dei Mori
La costante crescita civile e socio-economica che ha caratterizzato Granada durante i secoli della presenza moresca e la specificità che si è espressa grazie all’influenza di maestranze artigiane arabe viene intaccata a causa della conquista cristiana. Inoltre viene meno il ruolo di cerniera fra i due mondi, quello islamico e quello cristiano, che la città ha svolto nel corso del basso Medioevo. La conquista dei re cattolici sottopone a dura prova l’economia della provincia andalusa e ne consegue una grave crisi. L’avvento degli Spagnoli si manifesta con una forte pressione politico-religiosa, che ha l’obbiettivo di costringere la popolazione moresca alla conversione, oppure all’emigrazione, determinando una condizione di forte insicurezza che non favorisce la vitalità civile ed economica. Ripercussioni di questa condizione di subalternità si manifesteranno a lungo termine con la rivolta e la conseguente repressione dei moriscos sotto Filippo II (1527-1589), nel 1561. La débâcle che interessa la città capoluogo dell’ultimo regno di Granada è testimoniata dalla crisi demografica: la popolazione, che nell’ultima età moresca ha raggiunto i duecentomila abitanti, ai primi dell’Ottocento si presenta come quella di una modesta provincia spagnola di circa diciottomila abitanti.

Quello che avete letto è il brano di Rossana Sicilia dedicato alla riconquista di Granada tratto dal 10° volume de Il Medioevo di Umberto Eco. Se volete continuare a leggerlo potete trovarlo nella biblioteca dell’Antica Frontiera.

0 Commenti

La nascita di Baldassarre Castiglione

6/12/2014

0 Commenti

 
Immagine
Bhutan, 1983. Quinto centenario della nascita di Raffaello. Ritratto di Baldassarre Castiglione.
Immagine
Comore, 1983. Quinto centenario della nascita di Raffaello. Ritratto di Baldassarre Castiglione.
Immagine
Fujeira, 1968. Dipinti. Ritratto di Baldassarre Castiglione.
Immagine
Bulgaria, 1983. Quinto centenario della nascita di Raffaello. Ritratto di Baldassarre Castiglione.
Immagine
Yemen, 1969. Olimpiadi della cultura 1968, Louvre. 
Ritratto di Baldassarre Castiglione.

Oggi è il 536° anniversario della nascita di Baldassarre Castiglione.
L'umanista la cui prosa è considerata una delle più alte espressioni del Rinascimento italiano nacque infatti a Casatico, nel Marchesato di Mantova, il 6 dicembre 1478. Nell'opera Il Cortegiano descrisse il tipo di perfetto gentiluomo di corte: nobile di natali e di sentimenti, elegante, cortese, prudente, coraggioso, fedele, esperto di lettere e d'arti come d'armi, aperto all'amore della bellezza spirituale adombrata nella bellezza corporea.
Il suo volto barbuto e dai penetranti occhi azzurri è stato tramandato ai posteri grazie a uno splendido ritratto che Raffaello gli fece esattamente 500 anni fa. Questo famoso dipinto ad olio, che si trova oggi nella sede di Lens del Louvre, è stato immortalato sui cinque francobolli che completano questo articolo e dei quali è possibile leggere una breve descrizione sopra.

Chi era: Baldassarre Castiglione fu intellettuale e letterato, capace diplomatico per duchi e marchesi, nunzio pontificio alla corte imperiale, uomo d’armi. In veste di ambasciatore intrattenne un fitto carteggio con personaggi importanti, oggi molto utile per comprendere i rapporti tra i potentati dell’epoca.
Che cosa fece: scrisse opere in prosa e in versi sia in latino sia in volgare contribuendo al dibattito sull’importanza della lingua, che voleva sfrondata dagli eccessivi arcaismi ma non di esclusiva matrice toscana. Nei suoi scritti cercò di raggiungere l’armonia e la bellezza attraverso la rivisitazione di modelli antichi come Platone e Cicerone. Esaltò la stagione aurea delle corti di Milano, Mantova e Urbino, nelle quali soggiornò, portandole a esempio della raffinatezza del pensiero, del gusto e del costume. Idealizzò una società cortese colta ed elegante, modello dei valori etico-politici e della fioritura artistico-letteraria della cultura umanistica, alla quale la nobiltà rinascimentale avrebbe dovuto tendere.
La sua opera emblematica: Il Cortegiano, riflessione in forma di dialogo sulle qualità ideali e gli atteggiamenti più consoni per gentiluomini e dame nei rapporti col principe(1528). Libro di risonanza, iniziò a circolare ancor prima di essere stampato.

Se volete approfondire la biografia dell’illustre letterato mantovano e l’epoca in cui visse potete farlo sfogliando il numero di Focus Storia Collection dedicato al Rinascimentonella biblioteca dell’Antica Frontiera.

0 Commenti

La nascita di Vlad III principe di Valacchia

2/11/2014

0 Commenti

 
Immagine
Immagine
Immagine
Immagine
Oggi è il 583° anniversario della nascita di Vlad III principe di Valacchia, noto come “Tepes” (“impalatore”).
Nato a Sighișoara, nella regione rumena della Transilvania, fu membro della Casa dei Drăculești, e per questa ragione è molto conosciuto anche con il suo nome patronimico di Dracula.
Venerato come eroe popolare in Romania così come in altre parti d'Europa per aver protetto la popolazione rumena sia a sud che a nord del Danubio, il soprannome 'l'Impalatore' deriva dalla sua pratica di impalare i nemici.
Vlad III fu celebre fonte d'ispirazione per lo scrittore irlandese Bram Stoker nella creazione del suo personaggio più famoso, il conte Dracula, protagonista dell'omonimo romanzo.
Per ricordare questo personaggio storico abbiamo scelto le emissioni che la sua madrepatria gli ha dedicato nel corso degli anni.
Il primo francobollo riguardante il principe Vlad III venne emesso dalla Romania nel 1959. Si tratta di un valore grigio-blu da 20 bani che fa parte della serie di sei esemplari emessa in occasione del quinto centenario della città di Bucarest e che raffigura Vlad con un documento del 1459. A completamento della serie venne stampato in soli 30 mila esemplari un raro foglietto violaceo da 20 lei, anch'esso raffigurante il principe con un documento risalente alla fondazione della capitale rumena.
Nel 1976 le poste di Ceaușescu vollero commemorare il quinto centenario della morte di Vlad III con un francobollo policromo da 55 bani appartenente a una serie di quattro valori dedicata ad anniversari diversi. Anche in questo caso il soggetto rappresentato è il solito ritratto del principe.
L'ultima emissione dedicata all'impalatore risale al 1997. Si tratta di una coppia di due esemplari con rispettive vignette facente parte dei francobolli di Europa CEPT legati quell'anno al tema delle saghe e delle leggende. Il valore da 400 lei ritrae il personaggio storico, mentre quello da 4250 lei il personaggio letterario di Dracula (le due vignette mostrano i rispettivi castelli).

