il 14 ottobre 1806 Napoleone e il suo maresciallo Davout distrussero totalmente l’esercito prussiano nella doppia battaglia combattuta in Turingia. A Jena Napoleone ottenne una delle vittorie più importanti della sua carriera, ma fu ad Auerstädt che Davout si trovò ad affrontare il grosso dell'armata prussiana, ottenendo in poche ore un'incredibile trionfo.
Per commemorare i due eventi bellici che causarono il crollo della Prussia come potenza europea abbiamo scelto i francobolli che Manama, Sharjah e Repubblica del Congo emisero tra il 1969 e il 1970 per festeggiare il bicentenario della nascita di Napoleone e che sono direttamente legati alla battaglia di Jena (purtroppo la strepitosa vittoria del maresciallo Davout ad Auerstädt non è mai stata ricordata filatelicamente). Il soggetto rappresentato è in quasi tutti i casi il famoso quadro di Horace Vernet (nell'esemplare dorato di Manama e nei quattro di Sharjah, anche se in un foglietto dell'emirato arabo è stato accostato al volto di Napoleone alla battaglia di Jena un quadro raffigurante la battaglia della Moscova). L'unica eccezione è quella del francobollo congolese, che mostra invece un quadro di Charles Thévenin.
Come nella mattina di Austerlitz, alcuni mesi prima, il campo di battaglia era coperto all’inizio da una densa nebbia che ostacolò le ultime ricognizioni dell’imperatore e ritardò alcuni dei suoi preparativi. Ciò nondimeno, all’alba, circa 46.000 uomini e 70 cannoni erano ammassati sul Landgrafenberg e nelle valli circostanti, pronti a entrare in azione. “Il termine ‘ammassati’ è il più giusto che si potesse usare”, dice Marbot, “giacché in ciascun reggimento i petti degli uomini erano praticamente in contatto con le schiene dei compagni che stavano loro davanti; ma le truppe erano così ben disciplinate che, nonostante l’oscurità e l’ammassamento di oltre 40.000 soldati in quella stretta spianata, non vi fu il minimo disordine e, benché il nemico fosse a mezzo tiro di cannone di distanza, non si rese conto di nulla.” Pur non sapendolo in quel momento, i francesi avrebbero dovuto affrontare circa 38.000 prussiani, armati di 120 cannoni; i francesi però erano molto più concentrati dei loro avversari, i loro comandanti erano di gran lunga superiori e il morale della truppa incomparabilmente più alto. Secondo la sua abitudine, Napoleone cercò di visitare il maggior numero possibile dei reparti di prima linea, per informarli personalmente della situazione che dovevano affrontare: questo servì a dare un’ulteriore spinta al coraggio e all’impegno degli uomini. Nelle file prussiane, dove molti non si erano ancora riavuti dagli allarmi e dal panico di due giorni prima, la situazione era completamente diversa. Vari battaglioni di fucilieri, al centro, mancavano del 50 per cento degli effettivi, perché dispersi o perché avevano disertato; inoltre, tutti erano affamati e col morale a terra.
La famosa battaglia di Jena si divide in quattro fasi ben definite. La prima si sviluppò tra le sei e le dieci del mattino, quando Lannes, Soult e Augereau furono impegnati a respingere l’avanguardia di Tauenzien e a allargare la testa di ponte sul lato occidentale della Saale, per far posto ai rinforzi che giungevano a Jena a spron battuto. Il primo attacco fu sferrato dalle due divisioni di Lannes, Suchet sulla destra e Gazan sulla sinistra, appoggiate da 28 cannoni. Non appena le prime colonne si scontrarono con i battaglioni di Tauenzien ebbe inizio un feroce ma confuso corpo a corpo, in mezzo alla nebbia. L’artiglieria cominciò a far fuoco a bruciapelo, ma nonostante le forti perdite, Suchet occupò subito Closwitz con la sua fanteria leggera, che mise in rotta tutti coloro che cercarono di ostacolare la sua avanzata. Gazan non ebbe altrettanta fortuna nell’assalto di Cospeda; la sua avanguardia fu respinta da un intenso e preciso fuoco di artiglieria. Benché le cose non gli andassero troppo male, Tauenzien, frastornato, ordinò l’immediata evacuazione dei due villaggi di prima linea e anche di Lutzeroda, lasciando solo un forte contingente di truppe leggere da combattimento nella boscaglia e si ritirò tra