Invaso rapidamente il Belgio meridionale, Napoleone con un esercito di 112.000 uomini si trovò di fronte le due armate avversarie, separate da un largo intervallo: Wellington con 80.000 uomini a nord (Bruxelles) e Blücher con 117.000 a est (Namur). L'imperatore decise di affrontare prima Blücher e poi Wellington. Con l'ala destra, comandata da Grouchy, affrontò il 16 giugno i Prussiani di Blücher a Ligny (circa 9 km a sud est di Quatre Bras) sconfiggendoli, ma il generale napoleonico commise l'errore di perdere il contatto con i Prussiani, ignorando quindi in quale direzione si fossero ritirati. Lo stesso giorno, 16 giugno, in cui Grouchy affrontava Blücher a Ligny, l'ala sinistra francese al comando del maresciallo Ney doveva attaccare la posizione (tenuta da Wellington) di Quatre Bras, crocevia delle strade Charleroi-Bruxelles e Namur Nivelles, per impedire la prevista congiunzione delle due armate avversarie. Ney non eseguì l'ordine con la necessaria rapidità (o non comprese bene il comando dell'Imperatore) e giunto il giorno successivo a Quatre Bras, non vi trovò l'armata di Wellington che aveva ripiegato in direzione di Bruxelles per consentire a Blücher di avvicinarsi. La giornata del 17 giugno si chiuse perciò con i Francesi in svantaggio strategico; entrambi i generali avversari conservavano infatti l'iniziativa delle operazioni e potevano ricongiungere le proprie forze. Il giorno 18 Napoleone avanzò in direzione di Bruxelles: intendeva fronteggiare la destra di Wellington per inserirsi tra il nord e l'unica direzione da cui poteva giungere Blücher. Nelle intenzioni di Napoleone si trattava di un'azione dimostrativa ma, invece, Ney e il generale Reille tramutarono la mossa in un attacco a fondo che presto li mise in difficoltà tanto che dovettero chiedere a Napoleone l'aiuto della Guardia. Ma l'imperatore non ritenne giunto ancora il momento di un suo intervento: mentre la destra francese veniva impegnata dalla sinistra inglese, si cominciarono a intravedere le avanguardie di Blücher sbucare a est di Planchenoit. Napoleone non riuscì a sbaragliare gli Inglesi di Wellington prima di poter evitare l'intervento di Blücher, la cui efficacia cominciò a farsi sentire, a metà pomeriggio quando i suoi uomini chiusero a Planchenoit la «pinza del granchio». Ney con i suoi corpi tentò di resistere ma neppure l'intervento della Guardia ebbe l'effetto di arginare l'avanzata prussiana. I Francesi si videro costretti a ripiegare sulla Belle Alliance dove risultò epica la resistenza della Vecchia Guardia, schierata su tre quadrati di 500 uomini, contro i furiosi attacchi delle giubbe rosse degli Inglesi: alla fine però i Francesi ripiegarono disordinatamente. Wellington fermò le sue forze alla Belle Alliance mentre Blücher continuò fino a notte inoltrata l'inseguimento dei fuggiaschi. I Francesi persero circa 25.000 uomini 20.000 gli Inglesi, 4.000 Prussiani.
L'iconografia ufficiale ci ha consegnato alla memoria il ritratto dell'imperatore vestito con una redingote grigia, gli stivali alti e un piccolo copricapo. E la memorialistica la frase del Cambronne che, furioso, con i quadrati della Guardia ormai completamente circondati dai nemici, rispose agli ufficiali inglesi con un vocabolo rimasto nell'uso comune delle scuole e dei salotti francesi: «Merde!».
Napoleone, abbandonato il campo prima che i Prussiani iniziassero l'inseguimento dei Francesi in ritirata, ritornò a Parigi a cavallo. Dopo aver tentato invano di salpare per l'America, si consegnò agli Inglesi sulla nave Bellerofonte abdicando definitivamente. Verrà confinato nell'isola atlantica di Sant'Elena. Con la disfatta francese di Waterloo si chiudeva definitivamente il ciclo storico di Napoleone, frustrando i sogni di egemonia della Francia sull'Europa.
Per ricordare l'epica battaglia da cui dipesero i destini di Napoleone e dell'Europa intera abbiamo scelto lo splendido foglietto che le poste belghe hanno emesso due settimane fa in occasione del bicentenario. Il foglietto mostra la carica della cavalleria francese contro i quadrati inglesi e contiene cinque francobolli raffiguranti i comandanti militari che si confrontarono a Waterloo (Wellington, Blücher, Guglielmo di Orange, Ney e Napoleone).
Nessuna battaglia ha attirato l’attenzione dei militari e degli storici o ha suscitato l’interesse e la curiosità popolari più di Waterloo. Eppure nella lunga storia della civiltà occidentale le battaglie di Zama (202 a.C.) e di Poitiers (732 d.C.) sono state altrettanto importanti e quella di Gettysburg (1863) ha esercitato enorme richiamo su storici e scrittori.