2 Novembre 1431 : nasce Vlad Tepes ( Dracula )

Che sia una coincidenza puramente casuale, oppure un segno del destino, sta di fatto che la nascita di Vlad III Principe di Valacchia ( Romania ), comunemente conosciuto comeDracula, uno dei personaggi più sinistri e sanguinari che la storia ricordi, coincide con il Giorno dei Morti. E difatti tutta la vita di quest’ uomo spaventoso si svolse all’ insegna della morte, la morte violenta elargita a piene mani, con una ferocia ed una crudeltà tali da farlo diventare una leggenda nera quando ancora era vivente, in un’ epoca storica che pure considerava la crudeltà e la ferocia come pratiche assolutamente normali nella gestione del potere, nella conduzione della guerra e nella amministrazione della giustizia. Dracula è entrato nella storia e nella leggenda come un mostro letteralmente assetato di sangue, tanto che non a caso nel XIX° Secolo il suo personaggio ispirò lo scrittore irlandese Bram Stoker, che nel suo romanzo omonimo lo trasfigurò nell’ archetipo del Vampiro. Come ora vedremo, la storia del vero Dracula storico è incomparabilmente più orribile di quella del personaggio letterario, a suo modo espressione sia pur morbosa di una sensibilità comunque romantica. E’ tuttavia interessante notare come nella sua terra natale, la Romania, la figura di Dracula sia ricordata ancora oggi come un mito patriottico, dato che la cultura romena vede in lui, con buone ragioni, il campione della lotta per l’ indipendenza nazionale contro il dominio dell’ Impero Turco Ottomano. Da questo punto di vista, il paragone non scandalizzi, la figura storica di Vlad Tepes potrebbe per certi versi essere accostata a quella del nostro Giuseppe Garibaldi.

Le diverse fonti sono sostanzialmente concordi nel precisarne le fondamentali caratteristiche somatiche : lungo naso aquilino, lunga e fluente capigliatura e foltissimi baffi neri. Il ritratto originale da cui derivano tutte le altre raffigurazioni è l’ immagine in basso a destra, un quadro del XV Sec. conservato nel Castello di Ambras, nel Tirolo Austriaco. 

Nonostante il mito letterario originato dal romanzo di Stoker abbia indissolubilmente legato la figura di Dracula alla regione romena della Transilvania, nella realtà storica la figura di Vlad III non è particolarmente connessa con questa regione, con l’ eccezione significativa che fu la Transilvania a dargli i natali, nella città di Sighisoara, appunto il giorno 2 Novembre 1431. La vita di Dracula fu invece strettamente connessa alla regione dellaValacchia, di cui già suo padre Vlad II era stato Voivoda ( principe ), e per la cui signoria egli lottò ferocemente per tutto il corso della sua esistenza. In quei tempi la situazione politica della Romania, che allora ovviamente non esisteva ancora come stato unitario ed era frazionata in una pluralità di principati, era molto delicata e pericolosa, dato che il suo territorio si trovava preso in mezzo tra il Sacro Romano Impero cristiano a nord ed il potente Impero Turco Ottomano musulmano a sud, nel momento in cui questo aveva già iniziato una decisa politica espansionistica nei Balcani. Il controllo degli “ stati cuscinetto “ come la Valacchia assumeva quindi per ambedue le grandi potenze una fondamentale valenza strategica, e chi, come Vlad II e dopo di lui suo figlio Vlad III, aveva a cuore soprattutto l’ indipendenza del proprio regno, era costretto dalla forza delle cose ad una politica necessariamente ambigua, tesa a barcamenarsi tra le pressioni di forze molto più potenti, e nella quale i voltafaccia, i cambiamenti di alleanza e di schieramento ed i tradimenti reciproci erano all’ ordine del giorno.

Il padre di Dracula, Vlad II Dracul, era diventato Voivoda di Valacchia nell’ anno1436. Il soprannome del Principe derivava dal fatto che egli apparteneva all’ Ordine delDrago, un Ordine Cavalleresco creato dall’ Imperatore Sigismondo IV nel 1408, la cui missione era la difesa della Cristianità dalla crescente minaccia turca. In romeno la parola “ Drac “ significa drago, ma significa anche diavolo ( del resto la stretta parentela tra i due è ben nota fin dai tempi della Bibbia, ed anzi risulta curioso che un Imperatore Cristiano abbia scelto questa simbologia per un Ordine votato a difendere la religione di Cristo ).

Il suffisso “ ul “ ha in romeno la funzione del nostro articolo il, e quindi Vlad II, che non doveva nemmeno lui essere un soggetto particolarmente raccomandabile, era stato popolarmente denominato “ il Diavolo “. Poiché l’ altro suffisso “ ea “ significa di, ne risulta che il termine “ Draculea “ ( o Draculia, secondo altre fonti ), poi contratto in Dracula, assume il significato di “ Figlio del Diavolo “. Non vi è alcun dubbio che Vlad III abbia tenuto fede a questo inquietante epiteto in maniera spettacolare.

Vlad II stabilì la sua capitale nella città di Targoviste, ma già l’ anno successivo al suo insediamento entrava pesantemente in urto con Giovanni Hunyadi Principe di Transilvania, e per preservare l’ indipendenza del suo regno minacciato da Hunyadi che era spalleggiato dal potente Regno di Ungheria, non esitò a stringere patti di alleanza con ilSultano Ottomano Murad II, nonostante fosse Cavaliere dell’ Ordine del Drago, votato alla lotta ai Turchi. Fino al 1442 Vlad Dracul riuscì a barcamenarsi tra Ungheresi e Turchi, ma in quell’ anno il Sultano, non fidandosi di lui, lo invitò ad Adrianopoli e lo fece imprigionare. Prontamente Hunyadi occupò la Valacchia , mettendo un suo protetto sul trono. Allora il Sultano fece liberare Dracul, che con l’ appoggio di truppe ottomane riuscì nel 1443 a riconquistare il suo regno. Tuttavia, per garantire al Sultano la sua dubbia fedeltà, egli dovette impegnarsi a mandare alla Corte di Costantinopoli in qualità di ostaggi i suoi due figli minori, Vlad ed il piccolo Radu, detto “ il Bello “, trattenendo invece con sé in patria il figlio maggiore Mircea. In un’ epoca di incerte e malfidate alleanze, era questa una pratica abbastanza comune, che tendeva a garantirsi lealtà minacciando rappresaglie.

