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La morte di Leonardo da Vinci

2/5/2015

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1932. Pro società nazionale Dante Alighieri. 50 c. e 7,70 + 2 L. macchina volante disegnata da Leonardo da Vinci;
1, 3, 5 e 10 + 2,50 L.
ritratto di Leonardo da Vinci.
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1932. Pro società nazionale Dante Alighieri. Ritratto di Leonardo da Vinci.
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1935. 1º salone aeronautico internazionale. Ritratto di Leonardo da Vinci.
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1938. Proclamazione dell'impero. Ritratto di Leonardo da Vinci.
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1952. 5º centenario della nascita di Leonardo da Vinci.
25 e 80 L. autoritratto di Leonardo da Vinci; 60 L. dipinto "La Vergine delle rocce" di Leonardo da Vinci.
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1998. 5º centenario dell'ultimazione del cenacolo di Leonardo da Vinci. Il cenacolo, affresco di Leonardo da Vinci.

Oggi è il 496° anniversario della morte di Leonardo da Vinci.
Artista e scienziato nato a Vinci il 15 aprile 1452, la sua opera, complesso e originale risultato della feconda sintesi tra creatività artistica e moderna ricerca scientifico-sperimentale, rappresenta una delle massime espressioni della più matura cultura rinascimentale, contrassegnandone al tempo stesso il definitivo superamento. 
Leonardo si formò e realizzò le prime importanti opere a Firenze dove, allievo e collaboratore del Verrocchio (Battesimo di Cristo, 1474-75, Firenze, Uffizi) ed esponente di primo piano dell'intellettualità medicea, elaborò le proprie concezioni estetiche e filosofiche, fondate principalmente sulla necessità dell'osservazione diretta della realtà naturale e dello studio delle leggi che ne regolano il funzionamento. 
I disegni e i dipinti di questo primo periodo (Ritratto di Ginevra de' Benci, 1474 ca, Washington, Nat. Gall.; Annunciazione, 1475-78 e Adorazione dei Magi, 1481, Firenze, Uffizi) mostrano con evidenza come Leonardo traduca i propri convincimenti teorici in un rinnovato linguaggio pittorico che contrappone all'astratta linearità prospettica e alla rigida plasticità della grande pittura fiorentina del '400 un ben diverso senso dello spazio e della figura umana, colti nel loro dinamico interagire, attraverso un sapiente alternarsi di luce e di ombre e un vibrante uso dell'inconfondibile `sfumato'.
Dal 1482 al 1499 si stabilì, con la carica di ingegnere ducale, nella Milano di Ludovico il Moro, dove entrò in contatto con Bramante. Qui trovò un ambiente politico e culturale decisamente più favorevole di quello fiorentino ai suoi molteplici interessi nel campo della conoscenza scientifica e delle sue possibili applicazioni. Accanto agli studi di fisica, meccanica, anatomia, architettura, ecc., e alla preparazione di numerosi progetti, Leonardo approfondì le proprie concezioni pittoriche secondo cui la realtà, al di là degli ideali rinascimentali di armonia e compostezza formale, deve essere colta nella sua concreta e viva fenomenicità, raggiungibile e rappresentabile solo attraverso precise cognizioni scientifiche sui problemi della visione. Tutte le opere milanesi sono, infatti, caratterizzate da una grande fluidità spaziale e dalla straordinaria capacità evocativa della luce, che conferiscono forma, dimensione, movimento ed espressività alle immagini (La Vergine delle rocce, 1483, Parigi, Louvre; Ritratto di nobildonna con l'ermellino, 1490 ca., Cracovia, Czartoryski Muz.; L'ultima cena, 1495-97, Milano, refettorio del convento di S. Maria delle Grazie).
Lasciata Milano, a seguito della crisi degli Sforza, Leonardo si recò a Mantova, Venezia e di nuovo a Firenze (1505-6) realizzandovi altri capolavori, che saranno assunti a modello da tutta la pittura del sec. XVI (La Gioconda, 1505-14, Parigi, Louvre; la perduta Battaglia di Anghiari per la sala del Maggior Consiglio di Palazzo Vecchio).
Negli ultimi anni si dedicò sempre più agli studi scientifici e, dopo un secondo soggiorno milanese (1506-13) e una poco significativa esperienza romana, nel 1517 si stabilì definitivamente in Francia, dove Francesco I di Valois gli mise a disposizione fino alla morte il castello di Cloux ad Amboise. Oltre ai preziosi cartoni (Sant'Anna, Madonna col Bambino e S. Giovanni, Londra, Nat. Gall.), agli importanti progetti plastici, architettonici, urbanistici, di sistemazione territoriale e oltre alla produzione trattatistica (Trattato della pittura, pubblicato nel 1631) di Leonardo restano numerosi disegni e manoscritti raccolti in vari codici (Codice Atlantico, Milano, Bibl. Ambrosiana; Codice Arundel, Londra, British Mus.).
L'opera scientifica di Leonardo è frutto di una concezione che segna il confine tra la tecnica e la scienza. Le sue invenzioni, pur permeate da geniali intuizioni costruttive, sono l'espressione dell'artista-scienziato: gli schemi di meccanismi, di dispositivi di trasformazione dei moti, di strumenti nati da valutazioni pratiche, spesso precedendo di decenni e addirittura di secoli la loro comprensione dal punto di vista ingegneristico, sono tracciati secondo tensioni immaginative e creative e quasi sempre ne viene tralasciata la realizzazione.
Si interessò di scienza delle costruzioni, di meccanica, di idraulica: i suoi progetti lo portarono a formulare leggi fondamentali quali il teorema del poligono di sostentazione, la relazione tra pressione e fluidità, il principio dei vasi comunicanti e della portata costante, la teoria del moto ondoso. Nei suoi studi sono presentati innumerevoli congegni di ingegneria, sistemi di difesa e strumenti bellici (es. il cannone a retrocarica). Riprese anche un abbozzo del problema di Erone, trasformò mediante un albero di rotazione dentato un moto continuo in alternato, inventò numerose macchine di precisione e un giunto realizzato poi da G. Cardano. 
Sulla base della ricerca e dell'osservazione scientifica, comprese la dinamica del volo degli uccelli e tracciò i progetti dell'aliante, del paracadute e dell'elicottero. 
Studiò la geometria euclidea e l'impostazione archimedea, seguendo in fisica una visione geometrico-matematica del movimento. Pur considerando la forza come causa di velocità e non di accelerazione (secondo la teoria aristotelica), espresse il principio di azione e reazione e contribuì alla formulazione del principio d'inerzia. 
Nella sua opera sono contenute delle fondamentali precisazioni di ottica (come la persistenza delle immagini sulla retina e il principio della camera oscura). 
Spiegò per primo l'origine della luce lunare e osservò il carattere ondulatorio della propagazione della luce, ponendolo in analogia al fenomeno sonoro, a quello magnetico e al calore. 
Tutti questi studi ci sono pervenuti in raccolte di schizzi, spesso corredati da minuziose descrizioni: in essi si alternano costantemente la precisione scientifica, l'immaginazione fervida e l'intuizione geniale.