Il perenne fascino di Waterloo è dovuto probabilmente a parecchi fattori concomitanti. Fu una lotta fra titani, dotati di differenti qualità militari e di diverso talento – il genio strategico e il carisma di Napoleone contrapposti all’abilità tattica e alla tenacia di Wellington, e alla lealtà e alla combattività di Blücher. Inoltre, la battaglia segna la fine di un’epoca nella storia europea, e perciò acquista ancora maggior fascino. Winston Churchill definì una volta le battaglie come “segni di interpunzione sulle pagine della storia”, e pochi grandi eventi hanno portato a risultati più significativi: la consacrazione della Gran Bretagna e della Prussia come leaders prestigiosi dell’Europa, l’eclisse militare della Francia, la temporanea stasi nel progresso del liberalismo in tutto il continente, un serio tentativo (purtroppo sfortunato) da parte delle potenze europee di trovare, nel Congresso di Vienna, il modo per evitare in futuro il ricorso alla guerra come mezzo per risolvere i problemi internazionali… tutti avvenimenti che, con le loro conseguenze politiche e sociali, avrebbero caratterizzato la storia europea per quasi mezzo secolo. A proposito di Waterloo, infine, si può sottolineare come gli episodi essenziali della vicenda si siano svolti in quattro giorni, dal 15 al 18 giugno 1815. Straordinari e terribili eventi si concentrarono in un periodo così breve: non meno di quattro scontri violentissimi, cinque grossi errori di valutazione, due “decisioni fortuite” che influirono moltissimo sull’esito finale della battaglia, alcuni sconvolgenti colpi di fortuna nel corso dei combattimenti e una spaventosa emorragia di vite umane, 115.000 caduti in quattro giorni. Il risultato fu altrettanto drammatico – la disfatta di un impero, la completa eclissi del più grande condottiero della storia moderna – e tutto nel pomeriggio di una domenica.
Poche vicende storiche sono state finora tanto controverse e soggette a interpretazioni così divergenti. L’inevitabile contrasto tra i fatti e le fantasie romanzesche, fra realtà e mito, persiste fin da quei giorni di giugno del 1815 e il fatto che la battaglia, come evento storico, sia stata esaminata da almeno tre punti di vista diversi, tutti influenzati da orgoglio nazionalista, ha certo contribuito a renderla ancora più complessa. I francesi considerano di solito la sconfitta di Napoleone con incredulità e ancor oggi a chi visita la zona di Waterloo, a sud di Bruxelles, in Belgio, può capitare di avere qualche dubbio sull’esito finale della grande battaglia, tanto è forte la suggestione del mito napoleonico. Del resto lo stesso Napoleone commentò più tardi: “Tutto fallì proprio quando ogni cosa stava andando per il meglio”. Perciò i francesi considerano spesso la disastrosa sconfitta come un evento storico sfortunato, un ingiusto destino. In Inghilterra, parecchi storici esagerano il ruolo britannico nella campagna e nella battaglia; belgi, olandesi e soldati di Hannover – che costituivano quasi i due terzi delle forze effettive della coalizione antinapoleonica – spesso non vengono neppure ricordati, e l’intervento dei prussiani è ritenuto di scarsa importanza. D’altra parte i tedeschi rappresentano talvolta l’esercito prussiano come l’unico che abbia sostenuto il peso dell’intera campagna, e accusano Wellington di non essere andato in aiuto di Blücher a Ligny, il 16 giugno, in evidente contrasto con la lealtà dimostrata dai prussiani due giorni dopo verso la causa comune.
L’assoluta obiettività è difficile da conseguire, forse quasi impossibile, ma si può giungere a una ricostruzione equilibrata dei fatti – che ignori tutte le interpretazioni estremiste.
Naturalmente chi vuole esaminare con rigore storico un evento complesso come una battaglia importante, deve affrontare enormi difficoltà. Come scrisse Wellington a un cronista contemporaneo, John Croker, l’8 agosto 1815: “… Lo scopo che vi proponete è difficile da conseguire e, se anche raggiunto, di scarsa soddisfazione. La storia di una battaglia non è dissimile da quella di un ballo. Qualcuno può ricordare tutti i piccoli episodi il cui risultato finale è la vittoria o la sconfitta; ma nessuno può ricordare la successione degli eventi o i momenti esatti in cui essi accaddero, e proprio in ciò consiste la differenza che dà la misura del loro valore e della loro importanza”. Questo fu forse il motivo per cui il duca, a differenza di Napoleone, esitò a scrivere la propria versione degli avvenimenti. Forse, al contrario di Napoleone che poté ripensare al passato nei lunghi anni di esilio, non trovò il tempo per farlo. E certamente ebbe poco rispetto per i presunti storici del suo tempo; ad esempio, rivolgendosi a Sir John Sinclair, nel 1816, commentò: “Sono veramente disgustato e infastidito per tutto ciò che sento su Waterloo. Gli scritti sull’argomento sono così numerosi da far pensare che l’esercito britannico non abbia mai combattuto una battaglia prima di allora”. Aggiungere un altro volume alle centinaia già disponibili può quindi far sorgere in uno scrittore qualche esitazione.
Quella che avete letto è la prima parte dell’introduzione del libro di David Chandler Waterloo. Se volete rivivere quella che Victor Hugo definì la giornata del destino dovuta a una forza superiore all’uomo potete farlo prelevando il volume dalla biblioteca dell’Antica Frontiera.