In qualità del loro rango, i due giovani principi erano trattati con ogni riguardo ( perlomeno fintanto che il loro genitore si comportava come doveva … ). Essi furono educati alla cultura ed alla religione musulmana, ed istruiti nelle lettere e nell’ arte della guerra. Ma alla Corte degli Ottomani il futuro Dracula doveva imparare anche cose molto meno simpatiche. Fu infatti durante il suo soggiorno forzato presso i Turchi che egli imparò a conoscere il terribile supplizio del Palo, che gli Ottomani comunemente infliggevano ai criminali, e che successivamente egli avrebbe sistematicamente riservato a tutti i suoi nemici, prigionieri, ed in genere a chiunque ritenesse degno di una punizione esemplare. E fu proprio la sua maniacale predilezione per questo infame supplizio che gli fece meritare l’ altro soprannome con cui è passato alla storia, e cioè per l’ appunto Vlad Tepes, che significa “ l’ Impalatore “. Gli stessi Turchi, quando se lo trovarono di fronte come nemico ed ebbero avuto modo di sperimentare quale ineluttabile destino attendesse quelli che cadevano nelle sue mani, lo chiamarono Kaziglu Bey ( Principe Impalatore ).

Nel 1447, Giovanni Hunyadi aggrediva nuovamente la Valacchia, liquidando una volta per tutte Vlad II Dracul e il suo figlio maggiore Mircea. Hunyadi nuovamente sistemò uno dei suoi fedeli sul trono, e l’ anno successivo intraprese una offensiva contro i Turchi, nella quale doveva però risultare sconfitto. Dal canto suo, il Sultano liberò Dracula, che all’ epoca aveva diciassette anni, e lo fornì di truppe per tentare la riconquista del suo regno. Le strade dei due fratelli ostaggi si separavano : mentre Vlad negli anni a venire sarebbe diventato il più implacabile nemico dell’ Impero Ottomano, Radu il Bello sarebbe invece rimasto alla Corte Ottomana, si sarebbe convertito alla religione musulmana, e sarebbe diventato ascoltato consigliere, ed alcune fonti dicono anche amante, del nuovo Sultano Maometto II. Il tentativo di Vlad ebbe successo, e nella tarda estate del 1448, per la prima volta Dracula entrava in Targoviste come Voivoda di Valacchia. Il successo doveva però rivelarsi effimero : già nel dicembre di quello stesso 1448 veniva sconfitto, spodestato, e costretto nuovamente a prendere la strada di un lungo esilio, che per otto anni lo avrebbe condotto da un paese danubiano all’ altro, presso le Corti di Moldavia, Transilvania ed Ungheria. Dracula fu rieducato al Cristianesimo, venne istruito nell’ arte della guerra, entrò come suo padre a far parte dell’ Ordine del Drago, ed infine accettò di unirsi al seguito proprio di quel Giovanni Hunyadi che era stato la causa della fine di suo padre e di suo fratello maggiore. Alla Corte Ungherese di Buda, nel mentre iniziava a distinguersi come guerriero praticando incursioni di guerriglia in territorio turco, Vlad ebbe occasione di conoscere e stringere amicizia con il figlio di Giovanni Hunyadi, il futuro Re di Ungheria Mattia Corvino. Intanto, gli avvenimenti precipitavano : nel 1453 i Turchi passarono all’ offensiva, e Costantinopoli venne conquistata dal Sultano Maometto II. Nel 1454 passarono all’ attacco dell’ Ungheria, ma vennero sconfitti da Hunyadi nellaBattaglia di Szendro. Vlad combatté in quella occasione al fianco degli Ungheresi, ed ottenne in premio del suo valore la restituzione alla corona valacca delle cittadelle di Almas e Făgăraş, sulle falde dei Carpazi meridionali.

Nella estate del 1456, Giovanni Hunyadi sconfisse nuovamente gli Ottomani nella Battaglia di Belgrado, solo per morire poco dopo di peste. Dracula approfittò delle circostanze per occupare la Valacchia e riprendersi il trono, e venne incoronato Principe dal Metropolita Valacco nella chiesa di Curtea de Argeş, fatta erigere da suo padre. Bisognoso di appoggi contro gli Ottomani, allacciò relazioni stabili con i suoi vicini, e prestò giuramento di fedeltà alla Corona Ungherese. Vlad non era però ancora abbastanza forte per contrastare apertamente Maometto II, così dovette inizialmente pagare il tributo stabilito dagli accordi presi da suo padre con Murad II, presentarsi annualmente alla Sublime Porta per il formale omaggio al Sultano e, nel 1458, permettere il transito delle forze turche che attaccarono gli Ungheresi alla rocca di Turnu Severin, sul territorio romeno. Nei primi anni del suo regno, Dracula dovette infatti fronteggiare la sfida per il trono valacco di un altro pretendente, Dan III di Valacchia, che era appoggiato da molti nobili valacchi. Nel 1460, Vlad lo sconfisse definitivamente nella Battaglia di Rucăr , lo uccise in battaglia e passò a poi a sterminarne senza pietà i seguaci, innalzando vere e proprie foreste di impalati. Rinsaldato il suo potere all’ interno del regno, Dracula stipulò una alleanza anti ottomana con il nuovo Re di Ungheria Mattia Corvino. Nel 1462 il conflitto tra Maometto II e Vlad III esplose. Il Voivoda catturò e fece impalare i messi del sultano, poi attraversò il Danubio gelato e penetrò per ben 800 chilometri all’ interno del territorio ottomano. Il resoconto della spedizione, spedito da Dracula all’ alleato Mattia, parla di 23.883 morti, « senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case o le cui teste non sono state mostrate ai nostri ufficiali ».

Mattia Corvino non si unì però alla crociata promossa da Dracula, lasciando il Voivoda da solo contro le ritorsioni turche. Peggio ancora, il Re di Moldavia Ştefan cel Mare tradì Vlad e si alleò a Maometto per riconquistare la fortezza moldava di Chilia, occupata dalle truppe valacche. Costretto a dividere le sue forze ( circa 30.000 uomini in tutto ) tra Chilia ed il Danubio, Vlad venne investito dall’ esercito del sultano ( forte di 60.000, forse 80.000 uomini ) e costretto a ripiegare mentre gli invasori passavano il Danubio ( 4 Giugno ). Vlad attaccò nottetempo il campo ottomano con forse 10.000 uomini, cercando di uccidere Maometto in persona ( 17-18 giugno ). Il famoso attacco notturno di Dracula, passato alla storia come la Battaglia delle Torce, scompaginò le file ottomane e costò all’ esercito turco ben 15.000 morti, ma mancò il suo obiettivo principale, e cioè l’ eliminazione fisica di Maometto II.