le sue riserve di sassoni nelle vicinanze del villaggio di Vierzehnheiligen. I francesi lo inseguirono dappresso, ma il loro slancio stava già affievolendosi un poco, quando Tauenzien lanciò un violento contrattacco con i 5.000 uomini che era riuscito a riordinare. Questa manovra ebbe notevole successo: i francesi si ritirarono precipitosamente e in gran confusione – un solo squadrone riuscì a mantenere la propria posizione – e si trovarono poco dopo divisi in due parti, uno a nord-est di Vierzehnheiligen a Krippendorf, mentre la seconda si era rifugiata a sud, nei boschi di Isserstedt. Fortunatamente per i francesi, i prussiani trascurarono di sfruttare il loro vantaggio, ma si fermarono quasi subito e tornarono indietro, dirigendosi ancora più a occidente, verso Kleinromstedt. Questa strana manovra era parzialmente dovuta al successo delle forze francesi che operavano sui fianchi di Lannes. La divisione di testa di Soult schierata sulla destra uscì dal villaggio di Lobstadt e si aprì un varco attraverso Zwäten, inoltrandosi poi nei boschi. Qui si scontrò violentemente con alcuni reparti del generale Holtzendorff, che si stavano spostando dalle vicinanze di Dornburg. Nel frattempo, sull’ala opposta dello schieramento, la seconda divisione di Augereau risaliva a passo sostenuto la valle del Mühlbach o Mühltal, dirigendosi verso il Flohmberg. Questo era il naturale percorso di chi, da Jena, si dirigeva verso Weimar e, temendo che perlomeno il suo fianco meridionale rischiasse di essere aggirato e preoccupato inoltre per le sue gravi perdite, Tauenzien si ritirò verso il grosso delle forze di Hohenlohe.
Così, prima delle dieci, le formazioni di testa di Napoleone si impadronirono del terreno indispensabile per lo spiegamento della Grande Armata, grazie soprattutto alle ritirate non necessarie del nemico. La prima parte del grande piano di Napoleone era stata felicemente portata a termine, ed egli ordinò una pausa al centro e all’ala sinistra, perché le nuove formazioni potessero entrare in linea.
Sulla destra francese, tuttavia, Soult era fortemente impegnato dai 5.000 uomini di Holtzendorff e, mentre negli altri settori vi fu una temporanea tregua, qui si continuò a combattere. Poco dopo le dieci di mattina, soldati prussiani attaccarono la divisione di St. Hilaire, mentre il grosso delle loro forze si schierò in formazione a scalare, fiancheggiato dalla cavalleria e da 22 cannoni, pronto a intervenire in forze. Fortunatamente per St. Hilaire, il suo intero comando era nascosto dietro a un pendio vicino a Rödigen e, prima che potesse rendersene conto, Holtzendorff si trovò a essere attaccato dalle truppe francesi che si riversarono sulla sua ala sinistra, sboccando in massa da un settore da lui ritenuto deserto. Poco dopo i prussiani furono costretti a ritirarsi oltre il fiume vicino a Nerkwitz. Dapprima questa manovra fu coperta dalla cavalleria, poi le truppe a cavallo di Soult, aprendosi un varco attraverso la fanteria leggera e gli ulani, piombarono su una delle colonne prussiane e praticamente la annientarono. Il bottino di quest’azione fu di quattrocento prigionieri, sei cannoni e due bandiere.
Holtzendorff fece animo ai suoi uomini, piuttosto scossi, e li incoraggiò a sferrare un ulteriore attacco dietro al villaggio di Nerkwitz, ma ancora una volta i francesi, aggirando la sua ala sinistra, lo caricarono frontalmente con la loro cavalleria. Fu un colpo troppo duro per il morale prussiano e i reparti di Holtzendorff cedettero tutto d’un colpo, trasformandosi in un’orda di fuggiaschi che, abbandonando la maggior parte dei cannoni rimasti, si precipitò in direzione di Apolda. Holtzendorff riuscì a recuperare la sua cavalleria e una sola batteria, alle quali ordinò di unirsi immediatamente alle formazioni attaccanti di Hohenlohe, poi seguì la sua fanteria, ormai in rotta, verso il nord. Il disastro sarebbe stato ancora maggiore, se fosse stato permesso a St. Hilaire di inseguire il nemico, ma la nuova crisi che si stava profilando al centro, obbligò Soult a richiamare i propri uomini per sferrare un attacco contro il fianco sinistro di Hohenlohe.
