Nato il 19 novembre 1600 a Dunfermline, in Scozia, fu re d’Inghilterra, Scozia, Irlanda e Francia dal 27 marzo 1625 fino alla morte, avvenuta il 30 gennaio 1649 per decapitazione. Protagonista insieme al suo antagonista Oliver Cromwell della Guerra civile inglese, il quasi decennale conflitto si concluse con una disfatta per Carlo, che fu catturato, processato, condannato e giustiziato con l'accusa di alto tradimento. La monarchia fu abolita e fu fondata al suo posto una repubblica, che durerà solo dieci anni, fino all'esilio di Cromwell e alla restaurazione del regno con il figlio del monarca decapitato Carlo II.
La Royal Mail ha emesso nel 2010 un bel foglietto dedicato alla Casa regnante degli Stuart. Esso contiene sette francobolli con i ritratti di altrettanti monarchi. Uno dei due esemplari di prima classe mostra un particolare di un famoso quadro del maestro fiammingo Antoon Van Dyck, ritrattista ufficiale della corte di Carlo I.
La storia di questo dipinto - il triplo ritratto di Carlo I - è molto curiosa e merita di essere raccontata. Il quadro fu realizzato nel 1635 e inviato a Roma, dove lo attendeva Gian Lorenzo Bernini. Il celebre scultore, che non si mosse quasi mai dall'Italia, aveva ricevuto la richiesta da parte di Carlo di eseguire un suo busto. Bernini accettò, ma dovendo avere un modello a disposizione, chiese che gli fosse inviato un ritratto del sovrano. Van Dyck, per facilitare e rendere più preciso il lavoro di Bernini, ritrasse il re in tre posizioni, facendone un quadro molto ammirato ed ora conservato a Londra. Il busto di Bernini invece venne distrutto in seguito all'incendio che colpì il Palazzo di Whitehall nel 1698.
Muore il primogenito di Giacomo l
Una brutta partita di tennis
Carlo Stuart, quando nacque, non era destinato alla corona; e certamente (considerando la fine tragica a cui andò incontro) sarebbe stato meglio per lui seguitare cosi. L’erede al trono era suo fratello Enrico, nato nel 1594, e molto più dotato di lui, fisicamente e intellettualmente. Il popolo inglese, quando lo vide giungere al seguito del padre, nel 1603, si mise immediatamente ad adorarlo, tanto era bello, composto, pieno di fascino. Lui e la sorella Elisabetta parevano usciti da un libro di fiabe, mentre il cadetto Carlo, gracile e malfermo sulle gambe, accanto a loro faceva una figura patetica. Enrico, a volte, canzonava il fratellino, ma “Baby Charles” non se ne risentiva, tanto era preso anche lui dalla generale adorazione; anzi balbettava: « Caro, caro fratello … Ti voglio dare tutto quello che ho». Del principe Enrico è anche nota l’amicizia per Walter Raleigh, che avrebbe voluto far liberare dalla prigione, e che gli dedicò la Storia del mondo, ed è nota del pari la protezione che concedette agli attori della compagnia di Edward Alleyn, che rivaleggiava in bravura con quella di Shakespeare. In questo amore per il teatro il principe Enrico rassomigliava a suo padre; ma in tutti gli altri aspetti del carattere era diametralmente opposto a lui. Cresciuto molto sotto l’influsso della madre, Anna di Danimarca, sembra che giudicasse severamente il modo di vivere paterno, lo scandaloso impero dei favoriti e tutti i vizi a cui Giacomo I indulgeva; sicché i malcontenti del nuovo regime potevano legittimamente sperare un miglioramento nel futuro, quando Enrico fosse giunto al trono. Ma non vi giunse mai. Nell’autunno 1612 si doveva festeggiare il matrimonio dell’adorata sorella d’Enrico, Elisabetta, con l’Elettore palatino. Il giovane principe, giocando a tennis con uno dei membri del seguito di suo cognato (il tennis era uno degli sport in cui eccelleva) prese un colpo di freddo per essersi ostinato a restare in maniche di camicia, sudato com’era. Il giorno dopo era in preda ai brividi e alla febbre; l’indomani, quasi alle soglie