Per rendere omaggio al grandissimo talento del Rinascimento abbiamo selezionato tutte le emissioni italiane a lui dedicate. Di ognuna di esse abbiamo pubblicato l'immagine e una breve descrizione sopra.

Il nome di Leonardo da Vinci evoca nella percezione comune l’immagine del genio; egli visse in un’epoca in cui (nonostante l’invenzione della stampa, la scoperta del “nuovo mondo”, la “Rinascita” delle arti, “l’uomo al centro dell’universo”) il contrasto tra le sue aspirazioni e l’inadeguatezza di mezzi e strumenti a sua disposizione mettono oggi a nudo tutta la sua umanità e la sua unicità. Cesare Luporini (La mente di Leonardo, 1953) espone il divario in questo modo: “I problemi che egli investiva e intorno a cui si affaticò – la natura, la scienza e il suo metodo, l’esperimento, la macchina, il lavoro, l’utilità a pro’ di tutti gli uomini, il carattere conoscitivo e realistico dell’arte, il rapporto tra arte e scienza – rispetto al suo tempo sono problemi carichi di avvenire, e fra quelli che saranno poi decisivi nella formazione del mondo moderno”. Leonardo ha precorso i tempi.
Giorgio Vasari, il biografo aretino autore delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori, ci ha consegnato l’immagine di un uomo in cui la genialità si coniugava con la bellezza, la grazia e la forza: quante virtù in un corpo solo! Salvo aggiungere subito dopo: “Perciocchè egli si mise a imparare molte cose; e incominciate, poi l’abbandonava. Ecco, nell’abbaco, egli in pochi mesi ch’e’ v’attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbj e difficultà al maestro che gl’insegnava, bene spesso lo confondeva. Dette alquanto d’opera alla musica; ma tosto si risolvè a imparare a suonare la lira, come quello che dalla natura aveva spirito elevatissimo e pieno di leggiadria, onde sopra quella cantò divinamente all’improvviso”. Studi recenti hanno inoltre dimostrato un fatto curioso: l’artista non sapeva far di conto, non era cioè in grado di risolvere le più elementari operazioni matematiche; inoltre non poteva leggere testi greci ed è altamente probabile che leggesse i testi latini con l’ausilio di qualche amico dotto. Eppure la grande curiosità di quest’uomo, la sua straordinaria capacità d’analisi visiva dei fenomeni naturali, trasposta con l’ausilio del disegno in rappresentazione figurata, sembra da ultimo essere una delle sue qualità “geniali” e ciò che ci conduce verso l’idea portante di questo saggio: la sua pittura.

Se volete approfondire vita e opere di Leonardo potete continuare a leggere il volume a lui dedicato de I classici dell’arte nella biblioteca dell’Antica Frontiera.

Se invece volete restare abbagliati dalla bellezza dell’Annunciazione – il dipinto riprodotto nell’immagine in alto a sinistra – potete raggiungere gli Uffizi, che sono a poco più di un’ora di auto dal b&b: sarà un’esperienza indimenticabile!


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La nascita e la morte di Raffaello Sanzio

6/4/2015

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1970. 450º anniversario della morte di Raffaello Sanzio. 20 lire: Dipinto "Trionfo di Galatea" di Raffaello. 50 lire: Dipinto "Madonna del cardellino" di Raffaello. 
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1983. Natale. 250 lire: Madonna Sistina, dipinto di Raffaello Sanzio. 400 lire: Madonna dei candelabri, dipinto di Raffaello Sanzio. 500 lire: Madonna della seggiola, dipinto di Raffaello Sanzio. 
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1974. Uomini illustri - 2ª emissione. Autoritratto di Raffaello Sanzio.
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1985. Esposizione internazionale di filatelia, a Roma - arte rinascimentale. Venere sul carro, opera di Raffaello.
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1998-2003. Serie ordinaria "Donne nell'arte". Ritratto di donna di Raffaello Sanzio. 
Prima emissione del 1998 in lire. Seconda emissione del 1999 in lire e in euro. Terza emissione del 2002 in euro. 
Quarta emissione del 2003 uguale alla precedente, ma con la sigla "S.p.a." nella dicitura.

Oggi è il 532° anniversario della nascita e il 495° anniversario della morte di Raffaello Sanzio.
Pittore e architetto nato a Urbino il 6 aprile 1483, formatosi nella bottega del padre Giovanni Santi, dal 1494 fu allievo del Perugino, la cui lezione di armonia compositiva e semplificazione formale fu il punto di partenza per la sua arte (Sposalizio della Vergine, 1504, Milano, Brera). Fondamentale fu in seguito l´esperienza fiorentina (1504-8), durante la quale conobbe l´opera di Michelangelo, Leonardo e soprattutto Fra´ Bartolomeo: qui sviluppò la sua ricerca di rappresentazione e idealizzazione della natura individuandone le leggi armoniche e proporzionali ed elaborando un ideale di bellezza nato dalla conciliazione di immagine reale e immagine ideale e fondato sulla semplicità, leggiadria, grazia e naturalezza di gesti ed espressioni, come appare nelle numerosissime Madonne col Bambino (Madonna del Cardellino, 1505-6, Firenze, Uffizi; Madonna del Belvedere, 1506, Vienna, Kunsthist. Mus.; Madonna del Granduca, 1506 ca, Firenze, Pal. Pitti; La bella giardiniera, 1507, Parigi, Louvre). Di questo periodo sono anche i ritratti, memori dell´esperienza leonardesca e fiamminga, in cui elabora un nuovo taglio compositivo di tre quarti (Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, 1507-8; La gravida, 1506-7, Firenze, Pal. Pitti). Dal 1508 si trasferì definitivamente a Roma, dove, per Giulio II, eseguì la decorazione della Stanza della Segnatura (1508-11), di Eliodoro (1511-14), dell´Incendio di Borgo (1514-17) nei Palazzi Vaticani, testimonianza della sua maturazione stilistica per la sapienza e l´equilibrio del grandioso e monumentale impianto compositivo e per l´intensità espressiva delle figure. Del periodo romano sono ancora la decorazione della Loggia della Farnesina (Trionfo di Galatea, 1513 ca), numerose Madonne col Bambino (Madonna Aldobrandini, Londra, Nat. Gall.; Madonna della seggiola, 1513-14, Firenze, Pal. Pitti), i superbi ritratti di Tommaso Inghirami (1516 ca), Firenze, Pal. Pitti, di Giulio II (1511-12), Londra, Nat. Gall., di Baldesar Castiglione (1515 ca), Parigi, Louvre, della Velata (1515 ca), Firenze, Pal. Pitti, di Leone X con due cardinali (1517-18), Firenze, Uffizi e le pale d´altare (Madonna Sistina, 1513 ca, Dresda, Gemäldegal.; Trasfigurazione, 1519-20, Roma, Mus. Vaticani). Suoi sono anche i cartoni con Storie di Pietro e Paolo per dieci arazzi destinati alla Cappella Sistina e tessuti a Bruxelles (Londra, Victoria and Albert Mus.). Sotto il pontificato di Leone X, operò prevalentemente come architetto a Roma (progetto per la basilica di S. Pietro, 1514; Cappella Chigi in S. Maria del Popolo, 1515; Villa Madama alle pendici di Monte Mario, 1517-20); in tale attività ebbe grande importanza lo studio dell´antichità classica, che lo spinse, nominato nel 1515 soprintendente alle antichità romane, a eseguire una pianta monumentale di Roma antica. Alla sua bottega si formarono numerosi talenti (Giulio Romano, Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio) e la sua opera esercitò grande influenza e fu oggetto di studi da parte degli artisti successivi.
Raffaello morì il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Secondo Vasari la morte sopraggiunse dopo quindici giorni di malattia, iniziata con una febbre "continua e acuta", causata secondo il biografo da "eccessi amorosi", e infelicemente curata con ripetuti salassi.
Per rendere omaggio al grandissimo artista, tra i più celebri del nostro Rinascimento, abbiamo selezionato tutte le emissioni che le poste italiane gli hanno dedicato nel corso degli anni. Di ognuna di esse abbiamo pubblicato l'immagine e una breve descrizione sopra.