Alle nove questi si era reso conto che stava fronteggiando qualcosa di più di un attacco locale, sferrato da un semplice distaccamento dell’ala francese. L’arrivo dello sconfitto Tauenzien definì con maggiore chiarezza la realtà della situazione e il principe inviò immediatamente un aiutante di campo a Weimar, con un messaggio per Rüchel, che richiedeva un immediato intervento in suo soccorso. Fatto questo, ordinò a Tauenzien di far ritirare i suoi uomini superstiti nelle retrovie, perché si riorganizzassero e si rifornissero di munizioni, mentre tre brigate sassoni venivano allineate lungo la strada di Weimar, con l’ordine di tenerla a tutti i costi sgombra dal nemico. Poi Hohenlohe mobilitò la maggior parte della fanteria prussiana e un’altra brigata sassone, sotto il comando del generale Gräwert, affinché si muovessero verso est per contrastare ai francesi il possesso dell’altopiano. Stava per cominciare la terza fase della battaglia di Jena.
Le colonne prussiane arrivarono sul posto in maniera piuttosto frammentaria. Per prima arrivò una divisione sassone, che si diresse verso la riva occidentale del Mühlbach, seguita dalla cavalleria e dall’artiglieria a cavallo, mentre le truppe prussiane di Gräwert chiudevano la retroguardia. Alle undici del mattino comunque, 11 battaglioni erano stati schierati di fronte alle truppe di Lannes. La divisione sassone era stata disposta a difesa del fianco destro e il numero delle unità di cavalleria aumentava velocemente, quando, a sud del villaggio di Vierzehnheiligen, divampò inaspettatamente uno scontro, provocato da alcuni impazienti reparti francesi appena arrivati; erano le formazioni dell’avanguardia del maresciallo Ney, costituite da due reggimenti di cavalleria e cinque battaglioni di fanteria.
Dopo aver morso il freno impazientemente e per molte ore nelle vicinanze di Jena, in attesa dell’arrivo del resto delle sue truppe, il focoso Ney non resisté al desiderio di venire alle mani col nemico e, dimentico del suo senso del dovere e senza aver ricevuto alcun ordine, si buttò a capofitto nella battaglia, iniziando l’azione nello spazio libero tra la sinistra di Lannes e la destra di Augereau, celato alla vista di tutti dagli ultimi veli della nebbia mattutina. Incurante del fatto che affrontava una forza esattamente il doppio della sua, Ney attaccò con decisione una forte batteria prussiana. Dapprima, la sua audacia ebbe fortuna; il settore destro dello schieramento prussiano cedette sotto il suo attacco e i francesi tolsero agli artiglieri i loro pezzi e coronarono la loro impresa costringendo alla ritirata, anche se solo temporaneamente, i 45 squadroni prussiani, che erano sul punto di assalire le truppe di Lannes, nei pressi di Vierzehnheiligen. Il successo di Ney fu, in ogni caso, transitorio. La sua temeraria avanzata provocò, inevitabilmente, una grande strage e, quando la cavalleria nemica si riebbe dalla sorpresa e tornò al contrattacco, Ney fu obbligato a formare un quadrato, per reggerne l’urto. Inoltre l’impeto della sua avanzata lo aveva portato troppo lontano sia da Lannes che da Augereau; in conseguenza si trovò ben presto completamente isolato.
Fortunatamente per Ney, l’imperatore si rese conto a questo punto di ciò che stava succedendo e, per salvare il suo impetuoso maresciallo da un disastro quasi certo, ordinò a Bertrand di avanzare al galoppo con i due reggimenti a cavallo che rappresentavano tutta la sua riserva di cavalleria (Murat non era ancora arrivato). Nello stesso tempo, fu ordinato a Lannes di spingersi attraverso il villaggio e ristabilire il contatto con le truppe isolate, mentre Augereau si affrettò a formare una seconda linea in appoggio a Ney. Questi movimenti non ebbero altro successo, se non quello di alleggerire la situazione del guascone. Le truppe di Lannes, che si riversavano attraverso Vierzehnheiligen, si scontrarono frontalmente con la linea di Gräwert, schierata in quel momento in formazione obliqua, e che avanzava verso di loro “come in una parata”. Anche se con gravi perdite da entrambi i lati, l’azione si chiuse con lo scacco dei francesi; gli uomini di Lannes furono ricacciati nel villaggio, mentre Ney fu costretto a abbandonare la sua posizione a Isserstedt e nel bosco adiacente. Il generale Savary descrisse eufemisticamente la reazione di Napoleone nei confronti della precipitosa azione di Ney: “L’imperatore fu molto scontento della ostinazione del maresciallo Ney. Gli disse alcune parole sull’argomento, ma con delicatezza”.