della morte. I medici tentarono tutti i rimedi dell’epoca, e tutti invano. Consapevole della vanità dei loro sforzi, il ragazzo moribondo sopportava nondimeno con pazienza ogni sorta di cura, e intanto «pregava quietamente, fra sé e sé”. Infine sopravvenne il delirio. Le sue ultime parole coscienti furono per chiedere di Elisabetta: «Dov’è la mia cara sorella?” Erano cosi uniti, che il principe le aveva promesso segretamente di accompagnarla verso la sua nuova .dimora di sposa, almeno per una parte del viaggio. Ma, per un malinteso desiderio di risparmiarle una scena straziante, non le fu permesso di rivedere Enrico prima che spirasse; e la povera ragazza, folle per l’angoscia, già da due giorni rifiutava il cibo, quando infine le portarono la notizia della morte di suo fratello, sopravvenuta il 6 novembre. Fu cosi che Carlo Stuart divenne principe di Galles ed erede al trono. Questa fine precoce, e del tutto inattesa di Enrico diede il via alle solite odiose voci: si disse con insistenza che suo padre lo aveva fatto avvelenare, geloso della sua popolarità. Naturalmente, si trattava di una diceria senza fondamento; ma fu dura a morire. Quanto al matrimonio della principessa Elisabetta con l’Elettore palatino, dovette essere rinviato a motivo del lutto di corte; e fu poi celebrato nel febbraio dell’anno seguente, il giorno di San Valentino. •
Il matrimonio difficile di Carlo I Stuart
Due anni di rodaggio
All’ascesa al trono di Carlo I segue, a breve distanza, il matrimonio. Non già con l’infanta spagnola per la quale era giunto a recarsi, in incognito, a Madrid; ma con una principessina francese di nome Enrichetta Maria, non ancora sedicenne, sorella di re Luigi XIII. Inutile dire che anche questo progetto nuziale è stato proposto e caldeggiato dall’onnipresente Buckingham, vivente ancora il vecchio re. Sarà un giorno un matrimonio riuscitissimo, uno dei migliori nelle case regnanti d’Europa; ma gl’inizi sono a dir poco disastrosi. Al primo incontro con il fidanzato, la principessa scoppia in lacrime. Lui, ancora memore del fascino dell’infanta (bionda, languida, con palpebre e labbra pesanti) guarda senza entusiasmo questa ragazzina tutta occhi, minuta, ancora piena della goffaggine dell’adolescenza. Come ciò non bastasse, la reginetta è piena di sospetti e di pregiudizi contro il paese protestante sul quale è chiamata a regnare, lei allevata nella fede cattolica: dichiara che non vuol essere incoronata secondo i riti scismatici e rifiuta anche di assistere all’incoronazione del consorte: ci vuole tutta la cavalleria di Carlo I per superare questi difficili inizi. Il rodaggio del loro matrimonio è lunghissimo: a due anni dalla sua celebrazione, vivono ancora praticamente separati, serbando solo di fronte al pubblico le apparenze di una buona intesa. Enrichetta rimprovera al re di subire troppo l’influsso di Buckingham; il re ritiene che la moglie farebbe bene a liberarsi del seguito francese. Rimossi Questi ostacoli, nascerà un grande amore. •
Un sovrano doppiogiochista
Paga i propri errori con la testa degli altri
Uno dei tratti meno simpatici del carattere di Carlo I è che nella condotta pubblica non si riteneva legato dalle regole d’onore a cui s’informava nella vita privata. In altre parole, come individuo, Carlo Stuart era pieno di virtù: casto, onesto, cavalleresco, gentile; come monarca era infido e sempre pronto al doppio giuoco. Tradì tutti, a cominciare da quelli che si erano battuti per lui. Da ultimo, inevitabilmente, anche lui finì tradito, L’unico individuo a cui serbò sempre lealtà fu Buckingham, che era stato l’amico di suo padre e poi il suo amico di giovinezza; tuttavia questo mantenere Buckingham al suo posto, nonostante gli errori e i disastri che la sua politica provocava (era riuscito a tirarsi addosso l’ostilità