“Oggi mia moglie ed io siamo andati a Palazzo Pitti…” annota nel suo Diario Nathaniel Hawthorne: è il 10 giugno del 1858 e da qualche anno lo scrittore, console a Liverpool, percorre l’Europa con la metodicità e, si direbbe, la prevedibilità dell’americano teso a cercare un senso alla sua vita attraverso la verifica e l’incontro di due culture. “La collezione di quadri […] è la più interessante che io abbia visto, e non mi sento né forse mi sentirò mai in grado di parlare di uno solo […] Ma il quadro più bello del mondo, ne sono convinto, è la Madonna della seggiola di Raffaello. La conoscevo attraverso cento incisioni e copie, e perciò mi ha illuminato con una bellezza familiare, sebbene infinitamente più divina di quanto non l’avessi mai vista. Un artista la stava copiando, producendo qualcosa di assai vicino, certo, a un facsimile, e tuttavia senza, naturalmente, quel misterioso non-so-che che rende il quadro un miracolo.”

Se volete restare incantati dalla bellezza delle opere di Raffaello potete farlo sfogliando le pagine del 3° volume de I classici dell’arte nella biblioteca dell’Antica Frontiera. E se ne avete voglia la Madonna della seggiola (che fa parte di una collezione sterminata di capolavori) è a poco più di un’ora di auto dal b&b: ne vale la pena!

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La morte di Michelangelo Buonarroti

18/2/2015

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1954. Anno Mariano. Particolare della Pietà di Michelangelo.
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1961. Serie ordinaria detta "Michelangiolesca". 
Nel dettaglio, i 19 valori rappresentano: 1 lire, 5 lire, 10 lire, 115 lire e 150 lire gli Ignudi, 20 lire Sibilla Libica, 30 lire Sibilla Eritrea, 50 lire Sibilla Delfica, 55 lire Sibilla Cumana, 15 lire Profeta Gioele, 25 lire Profeta Isaia, 40 lire Profeta Daniele, 70 lire Profeta Zaccaria, 85 lire Profeta Giona, 90 lire Profeta Geremia, 100 lire Profeta Ezechiele, 500 lire Adamo, 1.000 lire Eva, mentre il valore da 200 lire mostra un ritratto di Michelangelo.
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1962. Quarta Giornata del francobollo. 10 centesimi di Sardegna e 30 lire della Michelangiolesca con testa della Sibilla Eritrea.
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1964. Quarto centenario della morte di Michelangelo Buonarroti. 30 lire: autoritratto. 185 lire: testa della Madonna di Bruges.
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1974. Europa CEPT, 19ma emissione. Il genio della 
vittoria di Michelangelo.
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1975. Quinto centenario della nascita di Michelangelo Buonarroti. 
40 lire: Tondo Pitti. 50 lire: finestrone decorativo. 90 lire: diluvio universale.
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1992. Celebrazioni colombiane. 
Ritratto di Colombo, l'uomo vitruviano di Leonardo, "la furia" di Michelangelo e ritratto di Michelangelo.
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2006. Made in Italy. Schiavo ribelle, statua in marmo di Michelangelo 
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2014. 450º anniversario della morte di Michelangelo. David, scultura di Michelangelo.

Oggi è il 451° anniversario della morte di Michelangelo Buonarroti.
Pittore, scultore, architetto e poeta, tra i maggiori artisti di ogni tempo, fu protagonista assoluto dell´arte italiana del XVI secolo, segnando l´apice e quindi il superamento degli ideali rinascimentali. Formatosi sotto la guida del Ghirlandaio e di Bertoldo di Giovanni, fu dal 1489 alla corte di Lorenzo de´ Medici e, quindi, a Bologna (1494), Roma (1496) e di nuovo a Firenze (1501), realizzando con straordinario virtuosismo tecnico i suoi primi capolavori scultorei, caratterizzati da una mirabile sintesi dei valori di armonia e perfezione formale del rinascimento maturo (Madonna della Scala e Battaglia dei Centauri, 1490-92, Firenze, Museo Buonarroti; Bacco, 1496, Firenze, Museo del Bargello; Pietà 1498-99, Roma, S. Pietro; Madonna di Bruges, 1501, Bruges, Notre-Dame; David, 1501-4, Firenze, Galleria dell´Accademia; Tondo Pitti, 1503-5, Firenze, Museo del Bargello; Tondo Taddei, 1504, Londra, Royal Academy); al periodo fiorentino appartiene anche il Tondo Doni (1504), Firenze, Uffizi. Acclamato come uno dei maestri del tempo, l´artista fece ritorno nel 1505 a Roma, per dedicarsi alle decorazioni pittoriche della Cappella Sistina (Storie della Genesi, Sibille e Profeti, 1508-12) e alla realizzazione di importanti sculture per il monumento funebre di Giulio II (Schiavo ribelle e Schiavo morente, 1513-14, Parigi, Louvre; Mosè, 1513-15, Roma, S. Pietro in Vincoli; i quattro Prigioni, 1530, Firenze, Galleria dell´Accademia), opera ultimata solo 30 anni più tardi secondo uno schema ormai lontano dalla grandiosità del progetto originario. Impegnato ancora a Firenze nei progetti architettonici della Sagrestia Nuova nella chiesa di S. Lorenzo (dal 1519) e, in essa, delle tombe di Lorenzo e Giuliano de´ Medici con le allegorie della Notte, del Giorno, dell´Aurora e del Crepuscolo, della Biblioteca Mediceo-Laurenziana (dal 1524), Michelangelo fu attivo dal 1534 soprattutto a Roma, dove si dedicò fino al 1541 al grande affresco con il Giudizio Universale nella Cappella Sistina: in questo straordinario capolavoro i criteri di equilibrio formale e di rigore prospettico dell´arte rinascimentale sono ormai superati alla luce di una vigorosa plasticità delle figure e di una rivoluzionaria drammaticità della rappresentazione. Negli ultimi decenni di attività Michelangelo, trasferitosi definitivamente a Roma, si dedicò soprattutto all´architettura (progetti della cupola e della pianta della basilica di S. Pietro, della Cappella Paolina in Vaticano, della Cappella Sforza nella chiesa di S. Maria Maggiore e della piazza del Campidoglio) e alla scultura, dando vita a una rinnovata ricerca artistica culminante nella Pietà Rondanini (1552-64, Milano, Museo del Castello), in cui l´estremo tentativo di liberazione dalla materia si concretizza in una composizione di altissima e vibrante espressività. La sua produzione poetica, alla quale si dedicò costantemente dal 1502, fu pubblicata dal nipote Michelangelo (Rime, 1623); nell´ambito della tradizione petrarchesca, essa è segnata profondamente dall´adesione al neoplatonismo e da una tormentata ricerca interiore. Di grande interesse le Lettere.