Si era giunti al momento più critico della giornata: Hohenlohe si trovò di fronte alla possibilità di ricuperare gran parte del terreno perso dai prussiani durante la mattina, ma sfortunatamente gliene mancò il coraggio. Sollecitato dai suoi a prendere d’assalto Vierzehnheiligen, e a trarre il maggior vantaggio possibile dalla situazione favorevole, decise di fermare le truppe di Gräwert vicino al villaggio, in una posizione del tutto scoperta, perché aspettassero le truppe di Rüchel in arrivo da Weimar. Massenbach fu inviato lungo la strada per Weimar, perché sollecitasse l’arrivo di questi rinforzi, ma la decisione di far fermare Gräwert rappresentò per Hohenlohe un fatale errore. Nelle famose parole del colonnello Maude: “A questo punto, avvenne uno dei più straordinari e tragici incidenti che la storia militare ricordi. Questa magnifica linea di fanteria, che ammontava a circa 20.000 uomini, rimase allo scoperto per due ore intere, esposta a un destino senza misericordia e al fuoco dei francesi, che, al riparo dietro le mura dei giardini, non offrivano alcun bersaglio al loro fuoco di risposta. In alcuni settori nelle prime linee non restavano che pochi uomini che continuavano a caricare e far fuoco, mentre tutti i loro compagni giacevano morti o moribondi intorno a loro”. Ciò nondimeno, il fuoco degli obici prussiani riuscì a smantellare parecchi pezzi francesi e l’esplosione di molti cassoni d’artiglieria causò gravi perdite.
Per un po’ di tempo in questo settore, non vi fu alcun progresso né per i francesi né per i prussiani; ma Lannes cercò ben presto di risolvere la situazione lanciando simultaneamente un attacco frontale e di fianco contro l’ala sinistra del nemico. Hohenlohe ritirò subito tutta la sua ala sinistra, mettendola in posizione di difesa, ma la violenza dell’attacco francese costrinse i prussiani a retrocedere finché un opportuno contrattacco, eseguito da alcuni reparti di sassoni appena arrivati, capovolse la situazione, ricacciando gli uomini di Lannes nel villaggio in gran disordine. Di nuovo Hohenlohe non sfruttò il suo successo; questa volta però, aveva maggiori ragioni per farlo. Sul suo fianco sinistro, la fanteria di Ney e una parte delle truppe del maresciallo Lannes avanzarono nuovamente attraverso il bosco di Isserstedt e sboccarono sulla strada maestra per Weimar, isolando tre brigate sassoni poste lì di guardia, mentre verso Jena il comandante prussiano vedeva le masse scure delle nuove formazioni appena giunte che si avvicinavano alla prima linea. In tali circostanze, una ulteriore avanzata gli appariva oltremodo rischiosa e Hohenlohe rivolse tutta la sua attenzione al compito di colmare la breccia formatasi tra la sua ala destra e il centro. Il risultato di questa sua decisione fu che per le 13 tutti i contingenti (eccetto la divisione di Tauenzien che era stata distrutta) erano schierati lungo la prima linea e Hohenlohe rimase ad aspettare con ansia l’arrivo di Rüchel, per poter ripristinare la sua riserva. Sfortunatamente questo ufficiale aveva subito un notevole ritardo lungo la strada e aveva impiegato ben due ore per percorrere cinque chilometri; non gli sarebbe stato possibile pertanto arrivare prima delle 14 o delle 15.
Frattanto man mano che le unità della Grande Armata attraversavano la Saale, la pressione francese aumentava spietatamente. Verso le 12,30 Napoleone aveva ben 42.000 uomini di riserva (la cavalleria di Murat e il nucleo principale dei comandi di Soult e Ney) oltre ai 54.000 già impegnati nella battaglia. Ordinò pertanto un attacco generale lungo tutta la linea prussiana. Sulla sinistra francese, la divisione di St. Hilaire doveva di nuovo impegnare i superstiti del reparto di Holtzendorff, mentre sulla sinistra Augereau ebbe l’ordine di attaccare i sassoni sullo Schneckke, un lungo passo serpeggiante nel quale passava la strada maestra Weimar-Jena. Il settore centrale doveva subire un attacco frontale ad opera di Ney e Lannes, appoggiati in un secondo tempo da Murat, una volta che fossero bene avviate le azioni sui fianchi. Augereau aveva già iniziato a combattere verso le 11,30, ma St. Hilaire non raggiunse la sua posizione che verso le 13. A questo punto Napoleone diede il segnale di avanzata generale al centro.
