Il 20 agosto 1968 200.000 soldati del Patto di Varsavia e 5.000 carri armati invasero la Cecoslovacchia e posero brutalmente fine al programma riformatore di Alexander Dubček, nuovo segretario del partito comunista cecoslovacco ed esponente dell'ala innovatrice.
Per commemorare i tragici fatti di Praga abbiamo pensato di ricordare proprio il massimo interprete del nuovo corso con le due emissioni filateliche che gli sono state dedicate dalla Slovacchia, sua terra d'origine. La prima, da 8 corone slovacche, risale al 1993, l'anno in cui la Repubblica Slovacca nacque dalla divisione della Cecoslovacchia, e raffigura un Dubček sorridente. La seconda, da 18 corone slovacche, è del 2001, e celebra con un bel foglietto policromo l'80° anniversario della nascita del politico scomparso nove anni prima a seguito delle ferite riportate in un incidente stradale.
Nel gennaio del 1968 Alexander Dubček, esponente dell’ala innovatrice del Partito comunista cecoslovacco, fu eletto segretario, subentrando (con l’approvazione dell’allora leader sovietico Leonid Brežnev) ad Antonin Novotný.
Subito dopo l’insediamento, Dubček avviò un significativo esperimento di liberalizzazione, per il quale contava sull’appoggio dell’opinione pubblica, degli intellettuali, degli studenti, dei lavoratori e anche di parte dell’esercito. Il suo programma cercava di conciliare un sistema a base socialista con elementi di moderato pluralismo in economia e in politica. Ciò comportava significative aperture in direzione della libertà di opinione, di stampa e di associazione. Fra i principali effetti della svolta vi fu la costituzione di numerose formazioni politiche. Fu la cosiddetta primavera di Praga: una stagione di fermento e innovazione che, pur senza mettere in discussione l’appartenenza della Cecoslovacchia al sistema di alleanze sovietico (a differenza per esempio di quanto era accaduto in Ungheria nel 1956), sembrò realizzare l’ideale di un “socialismo dal volto umano”. Ancora una volta, tuttavia, l’URSS ritenne intollerabile l’esperimento, temendone i possibili effetti a macchia d’olio negli altri Paesi satelliti.
A partire dal mese di marzo Brežnev cominciò a manifestare segni di impazienza, invitando ripetutamente Dubček a bloccare il cammino intrapreso, di chiaro allontanamento da Mosca. Dopo vari tentativi per indurre i dirigenti del partito cecoslovacco a interrompere il processo di liberazione, protrattisi ancora per tutto il mese di luglio e nelle prime due settimane di agosto, nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, le truppe sovietiche e di altri quattro Paesi del patto di Varsavia (DDR, Polonia, Ungheria e Bulgaria: nell’insieme ca. 200.000 uomini armati di mezzi pesanti) occuparono la capitale e il Paese. I carri armati giunsero a Praga; i soldati sovietici fecero irruzione nella sede del comitato centrale. Si diede vita a un governo filosovietico; il primo ministro Černík e lo stesso Dubček furono arrestati e trasferiti, mentre il presidente cecoslovacco Svoboda di lì a pochi giorni venne inviato a Mosca.
Nella capitale migliaia di Cechi scesero in piazza. Durante le manifestazioni di protesta, i praghesi (che 23 anni prima avevano combattuto a fianco dei Russi il comune nemico nazista) non esitarono a gridare “fascisti!” in direzione delle truppe d’occupazione, e a dipingere svastiche sui loro carri armati. Nei giorni successivi si sparò sulla folla: l’invasione costò quasi 100 morti. I dirigenti cecoslovacchi scelsero di non percorrere la via dell’opposizione armata, ma di mettere in pratica forme di resistenza passiva. Nel frattempo, un congresso clandestino del Partito comunista cecoslovacco, in una fabbrica di Praga, confermava la fiducia a Dubček. I Sovietici furono così costretti a rimettere Dubček e gli altri quadri cechi al loro posto. Il loro operato era ormai pienamente sotto il controllo di Mosca; ma rovesciati in pochi mesi i rapporti di forza nel partito, i protagonisti dell’apertura furono progressivamente allontanati. Vittime della “normalizzazione” furono tutti i dirigenti e gli intellettuali che avevano animato la primavera: costretti a emigrare o ad abbandonare i loro incarichi. Dubček fu sostituito da Gustav Husák. La brutale gestione della crisi cecoslovacca, una delle tappe più significative del crescente disagio dei Paesi dell’Europa orientale soggetti al controllo sovietico, ebbe contraccolpi assai negativi per l’immagine dell’URSS: se grazie al proprio veto i Sovietici riuscirono a evitare che una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU condannasse il loro operato, l’invasione costò loro comunque la riprovazione non solo di personalità isolate, ma anche di consistenti gruppi delle dirigenze dei partiti comunisti dell’Europa occidentale (tra cui il PCI di Luigi Longo), che avevano espresso ammirazione e sostegno alle aperture del programma avviato da Dubček.
Se volete approfondire i fatti della privavera di Praga e dell’invasione della Cecoslovacchia potete farlo sfogliando il 14° volume de La Storia – Dalla guerra fredda alla dissoluzione dell’Urss nella biblioteca dell’Antica Frontiera.