A fine maggio '44 il 2° corpo americano avanzò rapidamente lungo la costa, prendendo Itri, occupando Gaeta, e congiungendosi al 6° corpo che da parte sua aveva sfondato la sacca di Anzio. A Cassino, largamente superata, i polacchi lanciarono contro l'abbazia un nuovo attacco sanguinoso e superfluo, ma i paracadutisti tedeschi si piegarono soltanto davanti all'ordine personale di Kesselring di abbandonare la "loro" Cassino e di fuggire in tutta fretta per la Casilina ancora aperta. Avendo logorato le sue riserve, il comando tedesco potè condurre soltanto azioni ritardatrici. Duri combattimenti si svolsero a Pico, a Cisterna, a Valmontone, a Velletri. Ma ormai la partita era risolta. I tedeschi sgomberarono Roma, mentre il 6° e il 13° corpo si avvicinavano per le vie del sud-ovest, e il CEF e l'ottava armata britannica superavano la città ad est.
Il 4 giugno, alle ore 18, il Combat Command A, della First Armoured Division, passò il ponte San Giovanni, in mezzo ad una folla che, diceva un ufficiale americano, "riuscì a fare ciò che i tedeschi non hanno mai potuto fare: fermare i nostri carri armati".
Tutti i muri dell'Europa occupata erano ricoperti da manifesti propagandistici che illustravano la marcia verso Roma: una lumaca le cui corna inalberavano una bandiera americana e una bandiera inglese. Squadre assoldate all'uopo strapparono precipitosamente i manifesti. La lumaca era arrivata.
Per ricordare il grande giorno della liberazione di Roma abbiamo scelto la prima serie luogotenenziale con i quattro valori da 30c, 50c, 60c e 1 lira del tipo della serie "imperiale" senza fasci. Questi esemplari furono approntati soltanto tra l'ottobre e il novembre del 1944. Nei mesi precedenti, mancando al Poligrafico diverse attrezzature e materie prime, vennero utilizzate le rimanenze trovate nel Magazzino Carte-Valori, specificamente i francobolli con soprastampa P.M.
L’arrivo degli Alleati significò la liberazione dall’occupazione repressiva e poliziesca, ma non la libertà assoluta e l’autonomia, perchè Roma era destinata ad avere in casa ancora degli stranieri che avrebbero controllato il graduale ritorno alla normalità della città e dell’Italia. E questo ancora per quasi un anno. La città avrebbe vissuto un periodo di tregua tra la fine effettiva del regime fascista e l’inizio di un futuro ancora incerto. Ci sarebbero stati ancora privazioni, tradimenti, dolori, ma anche un’aria nuova, una vita dimenticata, una gioia eccitata in una città divenuta centro di retrovia e passaggio di militari, all’insegna di una generale precarietà.
Che cominciò da quell’alba del 4 giugno con i romani in festa intorno ai carri armati e allejeep dell’ottantesima divisione della quinta Armata americana, con quei soldati che lanciavano pacchetti di sigarette, stecche di cioccolata e chewing-gum; e proseguì il giorno dopo in piazza San Pietro affollatissima per ringraziare il papa Defensor civitatis. Il tripudio durò diversi giorni, con la liberazione dei prigionieri politici da Regina Coeli, i loro comizi improvvisati che esaltavano i diritti dei cittadini, parlavano di legislatura. Poi un mare di carta stampata: nuovi giornali che escono, liberati dalla censura, come espressione dei partiti che già si sono ricostituiti. “Il Tempo”, “L’Avanti”, “L’Unità”, “Il Quotidiano” diventano portavoce di tante speranze ancora imprecise. In Campidoglio s’insedia il comandante civile e militare di Roma nella persona del generale Roberto Bencivenga; e ritorna la figura del sindaco in un nobile antifascista come il principe Andrea Filippo Doria Pamphilj, che finisce la breve allocuzione d’insediamento con un incitamento destinato a divenire famoso nella città alla ricerca della pace: “Volemose bene”.
Al lungotevere Arnaldo da Brescia si commemora il sacrificio di Giacomo Matteotti; si riapre la Sinagoga; Pio XII a Sant’Ignazio ringrazia la Madonna del Divino Amore per aver salvato Roma; sul muro lungo il viale del policlinico resterà a lungo la sua immagine circondata da migliaia di ex voto. La fede mantiene un suo valore.
Il Governo militare alleato s’insedia nel palazzo delle Assicurazioni a piazza Venezia; a capo è il colonnello Charles Poletti, dal quale dipendono le sorti degli affari pubblici, civili e organizzativi della città. “E’ cordiale, alla mano, ottimista, con una sicurezza tutta americana, parla moltissimo, forse troppo”, ricorda Luigi Ceccarelli. “Indefessamente, ogni mercoledì alla radio comunica alla cittadinanza in attesa di notizie, buone o cattive – più spesso cattive – le condizioni dei rifornimenti. Tra una battuta e l’altra, una barzelletta, una lezione di democrazia applicata, il colonnello, che doveva essere il salvatore di Roma e l’iniziatore di uno sperato benessere, comincia a deludere. Diventa l’oggetto di un epigramma popolare da statua parlante: “Charles Poletti, meno ciarle e più spaghetti”.
Se volete approfondire le speranze e le incertezze dei giorni della liberazione di Roma potete farlo sfogliando il libro Storia di Roma – Dalla fondazione all’inizio del terzo millennio nella biblioteca dell’Antica Frontiera