Per rendere omaggio al nostro genio del Rinascimento abbiamo selezionato tutti i francobolli italiani che gli sono stati dedicati nel corso degli anni. Di ognuno di essi abbiamo pubblicato l'immagine e una breve descrizione sopra.

Michelangelo fu uomo di corte, come Raffaello: la sua attività si svolse sotto il segno di signori e di papi, e fu determinata dalle loro intenzioni. Dal servire alle corti acquistò una gloria immensa ed infinite amarezze; dovette accettare il contatto con un ambiente che offendeva i suoi scrupoli religiosi; penò a farsi pagare; si sentì legato ad un lavoro fisso, altrettanto pesante che la nostra vita di ufficio ed assai meno tranquillo.
Il miracolo dell’arte di Michelangelo non sta nella grandiosità delle opere da lui concepite ed eseguite ma pagate e volute dalla curia pontificia; sta nella sua dirittura morale e nell’aderenza a questa del suo stile.
Per valutarla, è opportuno confrontare il suo comportamento con quello del principale avversario: Raffaello. L’Urbinate era entusiasta della propria posizione sociale: si costruiva un palazzo, teneva una piccola corte, evadeva dalle noie della società dandosi ad amori popolani, con gran disinvoltura passava da una scena biblica ad un soggetto profano: nella sua scuola si incisero persino delle rappresentazioni pornografiche. Di tutti i guai della politica romana e di tutti i travagli della vita religiosa in Raffaello non c’è neppur l’ombra; i grandi affreschi delle Stanze riescono a dare solo una idea di ricchezza e di maestosa tranquillità, non suggeriscono un moto di commozione. Il segno sotto cui Raffaello era nato era quello della facilità e della spontaneità, e quando rinunziò alle sue vere doti per indossare i panni della retorica ciceroniana, non solo la sua qualità scadde penosamente, ma egli finì addirittura per rinunziare ad intervenire nell’esecuzione dei suoi cartoni e disegni, fidandosi di alacrissimi allievi.
Michelangelo avrebbe potuto fare lo stesso. A Roma ci si meravigliava del fatto ch’egli non si procurasse degli aiuti, non creasse una scuola. Avere molti allievi significava eseguire molte opere, cioè guadagnare molto. Il maestro fiorentino viveva fra gli stenti, isolato, solitario “in grande afanno e chon grandissima faticha di corpo”; le lettere che scrive al fratello sono assai tristi: “Io non ò danari. Questi che io vi mando, me gli cavo dal cuore e anche non mi par lecito domandarne, perché io non fo lavorare e io solo lavoro poco”. I contemporanei non riuscivano a capire tale atteggiamento. Leone X era disperato: “È terribile” disse una volta “non si pol pratichar con lui”. In realtà Michelangelo aveva come suo nume tutelare la difficoltà. Più un problema era impegnativo e difficile, più egli si tormentava a risolverlo, più il suo ingegno s’illuminava. Le sue opere migliori sono le più tormentate. L’artista non solo aveva un temperamento chiuso, ma si nutriva di fantasticherie. Vedeva simboli ed allusioni in ogni cosa: dal platonismo mediceo aveva ricavato soprattutto l’immagine di un universo pieno di ragioni occulte, che l’uomo doveva svelare. Avaro, presunzioso, prepotente e scontroso, riusciva ad accendersi di incontrollate passioni: ebbe amicizie tanto veementi da far nascere attorno a sé una reputazione ambigua, e nonostante la sua adorazione della divina bellezza, s’innamorò di una donna brutta, ma santa.
Michelangelo fu così fin dalla fanciullezza, fin dall’angioletto arrabbiato che accompagna quelli meno torbidamente sconvolti di Niccolò dell’Arca a Bologna, fin dai giovanili tondi di marmo, dove la Madonna che dovrebbe scherzare col Bambino è triste e pensosa come una sibilla. Già nelle prime opere appare evidente il tipico atteggiamento morale dell’artista: una pensosità nutrita di riflessione; una tristezza pervasa di sgomento e di incubi, ossessionata dallo scorrere del tempo, dall’idea della morte, combattuta da una sorda lotta interiore, sconsolata e scontenta.
Se si dovessero psicanalizzare queste opere, ne verrebbe fuori il profilo di un’infanzia triste. Michelangelo si credeva discendente d’una famiglia nobile, poi decaduta; la sua vocazione artistica fu certo affrettata dalla necessità d’un guadagno. Probabilmente egli desiderava seguire studi letterari. Inoltre la sua formazione coincise con un momento assai inquieto per Firenze, in cui, per ragioni economiche, le arti declinavano, ed al successo commerciale – cioè al mestiere – si sovrapponeva il consenso dei colti cenacoli di Lorenzo de’ Medici – cioè il gusto dei letterati. L’impact della cultura di corte lo colpì dunque fin dall’inizio; il suo abbandono della bottega del Ghirlandaio – da cui apprese la tecnica dell’affresco – per gli Orti Medicei, i viali popolati di statue dove Bertoldo insegnava ad un gruppo di giovani aulicamente raccolti in accademia un donatellismo rinnovato sull’archeologia, fu anche un definitivo passaggio dall’economia libera del maestro di bottega a quella protetta dell’impiegato di corte. Morto Lorenzo de’ Medici, il Buonarroti cercò di vivere del suo lavoro indipendente: ed ebbe amare esperienze. Tentò persino di spacciare un suo Cupido per un’ opera classica; ma il falso fu scoperto, e rifiutato. Il successo arrise solo con le ordinazioni ufficiali del David e dell’affresco della battaglia di Cascina da eseguirsi per la Signoria. In questi lavori la preoccupazione maggiore è la monumentalità. Più tardi passò a Roma.
Che un ribelle potenziale come Michelangelo accettasse per tutta la vita di eseguire opere su ordinazione non si può spiegare solo con ragioni economiche. C’era in lui una vocazione per la vita di corte. Abbiamo detto ch’egli si sentiva un nobile decaduto. Ebbene il suo sogno umano era di rinnovare il credito e la forza della propria famiglia. Egli si metteva al servizio per liberare da una pressante servitù sociale i suoi discendenti: accettava l’abiezione come riscatto dall’abiezione futura. Si sprofondava nella volgarità per liberarsene, e sentiva la sua condizione come una colpa. L’ambizione si colorò così di religiosità.
Questa aspirazione alla nobiltà ebbe importanti conseguenze su tutta la sua arte. Anzitutto egli si sforzò di nobilitarla, assegnando un peso grandissimo alle invenzioni allegoriche e letterarie: la pittura e la scultura erano considerate ancora arti manuali, mentre la poesia godeva di tutti gli onori. Le arti figurative tentavano perciò di rivaleggiare con la letteratura. Diede la massima importanza al disegno, cioè all’invenzione: il disegno registrava le idee fantastiche, che – secondo le teorie d’allora – erano l’elemento trascendentale dell’arte. Affermò la necessità di creare forme nuove, di non seguire i modelli preesistenti, di inventare sempre diverse soluzioni: in questo modo accelerò il progresso tecnico dell’arte, creando una frattura stilistica con il Quattrocento. E poiché la filosofia platonica, di cui Michelangelo si era imbevuto alla corte di Lorenzo il Magnifico, creava una gerarchia di esseri, costituendo una scala che dagli elementi inanimati giungeva alle essenze celesti e ponendo l’uomo al grado estremo fra la terra e il cielo, l’artista non volle rappresentare altro che l’uomo nella sua bellezza ideale. Quella che si suole definire “umanità eroica” non è altro che l’umanità pensata senza le imperfezioni dovute alla materia o al cattivo influsso delle stelle.