Il 18 giugno Vlad si diede alla fuga, sfuggendo un nuovo confronto diretto e lasciando Targoviste al nemico. Mentre il fuggiasco Dracula si arroccava tra i monti nella Fortezza di Poenari, da lui fatta costruire, il Sultano nominava suo fratello Radu il Bello nuovoVoivoda di Valacchia, e lasciava a lui l’ onere di proseguire la lotta contro l’ Impalatore. Radu, ottimamente rifornito dal Sultano, nel frattempo prudentemente rientrato in patria, di un incessante flusso di uomini e mezzi, riuscì anche a coalizzare contro Dracula una buona parte dei nobili valacchi, che in molti non sopportavano il regime dispotico a cui il Principe assoggettava il territorio, e che fortemente limitava i loro privilegi. Nel Settembre del 1462, nonostante le crescenti difficoltà, Vlad era riuscito a conseguire altre tre significative vittorie, in una incessante guerriglia condotta con i mezzi più spietati, nella quale ogni prigioniero turco veniva senza indugio implacabilmente infilzato sopra un palo. I soldati ottomani, che pure erano in larga parte truppe scelte, tra cui primeggiava il famoso corpo dei Giannizzeri, erano terrorizzati dall’ Impalatore, e quando se lo trovavano davanti in battaglia, venivano spessi presi dal panico, come se davvero avessero di fronte il diavolo in persona. E di certo non mancavano ottime ragioni per giustificare o quanto meno scusare questo loro atteggiamento.

Le cronache riportano che in una occasione un esercito turco si ritirò in preda allo sgomento quando, entrato in una valle, si trovò di fronte a ciò che restava di un convoglio di truppe e salmerie che Dracula aveva sorpreso e distrutto. Una vera e propria foresta di impalati, nella quale migliaia di corpi ormai putrefatti ammorbavano l’ aria per chilometri, innalzati a mezz’ aria sui legni che li trafiggevano. Vlad aveva fatto impalare non solo ogni soldato, ma anche ogni donna e bambino, e perfino ogni cane che avesse avuto la disgrazia di accompagnare lo sventurato convoglio di rifornimenti.

Tuttavia Dracula era ormai ridotto allo stremo, avendo consumato tutto il denaro di cui disponeva per pagare le sue truppe mercenarie. A malincuore prese nuovamente la via dell’ esilio, riparando in Ungheria alla Corte del suo alleato Mattia Corvino, per chiedere l’ aiuto ed il supporto di questi nella sua lotta contro gli Ottomani. Le speranze di Vlad andarono deluse nel modo più amaro; in quel particolare frangente, il Re di Ungheria non intendeva in alcun modo impegnarsi a fondo contro i Turchi, dato che anch’ egli versava in ristrettezze finanziarie che non gli avrebbero consentito di organizzare una spedizione che avesse speranze di successo. Ritenendo che Dracula fosse un pericolo per la sua politica, ma rifiutando di eliminarlo in virtù dei vincoli di parentela, dato che Vlad ne aveva sposato la cugina, alcune fonti addirittura dicono la sorella, Mattia Corvino decise di fare imprigionare il Principe Valacco. La prigionia di Dracula in Ungheria, che lo vide ospite forzato in successione delle fortezze di Oratia, Visengrad e Buda, non fu particolarmente severa, tanto è vero che poté condividerla con la moglie, ma durò molto a lungo. La sua esatta durata è controversa e quindi oggetto di dibattito, ma diverse fonti la descrivono come un periodo di ben dodici anni, dal 1462 al 1474.

Tuttavia, con il passare degli anni, il fatto che la Valacchia sotto il governo di Radu entrasse stabilmente a far parte della sfera di influenza ottomana non era cosa che il Re di Ungheria e gli altri Principi Cristiani dei Balcani potessero vedere di buon occhio; quello stesso Ştefan cel Mare Re di Moldavia, che come abbiamo visto si era a suo tempo alleato ai Turchi contro Dracula, ora che la pressione degli Ottomani sul suo stesso territorio si faceva via via più minacciosa, si faceva paladino della causa del suo vecchio nemico e ne perorava la liberazione. Nel 1475, Radu morì per una malattia improvvisa, e nel 1476 Dracula venne liberato e si reimpossessò del suo Regno con l’ aiuto ungherese. Egli proclamò in modo ufficiale per la terza volta la sua signoria sulla Valacchia il giorno 26 Novembre di quello stesso anno, ma questa volta il suo dominio doveva rivelarsi estremamente effimero. Durò infatti neanche due mesi, dopodiché Vlad venne assassinato a tradimento da alcuni cavalieri del suo seguito, forse prezzolati dal Sultano o forse timorosi di vendette. La data esatta della sua morte è incerta, la maggior parte delle fonti la collocano nel Dicembre 1476. Similmente incerto è il luogo esatto del suo assassinio, che dovrebbe collocarsi in un qualche punto della strada che conduce da Bucarest a Giurgiu. In ogni caso è certo che Dracula era sicuramente morto entro la data del 10 Gennaio 1477. La sua testa venne portata a Costantinopoli come trofeo, ed il corpo seppellito senza cerimonie dal suo rivale per il trono Basarab Laiota, forse nel Monastero di Comana, di cui Vlad stesso era stato il fondatore nell’ anno 1461. Questo Monastero venne in seguito demolito, e poi ricostruito nell’ anno 1589.

Nel corso del XIX Secolo, alcuni storici romeni vollero sostenere, sulla base di una tradizione popolare non supportata da nessuna documentazione storica evidente, che Dracula fosse stato sepolto nel Monastero di Snagov, che si erge al centro di un’ isola a poca distanza da Bucarest. La leggenda sosteneva che anche di questo Monastero Vlad fosse stato il fondatore, e che per questo motivo vi fosse stato sepolto dopo la sua morte. Ricerche archeologiche condotte nell’ anno 1933 dimostrarono in modo incontrovertibile che la fondazione del Monastero risaliva al tardo XIV Secolo, un’ epoca quindi sensibilmente anteriore all’ epoca dell’ Impalatore. Ma soprattutto, gli scavi condotti nella Chiesa del Monastero rivelarono che non c’ era alcuna tomba sotto la lastra senza iscrizioni che la tradizione indicava come il luogo del riposo eterno del Principe. L’ archeologo Dino V. Rosetti dichiarò al riguardo : “ Sotto la lastra di pietra attribuita a Dracula non c’ era nessuna tomba. Solo molte ossa e mascelle di cavalli. “ Tuttavia, nonostante le smentite della ricerca storica ufficiale, la tradizione resiste e persiste : ancora oggi la lastra senza iscrizioni sul pavimento della Chiesa del Monastero di Snagov viene indicata come la “Tomba di Dracula “, e pare addirittura che ogni giorno i monaci recitino orazioni per l’ anima inquieta del poco raccomandabile defunto, in modo che se ne resti tranquillo nell’ oltretomba; ma forse anche questa è una leggenda. Quel che è certo, è il fatto che la “ Tomba di Dracula “ rappresenta una interessante attrattiva turistica, al pari della sua casa natale a Sighisoara, oggi in parte adibita a ristorante …

Esegesi delle Fonti Storiche su Vlad Tepes

La Tradizione Tedesca

La figura di Vlad Ţepeș fece la sua formale apparizione sulla scena letteraria europea nel1463, quando Mattia Corvino Re d’ Ungheria fece circolare presso la corte del suo alleato e rivale, l’ Imperatore Federico III d’Asburgo, un pamphlet intitolato Geschichte Dracole Waide ( ” Storia del Voivoda Dracula ” ), successivamente messo in scena alla corte dell’ Imperatore con l’ opera Von ainem wutrich der hies Trakle waida von der Walachei ( ” Storia del folle chiamato Dracula di Valacchia ” ) del poeta Michel Beheim.. Pretesto per la diffusione del materiale fu la sigla del Trattato di Wiener Neustadt tra i due sovrani. Nessun esemplare dell’ incunabulo originale, un opuscolo di sei foglietti con il ritratto di Vlad in prima pagina, si è conservato fino ai giorni nostri. Esistono quattro copie realizzate negli anni seguenti ( 1475-1500 ) e conservate nel Monastero di Lambach in Austria, nella Abbazia di San Gallo in Svizzera, nella Biblioteca Municipale di Colmar in Francia, e nella British Library in Inghilterra; il manoscritto della British Library è l’ unico completo. Disponiamo inoltre di 13 pamphlets databili dal 1488 al 1568. Otto deipamphlets sono incunaboli stampati prima del 1501.