delle due massime potenze occidentali, la Spagna e la Francia), esasperò contro di lui il risentimento dei parlamentari e la passione popolare. Quando un ufficiale puritano Felton, uccise il duca a Plymouth, il 23 agosto 1628, la folla londinese si abbandonò a una sfrenata allegria. Bevevano tutti, con entusiasmo, alla salute dell’assassino. Ancor peggio andarono le cose nei confronti di Thomas Wentworth, creato dal re conte di Strafford nel 1640 e freddamente lasciato condannare sei anni più tardi. Strafford era il miglior servitore che la corona avesse avuto da gran tempo; era riuscito a pacificare l’Irlanda in rivolta, a ottenere truppe e danaro, persino a mandare rinforzi al re per domare i ribelli scozzesi. I suoi ex colleghi del Parlamento gli rimproveravano di aver disertato le loro file: ma in realtà Strafford non era un antiparlamentare: voleva che la monarchia fosse appoggiata dal Parlamento, non dominata da esso. Comunque, i suoi avversari riuscirono a montare una cabala contro di lui. L’accusa non si resse da vanti alla Camera dei lord, nonostante la presenza di un testimone (piuttosto dubbio) e la citazione di alcuni brani dei discorsi di Strafford, in cui egli avrebbe proposto al consiglio segreto di usare truppe irlandesi per ridurre alla sottomissione l’Inghilterra. Ma alla camera dei Comuni fu portato contro di lui un Bill of Attainder, o decreto di condanna, che tuttavia, per essere effettivo, necessitava della sanzione della corona. Carlo aveva ripetutamente assicurato a Strafford che il Parlamento «non gli avrebbe potuto torcere un capello»; tuttavia, davanti ai clamori della piazza, ebbe paura e firmò il decreto, commentando: «Se nulla fuorché la sua vita può dare soddisfazione al mio popolo, io debbo dire: Fiat Justitia!» Questo è ciò che Carlo I chiamava giustizia. Il medesimo tipo di condotta viene seguito dal re verso William Laud, da lui creato arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra. Laud, con il suo amore per il ritualismo e con la sua fede nella gerarchia era stato l’uomo di punta nell’azione condotta dal re per imporre a tutto il regno l’adesione alla chiesa anglicana, contro i dissidenti di tutte le sette. Questo gli aveva alienato l’animo di larghi strati della popolazione. La politica di Laud era stata disastrosa, e aveva provocato ben due “guerre dei Vescovi” in Scozia; ma il re ne era responsabile almeno quanto il primate. Pure, Carlo lasciò cadere e imprigionare anche Laud, che più tardi fu giustiziato. L’abitudine di pagare i propri errori con le teste altrui era tenace in lui come in Enrico VIII. •
Il re all’asta
1642-1648: Guerra civile fra i monarchici e i repubblicani di Cromwell
Per molto tempo si è ripetuto in Inghilterra il vecchio proverbio: «Traitor Scot, sold his King for a groat,» ossia: il traditore scozzese ha venduto il suo re per un quattrino. In realtà, fra Carlo I ed i suoi conterranei era anche lui uno scozzese, nato a Edimburgo, ma aveva lasciato il paese a tre anni le cose non andarono tanto semplicemente. La profonda opposizione fra re e Parlamento, che stava spaccando in due l’Inghilterra, non aveva rispondenza in Scozia se non sul piano religioso. Carlo I era ostinato a volere imporre la gerarchia e il rituale anglicano ad un paese profondamente attaccato alla sua Kirk di derivazione calvinista. Gli scozzesi rifiutavano pertanto il “diritto divino” dei re, non già in nome delle autonomie parlamentari, ma in nome della priorità che ha il dovere verso Dio nell’anima di ogni uomo. Furono, comunque, i primi a ribellarsi, parecchio tempo innanzi che scoppiasse in Inghilterra la guerra civile tra re e Parlamento: Carlo I Stuart, re d’Inghilterra, in un ritratto di Anton Van Dyck già nel 1639 le prime ostilità divampava no. Inoltre, gli scozzesi, avendo servito