Tale adorazione mistica dell’uomo coincideva con l’entusiasmo, allora al suo apogeo, per le ricerche archeologiche, condotte già con intenti scientifici. Il classicismo era stato più volte esaltato dalla Chiesa, come affermazione d’una diretta continuità fra l’Impero e il Papato. Specialmente con Niccolò V la ricostruzione di Roma era stata intrapresa deliberatamente al fine di rinnovare la grandezza antica: il programma niccolino era ancora attuale ai tempi di Michelangelo. Il richiamo all’antico serviva inoltre a dare grandiosità e nobiltà allo stile, e consentiva di superare talune ingenuità della tradizione quattrocentesca. Così Michelangelo ammirò con commozione – come del resto i contemporanei – brutte copie antiche, ritenendole di mano dei celeberrimi scultori esaltati da Plinio.
Egli però valutava soprattutto l’abilità tecnica della scultura antica, l’accurata resa anatomica del corpo umano, e la confrontò con il vero, sezionando dei cadaveri, e studiando il movimento delle membra, sulla scorta di Aristotele e forse di Galeno. Il movimento divenne poco per volta il suo assillo: ed essendo una personalità vigorosa, egli finì per reagire con violenza ai modelli classici. Mentre, soprattutto a causa delle teorie del Bembo, il principio dell’imitazione dall’antico diventava più obbligante, Michelangelo proclamò una teoria del tutto opposta: l’artista doveva rappresentare solo ciò che germinava spontaneamente dalla sua mente. Da qui nacque il “manierismo”, cioè una civiltà artistica schiettamente immaginativa e fantastica, che amò forme innaturali e visionarie, ed il cui massimo rappresentante è il Greco.
Michelangelo, nonostante 1’aspirazione poetica ed il fervore del sentimento, non riuscì a liberare la sua fantasia dallo studio della natura e dell’antico se non verso la fine della vita. Più volte interruppe lavori incominciati, e si torturò sempre. L’ultima sua opera, la Pietà Rondanini, è forse l’unica che realizzi perfettamente la sua poetica. Prima fu troppo pressato da problemi di tecnica, di cultura, e persino dall’eccessiva ambizione. È vero che certe imponenti imprese, come l’enorme tomba di Giulio II – in realtà un mausoleo di San Pietro – sono da addebitare ai committenti; ma è anche vero che l’idea di far qualcosa di grande lo stimolava profondamente. Alle ambizioni politiche del papato Michelangelo diede così un solenne stile monumentale, d’una fiabesca grandiosità.
Eppure, anche in questi sogni di potenza, egli era sincero. Obbediva infatti ad un’intima vocazione religiosa: si opponeva al facile appello alla sensualità ed ai sentimenti, all’allettamento quasi romantico che la pittura fiamminga proponeva ai riguardanti; amava la musica schietta e nuda delle semplici proporzioni propria al Brunelleschi ed all’Alberti, il colore semplice che riveste l’immagine e non la trasforma, il racconto storico ridotto all’essenziale. Voleva ritornare così non solo all’antico, ma ad epoche di intensa spiritualità, come quella del primo rinascimento fiorentino. In questo clima si svolge la severa epopea della Volta della Sistina, dove le figure sacre quasi monocrome giganteggiano sovrumane, e si allontanano nel tempo e nello spazio verso una lontana e perduta età dell’oro, in cui gli dei scendevano in terra a parlare fra gli uomini, ed i patriarchi biblici pascolavano sui colli le greggi. Profeti, Sibille, Antenati di Cristo, episodi biblici si susseguono gli uni agli altri, come in un rotulus, segnando le tappe della redenzione. Per capire lo stato d’animo del pittore, bisogna pensare al significato della cappella: una specie di parallelepipedo, che si trova isolato entro il labirinto dei palazzi pontifici. Essa imita, come forma, l’arca dell’alleanza, o meglio, il tempio di Salomone che la conservava. L’idea dell’arca – quella che salvò con Noè la generazione umana dal diluvio e quella che sancì il patto fra Dio e Mosè – ritorna insistentemente nella struttura architettonica. La Cappella Sistina è così il simbolo stesso della redenzione; il tempio abitato dalla divinità. Per Michelangelo dipingerla significava trovarsi a tu per tu con Dio. Se dalla Volta ci volgiamo alla parete dell’altare, abbiamo l’impressione di una ancor più profonda religiosità. I corpi si deformano e si torcono: non sembrano più sculture messe in posa, conservano la duttilità della mobile immaginazione interiore. Il colore è più scuro, intenso, spirituale. Il Giudizio suscitò scandalo e violentissimi attacchi. Era inconcepibile che ci fossero, sopra l’altare, tanti nudi: ben presto se ne dimenticò il significato religioso e allegorico. In realtà ciò che è straordinario è come Michelangelo sia riuscito a distruggere, quasi completamente, con questo affresco, la mitologia di eroi, solidi come la roccia, creata nella Volta.
Fra le due grandi composizioni intervenne una profonda crisi religiosa. Nelle sue poesie il maestro si accusa di avere amato troppo la bellezza del mondo, e quelle sue forme che prima gli sembravano un riflesso della divinità diventano per lui schiavi, vincolati al peccato. Prima riteneva che bastasse purificare la natura, ora non crede più alla possibilità di una salvezza senza l’intervento divino. Il tremendo problema della Grazia, 1’unica determinante della salvazione, diventa ossessivo. Il suo sogno è ora di liberare i corpi dalla materia, mentre prima era stato quello di ritrovarli, armonicamente organizzati, entro le pietre informi. Gli eletti che salgono al cielo sono esseri svincolati da ogni peso, trasformati da peccatori in fiamme di pura fede.
Di questo periodo sono alcuni commoventi disegni, dove il tormento di Cristo crocefisso è espresso liricamente. Chi visitava il vecchio Michelangelo a Roma rimaneva impressionato dal suo aspetto di veneranda saggezza: dalla sua bocca uscivano più detti che parole. Ma era una calma apparente. Nel segreto della sua casa egli fino all’ultimo giorno lottò contro la sua fiducia nell’arte, contro la sua abilità, in nome di una insaziata e tremenda sfiducia nella sorte dell’uomo. La Pietà Rondanini, martoriata dalla sua disperazione, nessuno la vide, prima della sua morte.

