In quell'occasione Napoleone sconfisse pesantemente austriaci, russi e prussiani causando loro 38 mila perdite. Questa vittoria non gli portò sostanziali e duraturi vantaggi e meno di due mesi dopo sarebbe stato sconfitto dalle forze alleate della Sesta Coalizione nella grande battaglia di Lipsia.
Poiché non esistono francobolli riguardanti la battaglia di Dresda per celebrare l'anniversario di oggi abbiamo scelto il bellissimo foglietto che la Russia ha dedicato lo scorso anno alla battaglia di Lipsia - nota anche come "battaglia delle Nazioni" - in occasione del suo bicentenario. Il soggetto rappresentato è un quadro ad olio dipinto nel 1845 dal pittore tedesco Carl Reichlin intitolato "La carica della Guardia Imperiale cosacca a Lipsia il 4 ottobre 1813".
La portata dell’inconsapevole errore di Napoleone, che non aveva posto fine alla guerra in maggio, si evince dalle forze che gli alleati erano adesso in grado di mettere in campo: oltre mezzo milione di uomini subito, e altri 350.000 in breve tempo. L’imperatore si trovò immediatamente a dover far fronte a tre armate principali, l’una, a nord nella zona di Berlino, di 110.000 tra svedesi e prussiani, al comando dell’odiato Bernadotte, l’altra, di 95.000, in Slesia, guidata da Blücher, e un’altra ancora in Boemia, sull’alto Elba, forte di 230.000 effettivi, al comando del principe Schwarzenberg; come se non bastasse, al redivivo Bennigsen era stata affidata la costituzione di una quarta armata in Polonia, per almeno 60.000 uomini. Il loro intento, raggiunto dopo una lunga serie di discussioni, era quello di evitare la grande battaglia campale e di affrontare l’esercito napoleonico separatamente: l’armata minacciata avrebbe dovuto ritirarsi mentre le altre pensavano a tagliare le vie di comunicazione ai francesi.
Ma anche Napoleone si era dato da fare, portando nel frattempo la sua forza totale su tutti i fronti a 700.000 uomini, anche se con i vizi ormai fisiologici della mancanza di qualità e di cavalleria; per di più, aveva perso di nuovo Soult, che aveva dovuto rimandare in Spagna dopo aver avuto notizia della vittoria di Wellington a Vitòria il 21 giugno. Ancora una volta, il suo piano prevedeva di staccare i prussiani dall’alleanza puntando su Berlino, e questa volta con una strategia del genere aveva il vantaggio di puntare subito contro il fedifrago Bernadotte. Contro l’ex maresciallo Napoleone inviò Oudinot, che pose al comando di un’armata di 120.000 uomini, costituita da corpi di Bertrand, Reynier e dello stesso Oudinot, oltre al III cavalleria di Arrighi e al corpo di Davout, forte di 35.000 uomini, che però aveva il compito di presidiare la zona di Amburgo. L’imperatore tenne per sé il grosso dell’esercito, un’armata di 250.000 uomini costituita da sette corpi, dalla guardia e da quattro reggimenti di cavalleria, mantenendo il controllo della zona del medio Elba e di Dresda, che fungeva da quartier generale e da linea avanzata di comunicazione per ogni balzo in avanti. Qualcuno dei suoi marescialli gli fece notare che non era corretto separare le forze proprio in quel momento; aveva finalmente a disposizione un numero di effettivi tale da garantirgli una vittoria completa, e lui li divideva in due armate per cercare la vendetta contro l’amico di un tempo; inoltre, se già anni prima Federico Guglielmo non si era lasciato piegare dalla caduta di Berlino, quando era il solo a combattere, a maggior ragione non avrebbe ceduto adesso che altre quattro potenze combattevano al suo fianco.