sul continente negli eserciti protestanti, durante la guerra dei Trent’anni che tuttora infuriava, avevano un ottimo addestramento e capi di prim’ordine, come Alexander Leslie e il conte di Montrose. Le due “guerre dei Vescovi” intraprese contro la politica religiosa di Carlo I non si risolsero in disastri per il re unicamente perché si venne presto a trattative. Scoppiata poi la guerra civile in Inghilterra, gli scozzesi dapprincipio si tennero sulle loro. Per essi il conflitto non era politico ma teologico: avrebbero dato il loro appoggio a qualunque, fra le due parti, promettesse di sopprimere l’episcopato e diffondere il presbiterianesimo. Il Parlamento inglese, in imminente pericolo di essere battuto dalle armate regie, vide in ciò la sua grande occasione di rivincita. Fra i Covenanters (cioè gli scozzesi firmatari del solenne patto di difesa della loro religione) e i parlamentaristi fu stilato un curioso accordo, che prevedeva: a) il versamento di 30.000 sterline al mese per finanziare lo sforzo bellico della Scozia; b) la promessa di riformare la religione in Inghilterra e in Irlanda, in accordo con la Parola di Dio e gli esempi delle migliori chiese riformate (ossia, in poche parole, della Kirk stessa). Forti di queste assicurazioni, gli scozzesi si mossero, e le fortune della guerra mutarono aspetto. Fu in gran parte merito del loro aiuto se l’esercito parlamentare, riformato da Oliver Cromwell, poté cogliere la prima grande vittoria a Marston Moor. A questo punto, però, il re trovò un inatteso alleato in Scozia. Da qualche tempo Montrose era in disaccordo con i suoi colleghi. L’aggravarsi di questi contrasti risospinse il conte, ottimo comandante, dalla parte dei realisti. Raccolta una piccola armata nelle “Alte Terre”, con in più un contingente di mercenari e vari elementi raccogliticci, si diede a riconquistare la Scozia per re Carlo. Questi, in cambio, diede a Montrose il titolo di marchese. Tra il 1644 e il 1645 una serie di brillanti vittorie risollevavano il prestigio della causa stuardiana in Scozia, senza tuttavia riuscire ad attenuare la pressione dell’armata di Cromwell sulle truppe del re in Inghilterra: la loro clamorosa sconfitta a Naseby, per opera dello stesso Cromwell, lo provava. Poi Alexander Leslie, rientrando nel paese natale con una forza di circa 4.000Covenanters, riuscì a sorprendere Montrose e a infliggergli una pesante disfatta. Nulla di definitivo, in realtà, e difatti nei mesi che seguirono il marchese poté sperare di risollevare le sorti della causa reale. Ma nel maggio 1646 giunse la stupefacente notizia che Carlo I si era arreso a Newark alle truppe scozzesi (combattenti per il Parlamento) e che uno dei patti della resa era consistito nella promessa di obbligare Montrose a disperdere i seguaci e a lasciare il paese. Anche lui finiva coll’essere tradito dal re, come già Strafford, come Laud. Deluso e acerbamente amareggiato, s’imbarcò per la Norvegia. Restava ora da decidere la sorte di Carlo, prigioniero in mano scozzese. I Covenanters erano malcontenti del Parlamento. Il compenso pattuito non era stato versato, e quanto alla promessa “riforma” secondo le dottrine presbiteriane, si vedeva chiaro che era di là da venire. Sé Carlo avesse dato prova della minima diplomazia a questo punto della vicenda, avrebbe potuto riportare gli scozzesi dalla sua parte. Non lo fece, o non volle farlo. Invano la regina, che era più intelligente di lui, gli aveva scritto dal continente di cercarne l’alleanza a ogni prezzo. Fu allora che i suoi conterranei, dietro promessa di 400.000 sterline, decisero di consegnarlo al Parlamento. •
Se volete approfondire la biografia di re Carlo I d’Inghilterra potete farlo sfogliando il libroLe grandi famiglie d’Europa – gli Stuart i Tudor nella biblioteca dell’Antica Frontiera.