Con loro gran rammarico, le truppe scelte della Guardia imperiale non ebbero il permesso di partecipare a questa manovra d’avanzata: “… la fanteria della Guardia imperiale vide combattere tutti, mentre essa rimaneva oziosa e amareggiata. Si udì qualcuno dire: ‘avanti!’. ‘Cosa?’ replicò l’imperatore ‘solamente uno sbarbatello oserebbe stabilire in anticipo ciò che debbo fare. Che aspetti di aver comandato in trenta battaglie campali prima di osare darmi un consiglio!” Erano i vélites che fremevano impazienti di mostrare il loro coraggio”. Napoleone era decisamente riluttante a impegnare la Guardia imperiale in battaglia, tendenza questa che doveva fargli perdere un’ultima possibilità di vittoria nove anni dopo, sul campo di Waterloo.
Piuttosto insensatamente, alcuni reparti di cavalleria e di artiglieria prussiani mossero incontro alla massa che avanzava, ma gli impazienti francesi evitarono questi ostacoli e penetrarono nelle brecce che erano state aperte nella prima linea prussiana. Era giunto il momento decisivo; il fuoco prussiano cominciò a affievolirsi e Hohenlohe si arrese all’inevitabile e ordinò una ritirata generale verso Gröss- e Klein-Romstedt. Non era affatto un compito semplice disimpegnare le sue formazioni, perché Lannes fece arrivare al galoppo la sua artiglieria e aprì un fuoco violento e continuo sulle colonne in ritirata. Ciò nonostante, queste si mossero dapprima in buon ordine; ma appena la cavalleria di Murat si precipitò rumorosamente in avanti, cominciò a spargersi il panico e la ritirata prussiana si trasformò rapidamente in una rotta. Una parte degli uomini e dei cavalli si riversò come un torrente verso ovest in direzione di Weimar, e il fatto che una certa aliquota fosse riuscita a sfuggire alle sciabole di Murat fu in gran parte dovuto all’azione eroica di un unico battaglione di granatieri sassoni guidati dal colonnello Winkel, che si disposero in quadrato e si ritirarono in buon ordine, coprendo in parte la fuga dei loro compatrioti. Un’altra aliquota dell’armata di Hohenlohe si diresse verso nord e ebbe maggior fortuna, perché la divisione di Tauenzien riuscì a trattenere gli inseguitori presso Gröss-Romstedt; malgrado ciò, questa colonna frettolosa lasciò 2.500 prigionieri, 16 cannoni e 8 bandiere in mano ai francesi.
Nonostante si delineasse una grande vittoria francese, restava ancora da combattere una piccola battaglia. I fuggitivi sulla strada di Weimar incontrarono improvvisamente vicino a Capellendorf i 15.000 uomini del ritardatario Rüchel, alla cui assenza dal campo di battaglia principale era da attribuire in gran parte il disastro. In tali circostanze, la manovra più sensata da parte sua sarebbe stata quella di assumere una posizione di difesa lungo la linea del fiume Sulbach e di tentare, una volta là, di coprire la ritirata dei suoi compatrioti; questo tipo d’azione però non gli piacque: schierò invece i suoi uomini a metà strada tra Kotschau e Gröss-Romstedt e, quando la massa di uniformi azzurre della fanteria di Lannes e Ney apparve improvvisamente, dirigendosi direttamente verso di lui la posizione prussiana diventò così insostenibile che fu dato l’ordine di ritirata. Questa fu eseguita dapprima senza gravi incidenti, sotto la protezione degli squadroni di cavalleria prussiana e sassone; ma le salve di un piccolo reparto di fucilieri francesi corsi là su ordine di Napoleone e il successivo attacco della fanteria, spezzarono la compattezza delle truppe di copertura. Poi venne il turno dei corazzieri di Murat e ben presto i battaglioni vennero sanguinosamente dispersi uno dopo l’altro e anche i soldati di Rüchel si precipatorono lungo la strada di Weimar. I francesi presero altri 4.000 prigionieri, oltre a impadronirsi di 5 insegne e stendardi.