Se volete approfondire vita e opere di Michelangelo potete continuare a leggere il volume a lui dedicato de I classici dell’arte nella biblioteca dell’Antica Frontiera.

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Il bombardamento del Teatro Anatomico dell'Archiginnasio

29/1/2015

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Oggi è il 71° anniversario del bombardamento del Teatro Anatomico dell'Archiginnasio, a Bologna.
Il bombardamento del 29 gennaio 1944 fu uno dei più pesanti della guerra e quello che produsse i maggiori danni ai monumenti della città di Bologna. In tre successive ondate, tra le 11,30 e le 12,50, la città venne colpita da 80 fortezze volanti americane. Quasi tutte le bombe caddero nel centro storico. Vennero distrutti l'antico Teatro Anatomico in legno e la Cappella dei Bulgari all'Archiginnasio, il teatro del Corso e la chiesa di San Giovanni in Monte, l'oratorio di San Filippo Neri e la casa natale di Guglielmo Marconi, diversi palazzi lungo via Indipendenza. Venne inoltre gravemente danneggiata la sede del quotidiano cattolico "L'Avvenire d'Italia" in via Mentana. Fortunatamente resistettero i rifugi antiaerei cittadini e, nonostante la violenza dell'attacco, si contarono "solo" 31 morti. Nei giorni seguenti il bombardamento, il personale dell'Archiginnasio si impegnò a recuperare migliaia di manoscritti e libri spesso smembrati e lacerati. Il 4 febbraio la parte più pregevole del patrimonio della biblioteca sarebbe stata ricoverata a Casaglia con i cataloghi e gli inventari e i servizi di lettura e prestito sarebbero stati garantiti in via provvisoria presso le scuole Bombicci in Saragozza.
Non sono mai stati emessi francobolli riguardanti la distruzione del Teatro Anatomico dell'Archiginnasio. Per ricordare le tragiche ferite inferte a Bologna e ai suoi monumenti abbiamo quindi scelto i tre valori riguardanti il Palazzo della Mercanzia (detto anche Loggia dei Mercanti), sede prima della Corporazione e poi della Camera di Commercio. Anch'esso fu danneggiato da una bomba d'aereo ma, contrariamente a quanto la scritta latina usata dalla propaganda fascista farebbe supporre - hostium rabies diruit (la furia del nemico distrusse) - questa era caduta nei pressi del portico del Palazzo ed era rimasta inesplosa. Fu invece un sottufficiale tedesco a farla brillare il 27 settembre 1943, distruggendo quasi completamente il lato orientale del Palazzo. I lavori di ripristino dello storico edificio vennero avviati dal soprintendente Barbacci soltanto nel maggio 1944 e adeguatamente celebrati il mese successivo dal regime repubblichino con i due francobolli color rosa/rosso da 20 centesimi delle serie dedicate ai monumenti distrutti. Il primo dei due venne poi riemesso, a guerra finita, con la soprastampa delle Poste Italiane e il nuovo valore da 1,20 lire.


Per esempio: una giovane signora da condurre a spasso, a scoprire le segrete bellezze di questa città. Una cosa, insomma, che può capitare, di tanto in tanto (sempre più di rado, ahimè).
E come fare se, per esempio, la signora arriva qui da una città ove i capolavori te li trovi davanti al naso ad ogni svoltar di calle? mentre a Bologna tutto quanto pare comporsi in una media dignità, senza strepiti, senza sorprese?
Le statue di Nicolò nella chiesa della Vita, certo; ma poi, e senza allontanarsi dalla piazza, perché magari la signora vuole anche far la spesa? Ma una sorpresa, a Bologna, la si trova sempre. Lì dentro, fra le pareti odorose di legno dell’aula anatomica della vecchia università, all’Archiginnasio, si è quasi sempre soli; o in buona compagnia: non più d’un paio di tedeschi, o d’inglesi, attempati e curiosi, con la loro guida in mano, a bisbigliare.
Se non ci fosse qualche vecchia fotografia all’ingresso, nessuno potrebbe immaginare lo scempio di quel luogo dopo il bombardamento del gennaio 1944. E quel che oggi si vede è un muto, ed è un eloquentissimo esempio di quanto siano vane le teorie sul restauro.
E di quanto la pratica del restauro debba alla sensibilità manuale degli artigiani, e alla volontà amorosa di non far morire la storia, combattendo anche contro di essa (visto che anche le bombe fanno parte della storia).
Quasi tutto quel che si vede dell’architettura dell’aula è stato pazientemente ricostruito a guerra finita, senza mutare né uno spigolo né un ricciolo della compassata architettura seicentesca di Antonio Levanti, che lì lavorò per una decina d’anni, fra il 1638 e il 1649.
Perché appunto d’una architettura si tratta, e non d’un arredamento. D’una architettura, se volete, teatrale: come spesso sono le architetture bolognesi. L’ingresso, ecco, è spostato in un angolo, ed entrando si coglie l’ambiente tutto di sguincio, e pare perfino più vasto e quasi maestoso. E c’è chi recita: i maestri antichi della medicina, che gestiscono in lente movenze dalle nicchie tutt’intorno. E c’è anche un elegante podio, per chi dirigeva tutta la coreografia. Le statue che vedete sono d’un secolo più tarde dell’architettura.
Le scolpì uno scultore lucchese, Silvestro Giannotti, verso il 1734. E il nostro Ercole Lelli si offrì d’intagliare a sue spese (ma lasciandovi, almeno, il proprio nome sui piedistalli: come potete vedere) i due «scorticati» che fiancheggiano la cattedra del docente.
Sono statue davvero sorprendenti: vi si mescola senza dissidio la chiarezza didattica dell’età dei lumi, ed un’eleganza, come dire? quasi incorporea, che sa di coreografia e di corpo di ballo. Non per nulla quell’aula universitaria veniva chiamata, da tutti, col nome di teatro: perché vi convivevano una verità perfino sadica, e quella suadente finzione che è spesso la lezione accademica.