La tradizione germanica su Vlad l’Impalatore è composta da un totale di 46 aneddoti. Tutte le storie cominciano nel momento in cui Giovanni Hunyadi elimina Vlad II Dracul ed il giovane Vlad III rinuncia alla sua religione per difendere la vera fede cristiana. Da questo punto in avanti, tutte le narrazioni divergono ma è chiaro che tutta questa bibliografia tedesca è stata redatta con il chiaro intento di distruggere la credibilità morale e politica del Voivoda Valacco. La prima versione del testo germanico venne molto probabilmente redatta da un chierico sassone di Braşov, a suo tempo testimone oculare, o rogatorio delle memorie di testimoni oculari, delle atrocità perpetrate da Dracula contro i cittadini di Braşov e Sibiu dal 1456 al 1460. La narrazione dei fatti è però in diversi casi adulterata da evidenti esagerazioni. Gli altri aneddoti possono essere divisi in due categorie : quelli che riportano fatti precisi, anche se la loro presentazione non obbedisce a nessuna regola, né cronologica né geografica : le spedizioni in Transilvania, la decapitazione del principe Dan III, etc.; e quelli che non comportano nessuna precisazione di date luoghi e persone. Ciò che colpisce nella letteratura di questo testo è l’ assenza di ogni causalità, di ogni legame logico tra i vari episodi. L’ unico punto in comune è Vlad, il quale sembra spinto da una furiosa rabbia omicida contro il mondo intero, senza alcuna logica né riflessione. Il materiale bibliografico distribuito per ordine di Corvino era stato quasi certamente redatto nel 1462, prima dell’arresto di Dracula per ordine del sovrano ungherese, e divenne un vero e proprio bestseller dell’ epoca. I motivi per cui Mattia Corvino incentivò la diffusione di questo materiale anti-Dracula sono abbastanza comprensibili. Impegnato in un conflitto contro Federico III, il Re di Ungheria aveva dirottato alla sua causa i fondi ammassati presso Venezia e Roma con la promessa al Papa di dichiarare guerra al Turco. Vlad, presentato come un mostro e, tramite una lettera contraffatta, come un vassallo di Maometto II, divenne lo spauracchio e la giustificazione cui Corvino ricorse per placare le ire dei suoi avversari : il re era stato costretto ad intervenire contro Dracula invece che agire direttamente contro gli Ottomani.

Tra il 1488 ed il 1568 la ” Storia del Voivoda Dracula ” venne ristampato in Germania per tredici volte, e sempre nelle tipografie delle grandi città imperiali : cinque a Norimberga ( 1488, due edizioni; 1499; 1520 circa, 1521 ), tre ad Augusta ( 1494, 1520-1542, 1559-1568), e una a Lubecca ( 1488-1493 ), a Bamberga ( 1491 ), a Lipsia ( 1493 ), a Strasburgo ( 1500 ) e ad Amburgo ( 1502 ). Dopo il 1490 la Storia del Voivoda Dracula perse la sua attualità politica per diventare un libro popolare, la lettura prediletta di un pubblico avido di storie nelle quali i tiranni e i mercanti la facevano da padroni. Dracula divenne unexemplum: l ‘ incarnazione stessa del male, un tiranno come Erode, l’ assassino degli innocenti, o come i persecutori dei cristiani Nerone e Diocleziano. Lo vediamo raffigurato nei quadri nelle vesti di Ponzio Pilato che giudica Gesù, oppure intento a condannare Sant’Andrea Apostolo ( un messaggio iconico fortissimo questo, se si considera il peso che il culto del santo ha sempre avuto nei Principati Danubiani ). Theodor Zwinger, autore di un Theatrum vitae humanœ ( Basilea, 1571) , pose Dracula tra i Principi malvagi nei capitoli ” Crudeltà di Principi verso i loro sudditi “, ” Interrogatori e torture dolorose ” e ” Disumanità contro i malati “. Il carattere sacro del pranzo e la sua deturpazione attraverso i crimini si trovano nel poema Flőhhaz di I. Fischer ( 1573 ), che rievoca il pranzo di Dracula sotto i cadaveri degli impalati, una scena che si poteva ammirare nell’ edizione di Strasburgo del 1500. Nel 1581 Zaccaria Rivader descrisse le crudeltà di Dracula nel capitolo Historien und Exempel von bősen und Gottlosen Regenten und Oberkeitein von Tyrannen und ihren bősen unlőblichen und tyrannischen Thaten und Wercken della sua raccolta di exempla. Nel 1596 Giorgio Steinhartelencò i misfatti del crudele tiranno «selvaggio», salvandolo in extremis con un riferimento alla sua comprovata fede cristiana.

La Tradizione Russa

Presumibilmente tra il 1481 ed il 1486 venne redatto, in lingua russa o in lingua slava, loSkazanie o Drakule voevode ( ” Il racconto del Voivoda Dracula ” ). L’ opera venne copiata ripetutamente dal XVI al XVIII Secolo. L’ esemplare più antico, datato 1490, reca la scritta conclusiva : ” Scritto nell’ anno 6994 del Calendario Bizantino ( i.e. 1486 ), il 13 Febbraio, poi trascritto da me, il peccatore Elfrosin, nell’ anno 6998 ( i.e. 1490 ), il 28 Gennaio “. L’ opera, priva di un consistente costrutto cronologico, è una raccolta di aneddoti bibliografici e storici inerenti Vlad Ţepes. I 19 aneddoti contenuti nello Skazanie sono più lunghi e consistenti rispetto alla tradizione bibliografica germanica. I primi tredici episodi sono privi di un filo conduttore cronologico, e ben testimoniano il rapido emergere di una tradizione folkloristica intorno alla figura di Vlad III. Gli ultimi sei episodi sono ritenuti il frutto del lavoro di uno studioso che ha curato di presentarli in buon ordine cronistorico : partono con la narrazione dei ” turbanti inchiodati ” e si concludono con la morte di Vlad e delle informazioni sulla sua famiglia. Tra i 19 aneddoti russi, dieci presentano delle evidenti similitudini con i racconti della tradizione germanica, ma se ne discostano nettamente per ciò che concerne la caratterizzazione del personaggio. Nei testi russi, la figura di Vlad appare certamente più positiva che non nei testi tedeschi : Dracula è presentato come un grande governante, un valoroso guerriero ed un sovrano giusto. Le atrocità da lui commesse paiono in questi testi un semplice scotto da pagare nella vita di un forte e risoluto sovrano.

