Il 13 ottobre del 54 d.C. il quarto imperatore romano Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico morì avvelenato in circostanze misteriose dopo aver mangiato un piatto di funghi letali, della specie amanita phalloides. Non è difficile pensare che sia stato avvelenato da Agrippina, sua quarta moglie nonché nipote, anche se era ormai sicura della successione di Nerone. Essa potrebbe aver desiderato vedere il figlio sul trono mentre era ancora abbastanza giovane per seguire i suoi consigli e le sue volontà.
Per ricordare il grande ed instancabile legislatore, nonché il conquistatore della Britannia, abbiamo scelto il francobollo che le poste coloniali italiane emisero nel 1934 per l'ottava fiera campionaria di Tripoli. L'esemplare violetto da 50 centesimi fa parte di una serie di sette valori e raffigura la statua marmorea di Claudio ritrovata a Leptis Magna e oggi visibile nel museo archeologico di Tripoli.
Caligola, persuaso, come andava dicendo, che gli uomini hanno rispetto solo per chi è più forte e non tengono conto delle virtù, ormai senza più controllo e ritegno nei suoi atti d’arbitrio, insaurò un regime di terrore infierendo specialmente contro i ricchi per confiscarne i patrimoni e rifarsi degli enormi sperperi; in tal modo perdette rapidamente il favore in ogni strato sociale. Il mezzo per uscire da una situazione fattasi insostenibile fu quello di sopprimerlo nella persuasione di interpretare la comune attesa. Andarono vane due congiure ma la terza, promossa nel 41 da un gruppo di ufficiali pretoriani e di liberti di palazzo guidati dal tribuno del pretorio Cassio Cherea, ebbe successo. In tal modo fu indicata la via per superare in futuro analoghe situazioni di degenerazione tirannica del principato, un regime il cui potere tendenzialmente dispotico valeva dunque a temperare l’uccisione o l’usurpazione.
I congiurati non avevano però pensato alla successione: in mancanza di una designazione, poteva in teoria essere ripristinata anche la repubblica, ma se non si provvide in tal senso è perché ormai il principato si andava istituzionalizzando e il culto imperiale si era legato alla nozione dinastica, specialmente in Oriente. Mentre il senato era riunito per decidere, la guardia pretoriana, ricevuta la promessa di un donativo di 15.000 sesterzi per ogni soldato, giurò fedeltà a Claudio che era stato scovato nascosto dietro un tendaggio, timoroso di essere ucciso anche lui. La designazione trovò pronto consenso nel popolo e al senato non restò che approvarla. Il nuovo principe, cinquantenne, fratello di Germanico (in lui confluiva il sangue dei Claudi per parte del padre Druso, dei Giuli e degli Antoni per parte della madre Antonia e di Ottavia sorella di Augusto), era vissuto sempre appartato, più dedito agli studi (si era occupato di ricerche sugli antichi Etruschi con un’opera in venti libri, Tyrrhenica, che era in linea con il grande interesse rivolto alla cultura del tempo a questa civiltà). In famiglia era ridicolizzato per una certa sua goffaggine nei modi, pur avendo una figura piacente; il nipote Caligola gli aveva fatto rivestire il consolato più per valorizzare un familiare che per la fiducia nelle sue capacità.
Messo alla prova, forse per reazione alla sua fama di inetto, ma grazie anche alla preparazione culturale, si manifestò, negli atti di governo, ben superiore alle attese: il cattivo concetto rimasto di lui nella tradizione è dovuto in buona parte alla maldicenza di certa storiografia ufficiale del tempo che esprimeva, come per esempio Tacito, i sentimenti dell’aristocrazia senatoria, alla quale Claudio preferì, per l’assolvimento delle funzioni più importanti, persone del suo seguito e particolarmente alcuni liberti, Narciso, Pallante, Callisto e Polibio, assurti quasi al rango di suoi ministri. La stessa aristocrazia non perdonò a Claudio di aver immesso in senato dei nobili edui, già accolti nella cittadinanza romana: il discorso che egli, nativo di Lione, aveva pronunciato a sostegno di tale ammissione, invero rispondente alla tradizione romana di accettare con larghezza gli apporti dei popoli via via immessi nello Stato, è stato tramandato in un’iscrizione ritrovata appunto a Lione. Anche altri affronti l’aristocrazia non perdonò a Claudio, per esempio quello di aver affidato a esponenti dell’ordine equestre il governo di quattro nuove province. Neppure gli si perdonò l’invadenza che le donne della sua famiglia, che erano sempre state potenti e politicamente attive, stavano assumendo negli affari di Stato: in primo luogo la moglie Messalina e poi (dopo la condanna a morte di costei, rea di aver contratto scandalosamente un secondo matrimonio con Gaio Silio, uno dei suoi tanti amanti, che aveva ingenerato il sospetto di un complotto) la nipote Agrippina Minore, che egli aveva sposato in seconde nozze, ritenute dall’opinione corrente quasi incestuose. I rapporti tra Claudio e l’aristocrazia attraversarono momenti di gravissima tensione, con sospetti reciproci, rancori, accuse ed egli si ridusse, nei processi che ne seguirono, a far suppliziare 35 senatori e 221 cavalieri.