Il primo obiettivo degli alleati era Lipsia; quello di Napoleone divenne Blücher, non appena seppe che il comandante prussiano sarebbe stato rinforzato da un contingente russo proveniente dalla Polonia, 40.000 uomini al comando di Wittgenstein. A Dresda l’imperatore lasciò il solo Saint Cyr, con il compito di difendere il vitale centro da eventuali attacchi di Schwarzenberg, e mosse verso est con il grosso del suo esercito, solo per constatare che, secondo la strategia ideata dai comandi alleati, Blücher non faceva che ritirarsi. A quel punto, il comandante prussiano si trasformò in un’esca per allontanare Napoleone da Dresda, e gli alleati abbandonarono l’idea di Lipsia e iniziarono a convergere sulla città sull’Elba; ma le loro avanguardie vennero brillantemente respinte da Saint Cyr, che non esitò comunque a chiamare in aiuto lo stesso imperatore, il quale lasciò il solo MacDonald all’inseguimento di Blücher e mosse subito alla volta della città tedesca: ma non per portare rinforzi al maresciallo assediato. Ritenendo infatti che gli si presentasse una buona occasione per distruggere l’armata di Boemia, che appariva piuttosto scoperta sul fianco destro e da tergo, ordinò a Saint Cyr di resistere, mentre si dava a racimolare tutti gli effettivi possibili per attuare una manovra avvolgente, contando su una copertura a nord da parte di Oudinot e di MacDonald a est.
Ma come spesso gli capitava, Ney fraintese gli ordini del suo imperatore e si staccò immediatamente da MacDonald, permettendo così a Blücher di svincolarsi dalla pressione francese e tornare a essere una mina vagante; a nord, intanto, Reynier si era fatto sconfiggere da Bülow, e questo era stato sufficiente per indurre Oudinot a ripiegare su Wittenberg, non offrendo più una valida difesa sul fianco settentrionale. Anche a Dresda, peraltro, le cose si mettevano male per Saint Cyr, la cui resistenza era ormai agli sgoccioli: il 25 agosto, il maresciallo non garantiva più di ventiquattr’ore di difesa, e Napoleone, che aveva a disposizione i corpi di Vandamme, Victor, Marmont, Ney, la guardia e la riserva di cavalleria, fu costretto alla scelta tra la rinuncia al suo quartier generale, stipato di ogni sorta di rifornimenti in armi e vettovaglie, e l’aggiramento dell’esercito di Schwarzenberg, ora rinforzato dal contingente di Wittgenstein. In realtà, considerando quanto validamente aveva resistito Saint Cyr da solo, sarebbe stato sufficiente inviare in suo aiuto un solo corpo d’armata, e utilizzare il rimanente dell’esercito per completare la manovra di aggiramento, valendosi anche della pressione proveniente dalla stessa Dresda. Invece, Napoleone non se la sentì di rischiare la città sul cui possesso aveva basato l’intera campagna, e a partire dalle prime ore del 26 vi inviò l’intera sua forza – che affluì in città a ondate fino alla notte seguente – spedendo contro gli austriaci il solo Vandamme. Fu uno dei più grossi errori della sua carriera.
Saint Cyr si era dato molto da fare per rinforzare le difese della città, già potenziate dall’imperatore stesso fin dai primi giorni dell’occupazione francese. A sinistra dell’Elba si trova la città vecchia, Altstadt, divisa dai sobborghi da un fossato e da una cinta muraria, mentre la stessa cinta delimita sulla riva destra la Neustadt, la città nuova; l’area della città era delimitata a nord-est e a sud-ovest da alture, e il maresciallo aveva predisposto una linea di difesa nella periferia meridionale e occidentale, costituita da barricate lungo le strade, case munite di feritoie e sbarramenti di ogni genere, contando anche sulla difesa naturale di due corsi d’acqua a sud e a ovest della Altstadt, il Landgraben e il Weisserlitz; non pago, aveva anche allestito cinque fortini di terra per l’artiglieria oltre i sobborghi, e la mattina del 26 aveva avanzato la sua linea di difesa lungo i villaggi suburbani di Striesen, Strehlen, Plauen e Lobtaus, dove la tipologia insediativa di case con giardini recintati costituiva un buon sbarramento, coronato a sud-est da un grande parco cinto da mura, ilGross Garten.
