Il 27 ottobre 1962 l’aereo su cui volava Enrico Mattei, presidente dell’ENI, precipitò nelle campagne intorno Bascapè (PV). Le cause del disastro rimasero oscure per moltissimi anni. In seguito a nuove evidenze, nel 2005 fu stabilita la natura dolosa dell’incidente; vennero infatti ritrovati segni di esposizione a esplosione su parti del relitto, sull’anello e sull’orologio di Mattei.
Per ricordare questo misterioso delitto, sul cui movente si sa ancora pochissimo, anche se è indubbio che ne trassero vantaggio soprattutto le cosiddette "sette sorelle" del petrolio, abbiamo scelto il francobollo che le poste italiane emisero nel 2006 in occasione del centenario della nascita dell'imprenditore marchigiano. Si tratta di un esemplare da 45 centesimi di euro che mostra il ritratto del fondatore dell'ENI.
Lo schianto con cui il bireattore Morane Saulnier dell’Eni s’infranse al suolo, alle 19 del 27 ottobre 1962, nelle vicinanze di Bescapé, scosse il Palazzo italiano. Diverse ma tutte intense furono le reazioni alla catastrofe che aveva tolto di scena Enrico Mattei. Ci fu chi, costernato, vide svanire i suoi progetti e chi, sollevato, seppe che finalmente potevano avverarsi. Nessuno, tra gli appartenenti al mondo politico, parapolitico, economico restò indifferente. L’Italia perdeva un protagonista. A cinquantasei anni il grande e discusso demiurgo che aveva esercitato la sua influenza sulla nascita d’ogni governo e sulla fortuna d’ogni ministro, e che era stato amato e odiato con eguale passionalità finiva, in senso letterale e in senso metaforico, il suo volo.
L’aereo di Mattei era decollato da Catania alle 16,57, portando a bordo, oltre al “petroliere”, anche il pilota, Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale. Tempo pessimo in Lombardia, con pioggia, nubi basse, foschie. Bertuzzi aveva tenuto la quota massima consentita dalla pressurizzazione, 3500 metri, e si era presentato al radiofaro di Linate in posizione anomala, 4000 piedi al di sopra della quota che avrebbe consentito l’imbocco diretto del sentiero di discesa. Alle 18,57 l’ultima comunicazione dell’aereo: “Raggiunto duemila piedi”. Poi il silenzio.
Il bireattore s’era disintegrato a Bescapé, tra Milano e Pavia: una paesaggio piatto di campi e marcite, a breve distanza dalla cascina Albaredo. Fu subito affacciata l’ipotesi del sabotaggio, che una prima inchiesta, decisa dal ministro della Difesa Andreotti e affidata al generale di brigata aerea Ercole Salvi, dichiarò inconsistente. La sciagura fu attribuita “a perdita di controllo per spirale a destra”, ossia, in parole povere, a un errore del pilota. Il fratello di Mattei, Italo, non fu appagato da quelle conclusioni e nel ’63 presentò una denuncia contro ignoti “per avere cagionato, sabotandolo con mezzi fraudolenti nei congegni metallici, la caduta e la distruzione al suolo dell’aeromobile Morane Saulnier”. La magistratura entrò in azione, e ordinò una perizia che approdò ai medesimi risultati della precedente. In base a essa, cinque punti – diligentemente elencati da Italo Pietra nella sua biografia di Mattei – erano pacifici e incontrovertibili: “I due reattori erano perfettamente funzionanti allorché l’aereo cadde in stallo; l’incidente si verificò repentinamente a seguito di un’improvvisa spirale a destra del velivolo sfuggito al controllo del pilota; l’aereo giunse a terra integro in tutte le sue strutture; non si verificò alcuno scoppio in volo; gli aerofreni e il carrello di atterraggio erano ancora retratti”. Per i tecnici e per la legge il problema era stato provvisoriamente risolto. Provvisoriamente perché la Procura di Pavia ordinò negli anni Novanta una ennesima inchiesta e una perizia che sembrò avallare la tesi dell’attentato. Per il quale Mattei sembrava essere la vittima designata e perfetta.
Mattei faceva incetta di nemici con la stessa assidua efficacia con cui faceva incetta d’amici. Ogni sua iniziativa era, per qualcuno, una dichiarazione di guerra. Dava fastidio alla Cia, alla mafia, anche a qualcuno nell’Eni. Pareva che perfino i rapporti con il fedelissimo vice Eugenio Cefis, che prenderà il suo posto, non fossero del tutto sereni negli ultimi mesi. L’espansionismo forsennato di Mattei, quel suo incessante spendere, investire, foraggiare e attaccare inquietavano il più cauto Cefis. Due giorni prima della sciagura di Bescapé ilFinancial Times s’era chiesto: “Will signor Mattei have to go?”, il signor Mattei dovrà andarsene? Impossibile dire cosa Mattei, cosa l’Eni, e cosa l’Italia sarebbero diventati se il Morane Saulnier fosse felicemente atterrato a Linate, quella sera fatale. Si può tuttavia fondatamente supporre che le vicende del Palazzo sarebbero state, con un inquilino come lui, diverse.
Se volete approfondire il contesto storico-politico in cui trovò la morte Enrico Mattei potete farlo sfogliando le pagine del libro di Indro Montanelli Storia d’Italia – L’Italia del Novecento nella biblioteca dell’Antica Frontiera.