Questo post, tratto dal piacevolissimo libro di Eugenio Riccòmini Aprilocchio – le cinquanta cose più belle di Bologna e disponibile nella biblioteca dell’Antica Frontiera, è dedicato a tutti quelli che amano scoprire i tanti tesori nascosti del capoluogo emiliano.

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Il bombardamento di Coventry

14/11/2014

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Oggi è il 74° anniversario del bombardamento di Coventry.
Il 14 novembre 1940, durante la battaglia d’Inghilterra, la città britannica venne pesantemente bombardata dai bombardieri tedeschi della Luftwaffe e la cattedrale fu quasi completamente distrutta.
Per ricordare questo tragico episodio della Seconda Guerra Mondiale abbiamo scelto il francobollo di prima classe che la Royal Mail dedicò nel 2012 all’architetto Sir Basil Spence, ideatore della nuova cattedrale di Coventry inaugurata nel 1962 accanto alle rovine della vecchia.


Nel periodo tra il 7 settembre e il 12 novembre Londra fu risparmiata dai bombardamenti per sole dieci notti. Sulla città caddero circa 13.000 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale e quasi un milione di bombe incendiarie, che uccisero 13.000 persone, ferendone altre 20.000. In questa fase della guerra le difese notturne della RAF erano in buona parte basate sull’improvvisazione. Pochissimi caccia erano equipaggiati con un rudimentale radar di bordo e la Luftwaffe non aveva molto da temere neppure dalle batterie antiaeree: nel settembre 1940 era necessaria una media di 20.000 proiettili per abbattere un solo aereo. I tedeschi possedevano inoltre un’arma segreta, descritta da Churchill come “un’onda radio che, come un riflettore invisibile, guida i bombardieri [...] verso il loro obiettivo”. Soprannominata Knickbein (Gamba storta), essa consisteva in due segnali radio provenienti da stazioni situate sul continente: gli aerei volavano lungo uno dei due segnali, sganciando le bombe quando il primo segnale intersecava il secondo. La Luftwaffe aveva stupidamente testato il sistema sopra l’Inghilterra nel marzo 1940, quando i bombardamenti notturni su larga scala non erano ancora stati presi in considerazione: l’esame di un He 111 abbattuto consentì agli scienziati di escogitare una tecnica di disturbo. Una versione più sofisticata del medesimo dispositivo, chiamata “X – Verfahren”, utilizzava quattro segnali radio e un timer collegato al dispositivo di sgancio. All’inizio del 1940, per provare il nuovo sistema, fu costituita un’unità chiamata “KGr” (Kampfgruppe) 100. Entro la metà di ottobre venne adottato un nuovo schema ricorrente per i bombardamenti notturni: il KGr apriva la strada e marcava i bersagli per il grosso dei bombardieri che volava a una certa distanza. Nel tardo pomeriggio del 14 novembre attraverso le Midlands (una zona non ancora interessata dai bombardamenti notturni più pesanti) fu individuato un impulso X, che confermò le informazioni secondo le quali i tedeschi stavano pianificando un’importante offensiva notturna che aveva il nome in codice di Mondscheinserenade (Serenata al chiaro di luna), prevista per il plenilunio.

Meno di due ore dopo i primi 13He 111 del KGr 100 giunsero sopra Coventry. Il centro del puntamento tedesco era stato calcolato su una zona a est del centro della città: quando l’ultimo Heinkel dell’avanguardia lasciò la zona, erano scoppiati numerosi incendi, che servirono da guida ai 449 bombardieri della seconda ondata, dai quali furono sganciate 1500 bombe ad alto potenziale, 50 enormi mine e 30.000 bombe incendiarie. La città venne devastata e 21 fabbriche, 12 delle quali connesse all’industria aeronautica, subirono gravi danni. Tuttavia Coventry si riprese in fretta: andò perduta la produzione industriale di un solo mese e molte delle fabbriche furono di nuovo operative nel giro di pochi giorni. Neppure il morale era crollato: dopo lo shock iniziale si riuscì a evitare il diffondersi del panico generale.

Nel corso dei mesi di gennaio e febbraio la Luftwaffe compì ogni sforzo per mantenere sotto pressione Londra, i centri industriali delle Midlands e i porti occidentali, ormai vitali per i rifornimenti provenienti dall’Atlantico. Le difese contraeree resero tuttavia le operazioni tedesche sempre più difficili; entro marzo gli squadroni di caccia notturni furono dotati di un nuovo sistema radar e nel corso dello stesso mese riuscirono ad abbattere 22 bombardieri, mentre i cannoni della contraerea ne eliminarono altri 17. In aprile le cifre salirono rispettivamente a 48 e 39, per poi raggiungere il loro apice il mese successivo, con 96 e 32 aerei abbattuti.

La fase finale del Blitz ebbe inizio a metà aprile 1941 e si concluse con un pesante bombardamento su Londra nella notte tra il 10 e l’11 maggio, durante il quale persero la vita 1436 civili e 16 aerei furono abbattuti dalle difese contraeree, il numero più alto in una singola notte. Il Blitz non ebbe termine a causa di queste perdite, quanto piuttosto per il trasferimento sul fronte orientale delle unità destinate all’invasione dell’Unione Sovietica, che Hitler decise il 22 giugno 1941. Entro la fine di giugno furono ritirati i due terzi dei velivoli impegnati nella campagna di bombardamenti sull’Inghilterra.

Se volete approfondire i bombardamenti aerei tedeschi dell’Inghilterra nel 1940-41 potete farlo sfogliando le pagine del primo volume di Guerre e battaglie – La seconda guerra mondiale nella biblioteca dell’Antica Frontiera.






