Scrittore e politico nato a Firenze il 3 maggio 1469, compiuti gli studi classici nel 1498 venne nominato segretario della seconda cancelleria della repubblica fiorentina, instaurata in seguito alla cacciata, nel 1494, di Piero dei Medici. Durante la complessa fase storica delle guerre d'Italia, Machiavelli divenne, di fatto, uno dei più importanti agenti diplomatici fiorentini, strettamente legato al gonfaloniere a vita Piero Soderini. Machiavelli fu mandato in Francia (1502, 1503, 1510), presso Cesare Borgia (1502), al conclave da cui doveva risultare eletto Giulio II (1503), presso l'imperatore Massimiliano (1507-1508), al concilio di Pisa (1511). Frutto di queste missioni diplomatiche furono vari scritti di occasione, nei quali analizzò eventi o situazioni di cui era stato testimone diretto o su cui era stato spinto a documentarsi. Erano già chiari, in questi opuscoli, i temi che avrebbe sviluppato: la crisi italiana veniva spiegata con le limitate dimensioni degli stati, con la corruzione, con la mancanza di eserciti stabili (fondamentale fu, a questo proposito, l'incarico che Machiavelli ottenne, nel 1505, di organizzare una leva di truppe nel Mugello e di creare una magistratura che si occupasse, a Firenze, degli affari militari). Questo periodo di intensa attività pubblica si chiuse nel 1512, con la caduta della repubblica e il ritorno dei Medici. Accusato di aver preso parte a una congiura contro di loro, Machiavelli fu imprigionato per un anno. Dal 1513 si ritirò nel suo podere presso San Casciano dove, libero ormai da ogni impegno di stato, poté dedicarsi alla stesura delle sue grandi opere storico-politiche (i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, 1503-1521; Il Principe, 1513; Dell'arte della guerra, 1519-1520) e letterarie (la Mandragola, 1518) in cui vengono individuati i fondamenti della scienza politica e dello stato moderno. Per Machiavelli la politica è arte del conseguimento e della conservazione del potere e quest'ultimo si identifica con un ordine che non deriva dal rispetto di principi etici o religiosi ma solo dalla capacità del "principe" (sia individuo o collettività) di mantenerlo, per amore o per tema. Tornato nelle grazie dei Medici riottenne, dal 1520, incarichi diplomatici. Gli furono commissionate le Istorie fiorentine, che portò a termine tra il 1520 e il 1525. Ma, restaurata la repubblica (1526), cadde nuovamente in discredito, poco prima di morire il 21 giugno 1527, a Firenze.
Per ricordare il grande politico fiorentino abbiamo scelto i due francobolli italiani che gli sono stati dedicati nel 1932 e nel 1969. Di entrambi abbiamo pubblicato l'immagine e una breve descrizione sopra.
La crudeltà e la clemenza: se sia meglio esser più temuti che amati o più amati che temuti
1 – Passando ora a trattare le altre qualità elencate prima, dico che ciascun Principe deve desiderare di essere ritenuto clemente, e non crudele: tuttavia deve stare attento a non usare male la clemenza. Cesare Borgia era ritenuto crudele; ciononostante con quella sua crudeltà aveva riordinato la Romagna, l’aveva unificata, pacificata e resa fedele. E se si considererà bene questo, si vedrà come il Valentino sia stato molto più clemente dei Fiorentini, che, per sfuggire alla fama di crudeltà, lasciarono che le fazioni provocassero la rovina di Pistoia. Pertanto, un Principe non deve preoccuparsi di essere considerato crudele, se questo può mantenere i suoi sudditi uniti e fedeli; perché con pochissime condanne esemplari, sarà più clemente di coloro che, per troppa pietà, lasciano che i disordini si aggravino fino a far nascere uccisioni e rapine, e queste solitamente recano danno all’intera collettività, mentre le condanne del Principe colpiscono il singolo individuo. Fra tutti i Principi, è impossibile che il Principe nuovo possa evitare di essere considerato crudele, perché gli Stati nuovi sono pieni di pericoli. E Virgilio stesso, per bocca di Didone, dice:
Res dura, et regni novitas me talia cogunt
Moliri, et late fines custode tueri
( la difficile situazione e il regno appena costituito mi costringono
a fare tali cose, e a difendere i confini con molti difensori, Eneide, I, 563-4)
Cionondimeno deve essere cauto prima di credere e di agire e non deve fare paura a se stesso, ma comportarsi in un modo che sia improntato a prudenza e umanità, che l’eccessiva fiducia non lo renda imprudente e l’eccessiva diffidenza non lo renda crudele.