Tra i tanti, solo quattro dei 19 aneddoti paiono riportare esagerazioni di violenze e massacri. Alcuni elementi delle storie su Dracula vennero poi ripresi nella tradizione folkloristica russa sviluppatasi intorno alla figura dello Zar Ivan IV di Russia, passato alla storia come “ Ivan il Terribile “. La vera identità dell’ autore dello Skazanie o Drakule voevode è ancora oggetto di discussione. Le ipotesi principali sono che l’ autore fosse un monaco transilvano, un prete romeno o un uomo, romeno o moldavo che fosse, della corte di Ştefan cel Mare Re di Moldavia. Secondo un’ altra teoria, l’ autore della raccolta sarebbe invece stato il diplomatico russo Fëdor Kuricyn.

La Tradizione Romena

Nel paese di Dracula, e fin dalla seconda metà del XVI Secolo, la memoria del Voivoda cadde presto nell’ oblio. I cronisti valacchi lo menzionano appena e lo confondono con altri principi del XV Secolo, le sue efferatezze e le sue gesta passarono sotto il silenzio e gli venne accreditata solo la costruzione della fortezza di Poenari. Solo nel 1804, parallelamente al risveglio indipendentista delle popolazioni romene contro turchi ed austriaci, la figura di Dracula riemerse dall’ oblio. Spinta da chiare motivazioni politiche, la memoria popolare romena dimenticò l’ orrore per le atrocità commesse da Vlad, in favore dell’ ammirazione per le sue virtù guerriere, per il suo spirito di libertà, per le coraggiose gesta compiute in difesa della sua terra contro i Turchi.

Si addussero ad attenuanti delle crudeltà di cui si era macchiato motivazioni fatalistiche : la guerra era di per sé stessa crudele, il nemico faceva altrettanto, non esistevano altri modi per fronteggiare il terrore ottomano. Era stato ” un sovrano terribilmente severo, s’ intende, ma la sua ira funesta l’ aveva principalmente rivolta contro coloro che osavano mentire o maltrattare la povera gente ” ( gli studi folcloristici romeni sono pieni di testimonianze come questa, resa nel 1910 da una vecchia contadina del distretto di Muscel ). Ne convennero ingenuamente gli stessi Sassoni, vittime abituali di spietate persecuzioni da parte di Dracula, ammettendo nel manoscritto di San Gallo che « quando qualcuno rubava, mentiva o si macchiava di qualsiasi ingiustizia nelle sue terre, non aveva nessuna possibilità di salvarsi, sia che fosse un nobile, un prete o un suddito qualunque».

Il mito del patriota temerario e quello del savio governante concorsero insieme a consolidare nella memoria storica popolare l’ immagine di un principe esemplare, in grado di salvaguardare non solo l’ indipendenza del regno ma di assicurare all’ interno l’ ordine, la legalità, la stessa laboriosità degli abitanti. Ne venne fuori una sorta di eroe nazionale, pronto ad esercitare nel modo più tremendo ogni potere se fosse stata in gioco l’ integrità della sua terra. Il dittatore romeno Nicolae Ceauşescu tentò di sfruttare fino in fondo a proprio vantaggio la popolarità di Dracula. Egli infatti non mancò mai di ostentare il suo coinvolgimento emotivo in tutto ciò che la figura di Vlad rappresentava, fino a scegliere il lago di Snagov come propria residenza estiva. Come tutti sanno, anche Ceausescu, così come Dracula, non morì tranquillamente nel suo letto …

Alcuni Aneddoti su Vlad Tepes

Riportiamo di seguito alcuni degli aneddoti che più frequentemente compaiono, con alcune varianti e discrepanze, nelle diverse tradizioni tedesca, russa e romena.

Il Ritorno di Dracula

Quando nel 1456 Dracula riuscì a stabilire il suo dominio sulla Valacchia, era assetato di vendetta verso i nobili del suo paese, che avevano congiurato con Giovanni Hunyadi per spodestare suo padre Vlad Dracul ed assassinarlo, insieme con il suo fratello maggiore Mircea, che era stato addirittura seppellito vivo. Fingendo una volontà di riconciliazione e pacificazione, Dracula invitò i nobili ad un grande banchetto. Durante la festa, il Principe chiese ai convenuti quanti monarchi di Valacchia riuscissero a ricordare. Nessuno tra i commensali fu in grado di menzionarne più di sette. A quel punto Dracula dette ordine alle sue guardie di arrestare tutti i nobili, uomini e donne di ogni età. Quelli più anziani e deboli furono impalati senza indugio, in numero di circa cinquecento; gli altri, quelli più giovani e forti, li fece mettere in catene e li costrinse a ricostruire col lavoro forzato la diroccata Fortezza di Poenari, che divenne poi la sua roccaforte principale. I lavori durarono mesi, e la gran maggioranza dei prigionieri morì di fatica e di stenti; quelli che riuscirono a sopravvivere vennero infine impalati alla conclusione dei lavori.

La Coppa d’ Oro

Dracula odiava la disonestà, e puniva implacabilmente con la morte sul palo chiunque nel suo regno si macchiasse di furto, frode o spergiuro. Egli era grandemente temuto, perché era terribilmente severo ed inflessibile. Esisteva nella piazza principale della sua capitale Targoviste una fontana che dispensava ai viaggiatori assetati le acque dolci e fresche di una fonte. Dracula aveva fatto collocare sul bordo della fontana una meravigliosa coppa d’ oro finemente cesellata, a disposizione di chiunque passando di lì volesse dissetarsi. Per tutto il tempo del suo regno nessuno osò mai rubare la coppa, che rimase sempre a disposizione dei viandanti, che avevano così l’ occasione di trovare ristoro e nel contempo di riflettere sui metodi governo del Principe.

Il Nobile dal Naso delicato

Un giorno Dracula banchettava di buon appetito in mezzo ad un gruppo di condannati che aveva fatto impalare. Venne a trovarlo un nobile che doveva discutere con lui una certa questione. Dracula lo fece sedere alla sua tavola, ma vide che il suo ospite dava evidenti segni di disagio. Il Principe allora gli chiese che cosa lo disturbasse, ed il nobile rispose che non riusciva a sopportare il fetore che promanava dai corpi dei suppliziati. Dracula allora ordinò alle sue guardie che venisse impalato all’ istante, ma su un palo lungo il doppio degli altri; e mentre il suo ordine veniva eseguito, canzonò beffardamente lo sventurato con queste parole : “ In questo modo, sarai ben sollevato in alto al di sopra degli altri, e il loro odore non ti disturberà più “.