Napoleone, da parte sua, oltre a confermare Saint Cyr responsabile della difesa della città, aveva organizzato tre colonne speciali guidate da Murat, Ney e Mortier. Un primo attacco non in forze degli alleati partì all’alba del 26, e valse loro il possesso del parco, ma si infranse contro la linea dei fortini, e a metà mattinata i francesi erano ritornati sulle loro originarie posizioni di difesa. L’idea che aveva preso forma dalle interminabili discussioni tra i sovrani – erano presenti Alessandro, Francesco e Federico Guglielmo – era a questo punto di un attacco generale, ma intorno alle nove l’eco dell’arrivo di Napoleone in città giunse fino alle loro posizioni sulla collina di Racknitz, e i litigi ripresero vigore. Alessandro ricordò che la strategia concordata prevedeva di evitare gli scontri diretti con l’imperatore, mentre il re prussiano era convinto che si dovesse approfittare della superiorità numerica, che avrebbe consentito agli alleati di gettare in campo almeno 150.000 uomini mentre Napoleone ne aveva in città non più di 70.000, in quel momento; in mezzo, Francesco non si pronunciava. Tuttavia Schwarzenberg aveva già ricevuto l’ordine di attacco, e quando gli arrivò il contrordine, trasmessogli attraverso una lunga trafila di comandi, i tre colpi di cannone che davano l’avvio all’azione erano stati appena sparati, e i suoi uomini iniziavano l’avanzata verso le postazioni nemiche.
La veemenza dell’assalto portò alla conquista di un paio di fortini, ma nel complesso la linea difensiva allestita da Saint Cyr tenne bene, e anzi le sue artiglierie decimarono l’ala destra nemica, condotta da Wittgenstein. Alle cinque e mezzo Napoleone decise di passare al contrattacco, mandando Mortier con due divisioni della guardia alla riconquista del Gross Garten, tenuto da Kleist e Wittenberg, e Ney con altre due divisioni della vecchia guardia addosso al centro, guidato dallo stesso Schwarzenberg; nonostante l’intervento della riserva dei granatieri austriaci, voluta dallo stesso comandante in difficoltà di fronte all’impeto del “più prode dei prodi”, al calar della sera i francesi avevano recuperato ancora una volta le posizioni di partenza. La soddisfazione di Napoleone, che aveva ripreso la sua encomiabile abitudine di partecipare in prima persona alle fasi salienti della battaglia, si accrebbe con l’arrivo, subito dopo, dei trafelati Victor e Marmont. Adesso aveva a disposizione 120.000 uomini, mentre gli alleati erano arrivati a 170.000; il loro numero era però condizionato dall’azione di Vandamme, che aveva attaccato con i suoi 40.000 uomini i 12.500 dell’ala sinistra alleata, al comando di Eugenio di Württemberg, e altri 26.000 effettivi agli ordini di Ostermann dovettero essere inviati in aiuto di quest’ultimo per impedire uno sfondamento del fianco.
Il 27 entrambi i comandi erano decisi a prendere l’iniziativa: gli alleati intendevano sfondare al centro, dove ammassarono i due terzi dell’esercito, lasciando 25.000 uomini a testa a Wittgenstein a destra e a Bianchi a sinistra. Anche Napoleone rinforzò il centro, con Marmont e Saint Cyr in prima linea al comando di 50.000 uomini e la fanteria della vecchia guardia in seconda, ma per compiere una doppia manovra avvolgente sui fianchi: ne affidò l’esecuzione a sinistra a Ney, Mortier e a Nansouty con la sua cavalleria, con altri 35.000 effettivi, mentre la destra, che si sarebbe dovuta congiungere con Vandamme, era costituita dagli ultimi 35.000 uomini disponibili di Victor e Latour-Maubourg, al comando di Murat.
