Fu un grande filosofo e scrittore, martire del libero pensiero. Fuggito dal convento napoletano di San Domenico, dove era frate dal 1565, perché sospettato di eresia, visse in varie città europee (1578-1591) pubblicando le sue opere. Avversario delle religioni positive, cui riconobbe solo valore educativo, sostenne l'infinità dell'universo e l'autonomia della ragione. Trasferitosi a Venezia fu denunciato all'Inquisizione e, dopo un lungo processo, arso vivo a Roma. Prima di essere giustiziato in Campo de' Fiori Giordano Bruno aveva rivolto ai suoi giudici la storica frase «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla»).
Per ricordare la morte del raffinato pensatore domenicano di cui dal 2004 a Roma si commemora ogni anno la ricorrenza abbiamo scelto il francobollo italiano da 800 lire/0,41 euro che fu emesso nel 2000 in occasione del quarto centenario della sua uccisione. La vignetta raffigura, su un fondino che rappresenta il cosmo a ricordare le dottrine astronomiche del filosofo, a destra il volto di Giordano Bruno, tratto dal busto realizzato dallo scultore Pietro Masulli, nel 1863, posto nella piazza Cortile del Salvatore, a Napoli; a sinistra sono rappresentate pergamene sovrapposte, sulle quali si evidenzia una penna d'oca, dove sono elencati i titoli di alcune opere del filosofo e precisamente, dall'alto verso il basso: De umbris idearum - Sigillus sigillorum - De la causa principio e uno - De l'infinito, universo e mondi - De gli eroici furori - De minimo De monade - De immenso et innumerabilibus - De imaginum compositione.
Bruno nacque a Nola nel 1548. Divenuto chierico presso il convento di San Domenico Maggiore a Napoli nel 1565, assunse il nome di Giordano (il suo nome di battesimo era Filippo) e nel 1572 fu ordinato sacerdote. Già in questo periodo Bruno incominciò a nutrire quel dissenso nei confronti del dogma che l’avrebbe portato a subire un processo e a fuggire da Roma nel 1576. Si rifugiò poi in Liguria; di lì raggiunse Torino e poi Venezia ave stampò l’opera perdutaDe’ segni de’ tempi. Dopo un soggiorno a Padova e la sosta in alcune città dell’Italia settentrionale, si recò a Chambéry e successivamente a Ginevra. Nella città svizzera fece professione di fede calvinista, ma subì nell’agosto del 1579 un processo per diffamazione nel quale andò incontro anche alla scomunica, poi ritirata. Lasciata Ginevra, si recò a Lione e poi a Tolosa, ave ricoprì per due anni il posto di lettore di filosofia.
Nella seconda metà del 1581 fu a Parigi, ove iniziò a frequentare la corte. Appartengono a questo periodo parigino le prime opere rimasteci: il De umbris idearum con l’annessaArs memoriae, il Cantus Circaeus, il De compendiosa architectura et complemento artis Lulli, stampate tutte nel corso del 1582 come la commedia italiana Il Candelaio. Nell’aprile del 1583 fu in Inghilterra, ove anticipò il suo copernicanesimo e i temi filosofici e scientifici sviluppati nelle opere italiane.
Nel 1583 stampò l’Ars reminiscendi, l’Explicatio triginta sigillorum e il Sigillus sigillorum; nei due anni successivi apparvero i celebri dialoghi italiani, destinati a suscitare subito vivaci reazioni. Alla fine del 1585 fu nuovamente a Parigi, in una situazione politica ormai a lui meno favorevole. Lasciata la Francia per la Germania nel 1586, conobbe a Wittenberg un periodo di serena e feconda attività. Nel marzo del 1588 si recò a Praga e poi a Helmstedt, città in cui si fermò sino all’aprile del 1590 nonostante le difficoltà incontrate con la parte luterana e una nuova scomunica. In questo periodo stese o completò il De rerum principiis, una serie di opere magiche pubblicate poi con i titoli di De magia, Theses de magia, De magia mathematica, e tre poemi latini, per attendere alla pubblicazione dei quali si recò a metà del 1590 a Francoforte. Costretto a lasciare questa città nel febbraio 1591, vi ritornò momentaneamente per stampare il De imaginum compositione ed è qui che lo raggiunse l’invito del patrizio Giovanni Mocenigo a recarsi a Venezia. Bruno vi giunse nell’agosto del 1591, attratto dalla speranza di ricoprire la cattedra di matematica presso lo Studio di Padova. Fallito tale tentativo, Bruno venne imprigionato nel maggio l592 in seguito a tre denunce sporte dal Mocenigo stesso al Sant’Uffizio, nelle quali veniva accusato di blasfemia ed eterodossia. Iniziò così la fase veneta del processo, ampiamente documentata a differenza di quella, decisiva, svoltasi a Roma. In una serie di costituti, Bruno si difese sottolineando da un lato la portata esclusivamente filosofica del suo insegnamento, basato su principi puramente naturali, dall’altro dichiarandosi pentito e disposto ad abiurare i suoi errori; gli stessi testi che vennero ascoltati restarono a lui favorevoli. L’Inquisizione romana mirò tuttavia ben presto ad avocare a sé il processo e chiese e ottenne l’estradizione. Bruno lasciò così Venezia per il carcere romano del Sant’Uffizio, ove fu rinchiuso nel febbraio del 1593. Le accuse che gli venivano mosse riguardavano la concezione dei principi della realtà, l’infinità dell’universo, la concezione dell’anima individuale e del suo rapporto con l’anima del tutto, il moto e l’anima della Terra, l’identificazione degli angeli con gli astri e dello Spirito Santo con l’anima mundi. Nel gennaio 1599, su istanza del cardinale Bellarmino, Bruno si dichiarò disposto all’abiura, ma lo fece in misura giudicata parziale e insoddisfacente. Il 17 febbraio 1600, per ordine di Clemente VIII, Bruno venne arso vivo a Roma, in piazza Campo de’ Fiori.
Se volete approfondire la vita di Giordano Bruno potete farlo sfogliando il 7° volume de La Storia – Il Cinquecento: la nascita del mondo moderno nella biblioteca dell’Antica Frontiera.