I Turbanti degli Ambasciatori Turchi

Un giorno giunsero alla corte di Dracula alcuni notabili ottomani, latori di una ambasceria del Sultano. Quando il Principe li vide entrare al suo cospetto, si incupì, dato che i messi, secondo il loro costume, portavano in testa i loro caratteristici turbanti. “ Come osate “ disse “ presentarvi davanti a me con il capo coperto ? Che cosa ho fatto per meritare una simile mancanza di rispetto ? Parlate ! “. Gli sciagurati rimasero interdetti : “ Principe “ balbettarono “ questo è il nostro costume tradizionale, e non ci togliamo mai il turbante “. Dracula sorrise sinistramente : “ Ah, davvero ? E’ davvero lodevole questo vostro attaccamento alle tradizioni. Faremo in modo di rinsaldarvi in questo convincimento nel più efficace dei modi, affinché le vostre idee, così come i vostri copricapi, vi rimangano ben ferme in testa “. E diede ordine alle guardie di afferrare gli sventurati, e di inchiodare a martellate i turbanti ai loro crani. L’ ordine venne prontamente eseguito.

L’ Ambasciatore Polacco

Un giorno si presentò alla corte di Dracula un nobile polacco, che recava un messaggio di Mattia Corvino Re di Ungheria. Il Principe volle metterlo alla prova, ed invitò il cavaliere alla sua tavola. Quando l’ ospite arrivò, venne preso da una comprensibile inquietudine quando vide che poco distante dalla tavola si ergeva un palo di legno la cui punta era stata rivestita di una lamina d’ oro. Dopo che l’ ambasciatore si fu sistemato a tavola, e dopo aver pranzato discutendo delle questioni di stato, Dracula chiese amabilmente al suo ospite che cosa pensasse di quell’ oggetto sinistro. Sudando freddo, il Polacco rispose che doveva evidentemente trattarsi dello strumento per il supplizio di un colpevole di alto rango, che in qualche modo aveva fatto cosa sgradita al Principe. “ Hai indovinato “ disse Dracula “ sappi che è stato preparato per te. Ora che ne dici ? “ Con il coraggio della disperazione, l’ infelice giocò il tutto per tutto. “ Tutti sanno che sei un Principe crudele ma giusto. Se hai deciso che io debba morire, la responsabilità è soltanto mia, perché sicuramente ho commesso una qualche azione meritevole di questa fine “. Dracula allora scoppiò a ridere : “ Hai detto la sola cosa sensata che potevi dire. Mi compiaccio, sei un bravo diplomatico che sa come si deve trattare con i grandi sovrani. Vai in pace con la mia benedizione “. E lo congedò dopo averlo colmato di ricchi doni.

Il Mercante derubato

Un giorno giunse a Targoviste un mercante, che tornava a casa da un lucroso giro di affari. Si fermò a pernottare alla locanda, e ben conoscendo la severità implacabile di Dracula verso i ladri, non si preoccupò di riporre in luogo sicuro il forziere con il denaro che aveva guadagnato, e lo lasciò incustodito sul suo carro durante la notte. Grande fu dunque il suo disappunto quando, contando il denaro la mattina dopo, si accorse che mancavano all’ appello ben centosessanta ducati d’ oro. Il mercante corse da Dracula a lamentarsi del furto subito. Il Principe lo tranquillizzò : “ Non ti preoccupare “ disse “ il denaro che ti è stato rubato ti sarà restituito entro ventiquattro ore, ed il colpevole sarà punito come merita “. Il mercante se ne andò, e Dracula ordinò che una borsa con centosessanta ducati tratti dal suo tesoro personale fosse collocata nel carro del derubato. Ma volle mettere alla prova il mercante, e comandò che alla somma mancante fosse aggiunta una moneta in più. Nel contempo fece spargere la voce che il ladro doveva saltare fuori entro il tempo che aveva indicato, altrimenti avrebbe messo a ferro e fuoco l’ intera città. La mattina dopo, il mercante trovò nel carro la borsa con il denaro, lo contò e ricontò più volte, e risultò infine evidente che c’ era una moneta in più; allora si recò a corte, e trovò Dracula in compagnia del ladro, che nel frattempo era stato ovviamente scovato, e che ora si avviava verso il suo infame supplizio. Il mercante si profuse in ringraziamenti per la prontezza con cui era stato risolto il suo caso, e per sua fortuna ebbe il buon senso di dichiarare al Principe che nella somma restituita vi era un ducato in eccedenza. Dracula allora gli disse : “ Ti è convenuto essere onesto. Sappi che se tu non avessi detto nulla della moneta in più, ti avrei fatto impalare al fianco di questo ladro. “

I Due Monaci

Un giorno giunsero alla corte di Dracula due Monaci, che stavano effettuando un pellegrinaggio nei diversi monasteri della Valacchia. Il Principe li accolse affabilmente, li invitò a pranzo e fece loro visitare il suo palazzo, concludendo la visita con un passaggio per la corte di giustizia dove, come di consueto, almeno una dozzina di disgraziati agonizzavano sui pali. Dracula interpellò allora i Monaci, chiedendo loro che cosa ne pensassero di quel macabro spettacolo. Il primo monaco rispose : “ Dio ti ha fatto Principe di questa terra, e ti ha quindi conferito il potere di decidere della vita e della morte dei tuoi sudditi. Se hai deciso in questo senso, è sicuramente giusto, perché è Dio che ti ha dato il potere di farlo “. Il secondo monaco invece disse : “ Questo è uno spettacolo orribile. Qualunque colpa abbiano commesso questi sventurati, il modo atroce ed inumano con cui li hai messi a morte li rende comunque dei martiri “. A questo punto, la conclusione della storia si svolge in modo radicalmente opposto nelle tradizioni tedesca e romena; nella versione tedesca, Dracula ricompensa il monaco adulatore e fa prontamente impalare il monaco pietoso, dicendogli che se la pensa in quel modo non gli dispiacerà diventare egli stesso un martire; al contrario, nella versione romena Vlad fa impalare il monaco adulatore per punirlo della sua vigliaccheria, e ricompensa invece il monaco pietoso, che viene lodato per il suo coraggio e la sua onestà.