Le iniziative prese da Claudio nella politica interna ed esterna furono di notevole rilievo e qualificano il suo principato tra i più attivi per lo sviluppo che ebbero gli organi di governo impostati da Augusto: diede un assetto all’amministrazione centrale con articolazioni più precise in relazione alle accresciute esigenze creando nuovi uffici affidati ai fidi e devoti liberti, quello ab epistulis per la corrispondenza del principe, quello a studiis per gli archivi, quello a libellis per l’evasione delle pratiche relative ai rapporti e alle richieste delle province e quello a rationibus per la finanza. Praticò una politica aperta verso i provinciali favorendo il processo di assimilazione dei ceti elevati; eseguì o completò opere pubbliche grandiose con la costruzione di un nuovo acquedotto per sopperire all’approvvigionamento idrico di Roma, insufficiente alla rapida crescita urbana, con l’apprestamento di un nuovo porto a Ostia per fronteggiare gli aumentati consumi, con il prosciugamento del lago Fucino per ovviare alle periodiche inondazioni delle campagne circostanti e mettere a coltura nuove terre, con l’estensione della rete stradale.
Anche nella legislazione sociale l’intervento di Claudio fu rimarchevole. Meticoloso com’era, tentò di aggiungere tre nuove lettere all’alfabeto, in linea su questo punto con il suo antenato Appio Claudio Cieco (è un’altra prova del persistere nella società romana di antiche tradizioni e comportamenti familiari).
All’esterno dei confini, mosso certo dal puntiglio di procurarsi anch’egli autentica gloria militare e forse premuto dai ceti finanziari, tra il 43 e il 44 intraprese la conquista della Britannia, che considerò un completamento della Gallia, e presenziò di persona alle operazioni nella fase finale, quando fu conquistato il centro di Camulodunum (l’odierna Colchester). La sistemazione dei territori richiese poi lunghe lotte per il consolidamento del nuovo dominio. Intraprese altre spedizioni contro i Germani sul Danubio e nella Mesia e in Armenia contro i Parti; nel Sahara costruì sui confini i primi grandi castra militari in pietra da cui si svilupparono successivamente nuove città; trasformò in province procuratorie precedenti protettorati, quali Tracia, Licia, Mauretania cesariense e Mauretania tingitana, in cui fondò numerose colonie. Nel 49, in corrispondenza agli ingrandimenti territoriali conseguiti, allargò simbolicamente il pomerio di Roma. Nello stesso anno fece espellere dalla città, per disordini che vi erano scoppiati, gruppi di Ebrei seguaci della fede cristiana che si andava diffondendo. Accrebbe intanto di due il numero delle legioni che salirono così a ventisette. Nel 42 ognuna delle due legioni dalmate che non avevano aderito a una rivolta promossa dal legato Camillo Scriboniano assunse il soprannome di pia fidelis e questa innovazione della denominazione di una legione in relazione al comportamento tenuto verso il principe verrà largamente imitata in avvenire.
Claudio morì nel 54: riguardo alla successione egli aveva posto sullo stesso piano il figlio Britannico, avuto da Messalina, e Nerone, che la nipote Agrippina aveva avuto dal precedente marito Gneo Domizio Enobarbo. Agrippina, diventata Augusta, si era adoperata con tutti i mezzi per far preferire Nerone e questo fatto accreditò poi il sospetto che avesse avvelenato Claudio per accelerare i tempi della successione di suo figlio, cui intanto aveva fatto sposare Ottavia, figlia dell’imperatore e di Messalina.
Claudio fu poi divinizzato, primo dei principi dopo Augusto: l’avvenimento fu però oggetto di ironia in un componimento attribuito a Seneca, l’Apokolokyntosis (divinizzazione di una zucca), un misto di prosa e di versi velenosi.
Se volete approfondire la vita di Claudio, oggi considerato tra tutti gli imperatori romani uno dei più abili amministratori, oltre che un instancabile legislatore, potete farlo sfogliando il 4° volume de La Storia – Dall’Impero Romano a Carlo Magno nella biblioteca dell’Antica Frontiera.