2 – Nasce da ciò la questione se è meglio essere amato che temuto o viceversa. La risposta è che si vorrebbe essere l’uno e l’altro, ma poiché è difficile mettere insieme le due cose, risulta molto più sicuro, dovendo scegliere, esser temuti che amati, quando viene a mancare una delle due. Perché degli uomini in generale si può dire questo: che sono ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitivi davanti al pericolo, avidi di guadagno; e mentre fai loro del bene sono tutti dalla tua parte e ti offrono il sangue, i beni, la vita e i figlioli, come ho detto precedentemente, quando il bisogno è lontano; ma quando il bisogno ti si avvicina, ti si rivoltano contro. E quel Principe che si è interamente fondato sulle loro parole, se è privo di altre difese, va in rovina; perché le amicizie che si acquistano col denaro, e non con grandezza e nobiltà d’animo, si comprano ma non si possiedono e, al momento del bisogno, non le puoi spendere. Gli uomini hanno meno timore di colpire uno che si faccia amare anziché uno che si faccia temere; perché l’amore è tenuto su un vincolo basato sul dovere che, poiché gli uomini sono malvagi, è spezzato in ogni occasione in cui è in gioco il proprio tornaconto; ma il timore è basato sulla paura di essere punito, la quale non ti abbandona mai.
3 – Ciò nonostante il Principe deve farsi temere in modo che, pur non conquistando l’amore dei sudditi, non si faccia comunque odiare; perché essere temuti e nello stesso tempo non odiati sono due cose che vanno bene insieme; e questo succede sempre quando si astiene dal toccare i beni dei suoi cittadini e dei suoi sudditi e le loro donne; e se avesse la necessità di colpire un casato, deve farlo quando vi sia una giustificazione adeguata e un motivo manifesto; ma soprattutto deve astenersi dall’appropriarsi della roba degli altri: perché gli uomini dimenticano più in fretta la morte del padre che la perdita del patrimonio. Inoltre, i motivi per togliere i beni a qualcuno, non mancano mai; e sempre chi comincia a gestire il potere con rapine trova l’occasione per appropriarsi della roba altrui; al contrario le occasioni per agire contro un casato sono più rare e vengono meno in più breve tempo.
4 – Ma è soprattutto quando il Principe si trova col suo esercito e comanda un gran numero di soldati, che è necessario che non si curi della fama di crudele; perché senza questa nomea nessuno ha mai tenuto unito un esercito né disposto ad alcuna impresa. Fra le mirabili imprese di Annibale si annovera questa: che, pur avendo un esercito grandissimo, insieme di molte stirpi di uomini, portato a combattere in terre straniere, non era mai sorto alcun conflitto né fra loro né contro il comandante così nella cattiva come nella sua buona fortuna. Il che non poté derivare da altro che dalla sua disumana crudeltà, la quale, insieme con le sue infinite doti, lo rese sempre venerabile e terribile agli occhi dei suoi soldati: senza la crudeltà, le altre sue virtù non sarebbero bastate per ottenere questo effetto. E gli storici, poco avveduti in questo, da una parte ammirano il suo modo d’agire, dall’altra ne condannano la principale causa, cioè la crudeltà.
5 – E che sia vero che le altre doti non sarebbero bastate, è sufficiente considerare il caso di Scipione l’Africano, condottiero di qualità rarissime a trovarsi non solamente ai suoi tempi, ma in tutta la storia delle vicende che si conoscono, contro il quale, in Spagna, le sue legioni si ribellarono. E questa ribellione non fu provocata da altro che dalla sua eccessiva clemenza, che aveva permesso ai suoi soldati di godere di una libertà più grande di quanto fosse compatibile con la disciplina militare. Questo comportamento gli fu rimproverato in Senato da Fabio Massimo che lo definì corruttore delle legioni romane. I Locresi, essendo stati depredati da un luogotenente di Scipione, non furono indennizzati da lui, né fu punita l’insolenza del luogotenente: e tutto ciò nasceva proprio dalla sua natura troppo indulgente; e volendolo qualcuno scusare in Senato, disse che c’erano molti uomini capaci più di non sbagliare che di punire gli errori. Questa caratteristica della sua natura avrebbe, col passare del tempo, potuto macchiare la fama e la gloria di Scipione, se avesse continuato a manifestarsi nell’esercizio del potere; ma vivendo sotto il potere del Senato, questa sua qualità dannosa non solo rimase nascosta, ma gli recò gloria.
6 – Concludo, dunque, ritornando alla questione se è meglio essere temuto che amato, che poiché gli uomini amano a loro piacimento e temono secondo il piacimento del Principe, un Principe saggio deve fondarsi su ciò che è suo e non su ciò che è degli altri: deve solamente, come ho già detto, fuggire l’odio.
Questo è il XVII capitolo del capolavoro di Niccolò Machiavelli Il Principe. Se volete continuare a leggere lo splendido trattato di dottrina politica scritto quasi cinquecento anni fa ma ancora oggi attualissimo potete trovarlo nella biblioteca dell’Antica Frontiera.