La battaglia riprese alle sei del mattino con una poderosa offensiva delle due ali francesi, favorita dalla pioggia battente che era caduta nel corso della notte, dalla quale gli alleati non avevano avuto modo di ripararsi. A sinistra, Wittgenstein fu costretto a ripiegare sotto la spinta di Mortier, Ney e Nansouty e lo stesso avvenne per la guarnigione attestata lungo la strada per Pirna, a Seidnitz, che arretrò di un chilometro; l’attacco poi si arrestò per lasciare che il lavoro fosse terminato dall’artiglieria francese, che riversò un bombardamento senza tregua sulle postazioni nemiche. A destra, il torrente Weisseritz si era gonfiato fino a essere in piena, e l’ala sinistra alleata era virtualmente isolata dal resto dell’esercito, anche perché i francesi badarono bene a impossessarsi dell’unico ponte disponibile, a Plauen. Victor caricò con decisione, e i soldati di Bianchi non poterono far altro che fuggire a ridosso del fiume, mentre sull’altra riva il resto dell’esercito assisteva senza poter intervenire; l’attacco fu completato dall’avanzata sull’estrema destra della divisione del generale Teste e dalla cavalleria di Latour-Maubourg, che chiusero ogni via di fuga agli austriaci, 13.000 dei quali caddero prigionieri: un intero settore dell’esercito alleato era virtualmente scomparso dal campo di battaglia.
Tuttavia al centro l’inferiorità numerica dei francesi si faceva sentire e, se per gli alleati, a causa del terreno pesante, era impossibile attuare il previsto attacco di sfondamento per separare le ali nemiche, per i transalpini era altrettanto proibitivo avanzare oltre le posizioni di partenza. Napoleone era intenzionato a proseguire la battaglia anche il giorno successivo, ma gli alleati constatarono di aver perso ben 38.000 uomini a fronte dei 10.000 francesi, e che l’aggiramento di Vandamme rischiava, una volta completato, di tagliare loro la linea di fuga; di conseguenza lo zar, che era stato sfiorato da una palla di cannone, fu il più zelante promotore di una ritirata in Boemia, che ebbe luogo la notte stessa.
Era stata una vittoria ancor più netta delle due precedenti di Lützen e Bautzen, per Napoleone, ma gli eventi che l’avevano preceduta e che la seguirono immediatamente dopo la resero ancor più inutile. Si è già detto della sconfitta di Oudinot; ebbene, lo stesso giorno della battaglia di Dresda, MacDonald pensò bene di disattendere gli ordini dell’imperatore e si lanciò oltre il Katzbach all’inseguimento di Blücher, disperdendo le proprie forze e dando così modo all’astuto prussiano di aggirarlo e di farlo cadere in trappola: in un colpo solo, 15.000 uomini e 100 cannoni finirono nelle mani dell’armata di Slesia. Come se non bastasse, il 30 giunse a Dresda la notizia di un’altra disfatta: fin dal 28 Napoleone aveva dato inizio all’inseguimento dell’armata di Boemia, e Vandamme si era gettato verso sud per anticipare gli alleati all’altezza di Teplitz. Ma il generale era piuttosto isolato in avanti, e quando le truppe di Ostermann che inseguiva si arrestarono, poco prima di Teplitz, si trovò ad affrontare una nuova battaglia. L’esito fu sancito dal casuale arrivo da tergo delle forze di Kleist, a loro volta inseguite da Saint Cyr, e il corpo d’armata francese si trovò a dover combattere presso Kulm contro un numero soverchiante di truppe, per giunta già in posizione di accerchiamento: sebbene metà degli uomini riuscissero a svincolarsi, lo stesso Vandamme e 13.000 dei suoi caddero nelle mani degli alleati. Nell’arco di pochi giorni, i subalterni di Napoleone avevano distrutto quanto di buono l’imperatore aveva compiuto a Dresda, ma in parte la responsabilità era dello stesso comandante in capo, che non aveva resistito alla tentazione di dividere le proprie forze; adesso era tutto da rifare.
Se volete approfondire uno degli scontri più importanti della guerra della sesta coalizione potete farlo sfogliando il volume di Andrea Frediani Le grandi battaglie di Napoleone nella biblioteca dell’Antica Frontiera.