Questo pose fine a ogni ulteriore forma di resistenza organizzata e alle 15 la vittoria poteva dirsi completa. C’erano ancora vari distaccamenti che erano riusciti a scampare alla retata generale, ma alle 16 l’inseguimento di Murat era già ben avviato e un’ora più tardi l’impetuoso guascone entrò a cavallo nella città di Weimar, brandendo, invece della sciabola, una frusta. Sulla strada di Apolda, Tauenzien continuava la sua ritirata riuscendo però a conservare un certo ordine e mantenendo Soult a buona distanza; altrove invece fu soltanto il precoce cadere della notte autunnale che salvò i superstiti. Con la perdita di soli 5.000 uomini, i francesi avevano provocato ai prussiani la perdita di ben 25.000 soldati (dei quali 15.000 prigionieri). Napoleone pensava che il giorno seguente quel numero sarebbe aumentato, perché credeva che Davout e Bernadotte muovessero, come era stato loro ordinato, alla volta di Apolda, passando direttamente attraverso la linea di ritirata di almeno metà delle truppe prussiane sopravvissute.
L’imperatore ritornò lentamente al suo precedente accampamento sul Landgrafenberg, sostando sul principale campo di battaglia per organizzare il soccorso ai feriti. Soltanto verso sera raggiunse di nuovo il suo quartier generale, che era stato allestito in una locanda a Jena e che ora era addobbato a festa con i 30 vessilli nemici catturati. Trovò a aspettarlo il capitano Tobriant, un ufficiale dello stato maggiore di Davout. All’inizio, non riuscì a credere alle notizie che il capitano gli riferiva: Davout dichiarava di aver combattuto e sconfitto il nucleo principale dell’esercito prussiano presso Auerstadt, a quindici chilometri di distanza. “Il tuo maresciallo deve vederci doppio”, affermò Napoleone piuttosto scortesemente, rivolgendosi all’ufficiale. Poco a poco, però, si rese conto che lui l’imperatore, con 96.000 uomini, aveva impegnato soltanto il fianco delle truppe prussiane, che era formato complessivamente da 55.000 uomini, mentre Davout, il subalterno, con soli 26.000 uomini al suo comando era stato impegnato in un durissimo scontro con le forze principali di Brunswick. Napoleone digerì a fatica l’enormità del suo abbaglio; tuttavia il giorno dopo non esitò a assegnare a Davout tutte le lodi che meritava. Cosa era accaduto, però, a Bernadotte? La risposta a questa domanda sarebbe giunta soltanto il giorno dopo. Napoleone era così sfinito che si addormentò mentre dettava gli ordini per il giorno seguente. A un gesto del suo comandante, la Guardia imperiale formò un silenzioso quadrato intorno all’imperatore estenuato e vigilò tutta la notte il suo sonno. A quindici chilometri di distanza, i superstiti del corpo d’armata di Davout, decimato ma vittorioso, anche essi esausti erano piombati nel sonno.
La disperata e sanguinosa battaglia combattuta vicino ad Auerstadt era stata di incredibile violenza. Il giorno dopo, nel 5° bollettino della Grande Armata, Napoleone riconobbe pienamente tutto il merito del suo subalterno: “Alla nostra destra, il corpo d’armata del maresciallo Davout ha fatto miracoli. Non solo è riuscito ad arrestare il grosso dell’esercito nemico, che doveva sboccare attraverso la gola di Kosen, ma l’ha respinto e sconfitto, facendolo battere in ritirata per più di tre leghe. In quest’azione, il maresciallo ha dimostrato di possedere le qualità essenziali di un vero guerriero: un coraggio eccezionale e una grande fermezza di carattere”. Questo generoso riconoscimento non diceva che la verità e dovrebbe dimostrare quanto siano errate le asserzioni di diversi storici i quali affermano che l’imperatore non volle mai ammettere il suo debito nei riguardi di Davout.
Se avete trovato appassionante il resoconto della battaglia di Jena e volete approfondire anche l’eroica impresa del maresciallo Davout, che con i suoi uomini si coprì di gloria adAuerstadt, potete prelevare il primo volume di David Chandler Le campagne di Napoleone dalla biblioteca dell’Antica Frontiera.