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La morte di Giorgio Vasari

27/6/2014

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Oggi è il 441° anniversario della morte del pittore, architetto e storico dell'arte Giorgio Vasari. 
Le poste italiane hanno ricordato tre volte il famoso aretino: la prima volta nel 1974, in occasione del quarto centenario della morte, con la prima serie dedicata all'arte, riproducendo il Palazzo degli Uffici da lui progettato; la seconda nel 1980, con l'emissione dedicata a Firenze e alla Toscana dei Medici e con l'opera "Cosimo I fra i suoi artisti", visibile ancora oggi in Palazzo Vecchio; la terza nel 2011, in occasione del quinto centenario della nascita, con lo splendido foglietto che raffigura l'affresco “San Luca dipinge la Vergine” che Giorgio Vasari realizzò intorno al 1565 nella Cappella dei Pittori della Basilica della SS. Annunziata a Firenze.
La repubblica di San Marino ha ricordato Giorgio Vasari nel 1997, con un francobollo natalizio che riproduce la grande tavola raffigurante L'adorazione dei Magi dipinta per i monaci olivetani di Scolca.
Le poste vaticane hanno emesso nel 2011 un aerogramma sul quale compare un autoritratto dell’artista, mentre sull’impronta è raffigurato un particolare della Battaglia di Lepanto, affresco realizzato dallo stesso Vasari e conservato presso la Sala Regia dei Musei Vaticani.

Le mani nei folti riccioli neri e la paura che anni di duro lavoro per rientrare nelle grazie del potente casato dei Medici, che lo aveva bandito, andassero definitivamente a farsi benedire. I timori di Giorgio Vasari (di cui l’anno scorso è ricorso il quinto centenario della nascita) mentre contemplava l’affresco che gli aveva commissionato papa Paolo III nel Palazzo della cancelleria, a Roma, non erano campati in aria. A detta di tutti quell’opera era una soverchia porcheria. Indegna per uno che mirava a diventare un artista di corte.
Era il 1544 e Vasari sapeva che nel secolo di Tiziano e di Michelangelo, il favoloso Cinquecento italiano, era dura dimostrare di essere più bravo degli altri col pennello e farsi largo nella buona società, soprattutto per lui che veniva dalla piccola Arezzo. E’ vero, per la Cancelleria gli avevano messo fretta: cento giorni (da cui il nome della sala che ospita l’opera). E lui era incappato nell’imperdonabile errore di affidare i cartoni preparatori dell’affresco a collaboratori giovani e inesperti, e non gli restava che recitare il mea culpa. Del resto, la fama postuma gli sarebbe venuta non per l’arte, ma per un libro: le Vite di oltre 160 maestri tra i “più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri“. Quanto a lui, rimase sempre sospeso tra l’apprezzamento di circostanza dei committenti e il disprezzo sincero dei suoi colleghi.
Crudel Giorgetto. Giorgio (nato il 30 luglio 1511) era il suo nome di battesimo, ma data la bassa statura e l’esile corporatura fu spesso storpiato in “Giorgino”. E Benvenuto Cellini, suo detrattore, arrivò a definirlo in un sonetto “l’impio bòtol” (un empio cagnetto ringhioso) e “crudel Giorgetto“. Ma come mai i suoi contemporanei lo detestavano? “Perché, pur essendo stato cacciato nel 1537 da Cosimo I de’ Medici, che lo considerava uomo privo di fermezza, venne poi richiamato a Firenze – sempre da Cosimo – nel 1554. E per venti lunghi anni, fino alla sua morte, fu il regista assoluto della cultura medicea” risponde Barbara Agosti, docente di Storia della critica d’arte all’Università di Roma Tor Vergata. “Chiunque potesse fargli ombra veniva subito liquidato. Il Bronzino, per esempio, che era il ritrattista ufficiale di casa Medici, fu allontanato appena lui mise piede nella corte”.
Per di più, Vasari non si faceva certo scrupoli a mettere mano al lavoro altrui. In un passo delle Ricordanze, le memorie in cui il Vasari annotò ossessivamente tutti i passaggi salienti della sua parabola artistica, durata quasi cinquant’anni, si legge: “Magnifico Messer Ottaviano de’ Medici mi fecie fare un quadro [...] bisognò contraffare un quadro che già gli aveva fatto Andrea del Sarto che lo Illustrissimo Duca Cosimo gli tolse. Così io lo finii[...]“. E’ la storia (un esempio tra tanti) di un odioso scippo artistico perpetrato ai danni di uno dei suoi maestri, Andrea del Sarto, con cui Giorgio aveva iniziato a lavorare a Firenze.
Versatile. Ma nell’anno che segue quello in cui si sono tenute le celebrazioni vasariane è giusto riconoscere a Giorgino anche qualche merito. Intanto, in senso artistico, fu uno e trino: pittore in primo luogo, ma anche architetto e scenografo, oltre che primo storico dell’arte. “Possiamo addirittura considerarlo il fondatore della storia dell’arte” dice l’esperta. “Nelle sue Vite il racconto parte dal ‘200, con Giotto e Cimabue, passando per il ‘400 di Brunelleschi, Donatello e Masaccio, fino alla sua epoca. L’epoca cioè in cui i canoni pittorici della “buona e bella maniera” trovarono i massimi interpreti in Leonardo da Vinci e Michelangelo. Mai nessuno aveva scritto un’opera del genere, che includeva non solo biografie di grandi geni ma anche di artisti che prima non erano considerati degni di essere trattati storicamente”.
Delle Vite esistono due edizioni. In quella datata 1550 Vasari parla solo degli artisti già morti, mentre in quella del 1568 inserì anche i viventi. Tra questi “Michele Agnolo” (così lo chiama) Buonarroti, per cui nutriva un’ammirazione sconfinata: “E’ veramente stata la lucerna che ha fatto tanto giovamento e lume all’arte della pittura, che ha bastato a illuminare il mondo, per tante centinaia d’anni in tenebre stato” si legge nel capitolo a lui dedicato. Il Vasari, dicono le cronache, si precipitò a Roma quando – il giorno di Natale del 1541 – fu inaugurata la Cappella Sistina affrescata dall’amico Michelangelo. E rimase letteralmente abbagliato da quello che vide. Al punto tale da volerlo imitare. Ma il confronto tra il Giudizio universale che Giorgino realizzò per la fiorentina Santa Maria del Fiore e quello michelangiolesco fu impietoso.
Vasari, comunque, qualcosa di bello secondo gli storici dell’arte lo dipinse: l’Immacolata concezione della chiesa fiorentina dei Santi Apostoli, il Battesimo di San Paolo a Roma, ilCristo in croce della chiesa di San Giovanni a Carbonara, a Napoli, e la pala con laDeposizione di Cristo che si trova nella Galleria romana dei Doria Pamphilj. Del resto era sempre pronto a cimentarsi in qualunque impresa. “Anche gli amici si stupivano della superattività di Vasari” commenta Barbara Agosti. “Viaggiava molto, per aggiornarsi professionalmente e per stabilire nuovi contatti: Bologna, Venezia, Verona, Mantova, Roma, Napoli. Da ogni viaggio ricavava informazioni preziose che poi avrebbe trasferito nelle Vite, che in effetti progettò una decina di anni prima della loro pubblicazione, già intorno al 1540″.

Se volete conoscere meglio la vita di Giorgio Vasari potete farlo sfogliando le pagine 8-14 del n. 59 di Focus Storia nella biblioteca dell’Antica Frontiera.

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