Dracula di Bram Stoker

Ci sembra doveroso concludere questa ricostruzione della figura storica di Dracula con qualche parola sullo scrittore che con il suo romanzo omonimo diede al Principe di Valacchia la definitiva immortalità letteraria, sia pure trasfigurandolo profondamente rispetto all’ originale. Bram Stoker nacque a Clontarf in Irlanda nel 1847, ed ebbe una infanzia estremamente infelice, dato che fino all’ età di otto anni raramente riusciva ad alzarsi dal letto in conseguenza del suo cagionevole stato di salute. Poi guarì, in modo apparentemente miracoloso, e per il resto dei suoi giorni condusse una vita normale, riuscendo addirittura ad eccellere nelle specialità sportive durante gli anni trascorsi allaUniversità di Dublino, dove studiò storia, letteratura, matematica e fisica presso il famoso Trinity College, e dove si laureò a pieni voti in matematica. Intraprese la carriera del giornalista e del critico teatrale, e nel 1876 conobbe il famoso attore Henry Irving, con cui strinse una amicizia destinata a durare tutta la vita, e di cui divenne in seguito confidente e segretario. Nel1878 si sposò con Florence Balcombe, trasferendosi a Londra dove assunse la carica di Direttore Economico del Lyceum Theatre, di proprietà dello stesso Irving. Nel contempo si era dato anche alla scrittura di romanzi e racconti, ed il successo gli arrise in modo clamoroso quando pubblicò “ Dracula “ nel 1897. Sembra che la ispirazione per il suo romanzo sia stata fornita a Stoker dalla conoscenza nel 1890 del professore unghereseArminius Vambéry, dal quale avrebbe appreso le leggende concernenti la figura di Vlad Tepes. Usiamo il condizionale perché la parentela del Dracula letterario con il sanguinario principe di Valacchia, per quanto universalmente accettata, non è tuttavia documentata in modo inoppugnabile; i fatti certi sono che la stesura del romanzo richiese a Stoker sette anni di tempo, in gran parte impegnati nello studio della cultura e del folklore balcanico, e tuttavia nelle carte e negli appunti dello scrittore, che pure era noto per essere persona molto precisa, non sono stati trovati accenni espliciti all’ Impalatore. Così come manca qualunque riferimento esplicito alla figura del Dracula storico nelle pagine stesse del romanzo, nel quale anzi il personaggio viene da Stoker “ declassato “ dal rango di Principe a quello ben più modesto di Conte. Non vi è alcun dubbio che per una simile mancanza di riguardo il vero Dracula, con il carattere suscettibile che aveva, avrebbe fatto impalare lo scrittore irlandese all’ istante …

Bram Stoker morì invece tranquillamente a Londra nel 1912, mentre la fama del personaggio da lui creato entrava nel mito; dalla sua prima pubblicazione nel 1897, il libro è stato ristampato innumerevoli volte vendendo milioni di copie, ed ha generato una altrettanto innumerevole schiera di filiazioni, nel campo della letteratura, del teatro, del cinema e del fumetto. Soprattutto la crescente diffusione del mezzo cinematografico ha dato alla figura mitica di Dracula una nuova popolarità di portata planetaria. In questo ambito è doveroso ricordare le figure di Friedrich Wilhelm Murnau, regista tedesco di “ Nosferatu, eine Symphonie des Grauens “ ( Nosferatu, una Sinfonia del Terrore ), del 1922, il primo film che nell’ epoca del cinema muto rese popolare la figura di Dracula; dell’ attore ungherese Bela Lugosi, che fu una delle grandi “ Star “ dell’ orrore nella Hollywood degli anni ruggenti, e che intossicato dagli stupefacenti finì per impazzire, identificandosi così totalmente nel suo personaggio da uscire soltanto la notte e dormire dentro una bara avvolto in un mantello di seta nera; dell’ attore inglese Christopher Lee, memorabile protagonista di una serie di films prodotti dalla casa di produzione britannica Hammer negli anni ’60 del secolo scorso. In tempi più recenti, si sono distinti per meriti artistici e originalità i film “ Nosferatu, il Principe della Notte “, girato nel 1978 con Klaus Kinski nella parte del protagonista per la regia di Werner Herzog, e “ Dracula di Bram Stoker “, del 1992, con Gary Oldman nella parte del Conte Vampiro per la regia di Francis Ford Coppola.

Questo articolo è stato scritto dall’amico prof. Pier Luigi Menegatti, al quale va come sempre la nostra gratitudine.

0 Commenti
<<Precedente

    Archivio

    Luglio 2015
    Giugno 2015
    Maggio 2015
    Aprile 2015
    Marzo 2015
    Febbraio 2015
    Gennaio 2015
    Dicembre 2014
    Novembre 2014
    Ottobre 2014
    Settembre 2014
    Agosto 2014
    Luglio 2014
    Giugno 2014

    Categorie

    Tutto
    10° Secolo
    11° Secolo
    12° Secolo
    12° Secolo A.C.
    13° Secolo
    14° Secolo
    15° Secolo
    16° Secolo
    17° Secolo
    18° Secolo
    19° Secolo
    1° Secolo A.C.
    1° Secolo D.C.
    20° Secolo
    21° Secolo
    23° Secolo A.C.
    2° Secolo D.C.
    3° Secolo A.C.
    3° Secolo D.C.
    4° Secolo A.C.
    5° Secolo A.C.
    5° Secolo D.C.
    Ajman
    Albania
    America Latina
    Architettura
    Argentina
    Austria
    Belgio
    Bequia
    Berlino Ovest
    Bhutan
    Bolivia
    Bologna
    Bosnia-Erzegovina
    Bulgaria
    Cambogia
    Canada
    Cecoslovacchia
    Ciad
    Cile
    Cina
    Colombia
    Comore
    Congo
    Crociate
    Cuba
    Dahomey
    Dominica
    Dopoguerra
    Egitto
    Emirati Arabi
    Etiopia
    Francia
    Fujeira
    Germania
    Germania Est
    Giappone
    Grecia
    Grenadine Di Grenada
    Guerra Fredda
    Guinea Equatoriale
    India
    Inghilterra
    Irlanda
    Isola Di Man
    Isole Marshall
    Isole Salomone
    Israele
    Italia
    Jersey
    Letteratura
    Libia
    Madagascar
    Maldive
    Manama
    Monaco
    Musica
    Napoleone Bonaparte
    Nazismo
    Norfolk
    Norvegia
    ONU
    Paesi Bassi
    Pittura
    Polinesia Francese
    Polonia
    Portogallo
    Prima Guerra Mondiale
    Regno Unito
    Renania-Palatinato
    Repubblica Ceca
    Risorgimento
    Rivoluzione Francese
    Roma Antica
    Romania
    Russia
    Saar
    Samoa
    San Marino
    Sant'Elena
    Scultura
    Seconda Guerra Mondiale
    Senegal
    Serbia
    Sierra Leone
    Siria
    Slovacchia
    SMOM
    Spagna
    Sudafrica
    Svizzera
    Terrorismo
    Tripolitania
    Tunisia
    Turchia
    Turks & Caicos
    Uganda
    Umm Al Qiwain
    Ungheria
    URSS
    Uruguay
    USA
    Vaticano
    Venezuela
    Vietnam
    Yemen
    Zululand

    Feed RSS

Fornito da Crea il tuo sito web unico con modelli personalizzabili.