Con l’avanzata di Garibaldi in Val di Ledro, si stringono le maglie degli italiani sulle forze del generale Kuhn. Due giorni prima dello scontro di Pieve di Ledro, infatti, Cialdini ha distaccato in direzione di Trento, a sostegno dei volontari, una sua divisione. La comanda un vecchio e abile luogotenente dell’Eroe dei due mondi, Giacomo Medici. Inoltre altre tre divisioni, agli ordini di Raffaele Cadorna, stanno marciando su Trieste.
Prima di finire avviluppato tra più fuochi, Kuhn decide di tentare il tutto per tutto e di respingere Garibaldi, per essere poi libero di affrontare Medici. Il generale austriaco prepara pertanto un attacco concentrico sulle forze garibaldine che, nel frattempo, sono giunte a Bezzecca, ormai a ridosso di Riva del Garda. Anzi, il 5° reggimento del colonnello Giovanni Chiassi, appartenente alla 1a brigata di Ernesto Haug, si è spinto perfino oltre, a Locca, mandando un battaglione in avanguardia 3 chilometri più avanti, a Lenzumo in Val di Concei.
La manovra di Kuhn si articola su tre colonne, che puntano a sfondare e aggirare le forze garibaldine per isolarle oltre Storo e Ampola. Quella più occidentale, al comando del generale Kaim, consta di 6000 uomini e punta contro la sinistra italiana scendendo lungo il Chiese. Al colonnello Montluisant sono invece affidate due colonne per un totale di 4500 uomini, con cui avanzare contro il centro garibaldino, agendo in Val di Ledro dalla Val di Concei. Per finire, un distaccamento della colonna Montluisant parte da Riva, puntando contro la destra italiana.
All’alba del 21 luglio, d’improvviso, l’avanguardia del 5° reggimento si ritrova investita dalla colonna sinistra di Montluisant, e non è in grado di opporre resistenza. I volontari fanno in tempo a fuggire e raggiungono Locca dove, nel volgere di poco, giungono entrambe le colonne austriache. Chiassi cerca di opporsi alla pressione nemica, ma poi deve arretrare fino al margine dell’abitato di Bezzecca, dopo aver subito perdite ingenti.
A Bezzecca lo sbarramento italiano si rivela più efficace, grazie anche alla determinazione del battaglione di bersaglieri genovesi agli ordini di Antonio Mosto. I difensori si valgono delle due bocche da fuoco di cui dispongono per tenere a distanza gli austriaci; ma una volta in posizione, gli uomini di Montluisant possono utilizzare i loro quattro pezzi e valersi di postazioni soprelevate, che costringono i garibaldini a ripiegare tra le case.
A quel punto gli imperiali si lanciano all’assalto, che Chiassi cerca di fronteggiare chiamando a raccolta i suoi e raccogliendone un manipolo per contrattaccare. Ma alle 8:00 il colonnello viene centrato al petto, e a quel punto la rotta sembra inevitabile. Tuttavia, nel frattempo Garibaldi si è mosso da Storo e, sempre in carrozza, si è portato a ridosso di Bezzecca, dando ordine al 9° reggimento del figlio Menotti di seguirlo.
Il generale capisce subito che il possesso di Bezzecca è la chiave del combattimento. Pertanto, dispone “di far occupare le alture di sinistra dai battaglioni del 9° reggimento, che cominciavano ad arrivare. E ben ci valsero, poiché la salvazione prima della giornata furon quelle postazioni, occupate dai prodi di quel reggimento, capitanati, lo dico con vero orgoglio, da mio figlio Menotti. I due battaglioni del 9° eran comandati da Cossovich e Vico Pellizzari, ambi dei Mille e degni di esserlo”.
Ma il centro e la destra sono ancora in difficoltà. Al centro i resti del 5°, sostenuti dal 7°, tentano un contrattacco, ma sono respinti, e da destra non arriva il previsto sostegno di Spinazzi (che poi Garibaldi farà arrestare e processare), posizionato a Molina. Adesso, il tiro dei fucili austriaci quasi raggiunge Tiarno, e perfino la carrozza di Garibaldi finisce nel mirino nemico. I suoi uomini gli fanno scudo col corpo, alcuni cadono, prima che il generale faccia in tempo a ricorrere all’estrema risorsa della batteria di riserva. Il condottiero ordina infatti al maggiore Dogliotti, artefice principale della presa del forte d’Ampola, di portarsi in prima linea, valendosi intanto della batteria del 5°.
E’ la soluzione che cambia il corso della battaglia. Dogliotti “collocava i suoi sei pezzi sopra un terreno dolcemente elevato, e fulminava il nemico con tiri tali, che più sembravano fuoco di moschetteria anziché di cannone, tale era la loro celerità”, scrive ancora il generale.
Sotto il tiro dell’artiglieria italiana, gli austriaci a Bezzecca si disuniscono. A quel punto, Garibaldi forma una colonna mista con gli elementi più valorosi scelti dai comandanti subalterni, la affida al maggiore Stefano Canzio, suo genero, e la manda al contrattacco. Alle 14:00 i garibaldini, sostenuti sul fianco dal 9° di Menotti, caricano “senza far un tiro”, scrive il generale nel suo rapporto, cacciando il nemico “con la baionetta alle reni dalle posizioni che occupava”.
E l’inseguimento prosegue oltre Bezzecca, con gli austriaci in rotta fin oltre Lenzumo. Dalla parte opposta, anche la colonna Kaim ha fallito: la sua avanzata è stata facilmente respinta dalle brigate Nicotera e Corte all’altezza di Condino, al comando del capo di stato maggiore Nicola Fabrizi. La vittoria è incontestabilmente di Garibaldi, che tuttavia deve lamentare 121 morti, 451 feriti e 1070 prigionieri, a fronte dei 25 morti, 82 feriti e un centinaio di prigionieri austriaci.
Ma quel che più conta è che la via è aperta. Dopo lo scacco, Kuhn sgombra la via delle Giudicarie per andare ad affrontare il Medici. Garibaldi potrebbe avanzare verso Riva, ma quattro giorni dopo gli perviene la comunicazione dell’armistizio stipulato dal governo, che prelude allo sgombero del Trentino. La Marmora lo comunica al generale il 9 agosto, con il telegramma che così esordiva: “Considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell’armistizio per il quale si richiede che tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo, d’ordine del Re”.
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