DDR, 1972. Personalità famose, VII emissione. Ritratto di Heinrich Schliemann. | Grecia, 1976. Heinrich Schliemann e i ritrovamenti nelle tombe dei re all'acropoli di Micene. 2 dr. ritratto di Schliemann, 4 dr. braccialetto d'oro, 5 dr. fermaglio raffigurante una dea, 7 dr. diadema d'oro, 11 dr. maschera d'oro di Agamennone. |
Il famoso imprenditore e archeologo tedesco morì a Napoli il 26 dicembre 1890 mentre aspettava l'autorizzazione per eseguire nuovi scavi nell'area di Pompei, dopo aver trascurato i postumi di un'operazione recente. Per la rilevanza delle scoperte da lui compiute nel XIX secolo Schliemann divenne una delle figure più importanti per il mondo dell'archeologia. Raggiunse la celebrità con la scoperta, dopo anni di ricerche e studi, della mitica città di Troia e del cosiddetto tesoro di Priamo.
Per ricordare la figura del grande archeologo sognatore abbiamo raccolto in questo articolo tutte le emissioni a lui dedicate. Di ogni francobollo è possibile leggere una breve descrizione sopra.
“Si potrebbe dire che il piccone e la pala per gli scavi di Troia e delle tombe regali di Micene furono già forgiati e affilati nel piccolo villaggio tedesco dove ho passato otto anni della mia prima giovinezza“. Così parlò Heinrich Schliemann, scopritore dei tesori di Troia e di Micene, nell’autobiografia del1881, alcuni anni dopo i suoi successi. Insomma, il piccolo Heinrich era già posseduto dal demone di Omero. Tanto che al padre avrebbe detto: ”’Papà, se mura simili sono esistite, non possono essere state distrutte del tutto, ma saranno certamente nascoste dalla polvere e dai detriti dei secoli’. Egli era di parere contrario, ma io restai fermo nella mia idea e alla fine concordammo che un giorno io avrei scavato Troia“. Tutto vero? Secondo pareri autorevoli, no.
FEDE ASSOLUTA. Per Schliemann l’Iliade era una cronaca di fatti storici, una mappa del tesoro da prendere come oro colato. Proprio il contrario di quel che si deve fare con i ricordi dell’archeologo. Heinrich racconterà che il sogno di ritrovare Troia nacque da fanciullo dopo aver letto una Storia universale per bambini nella quale c’era un’illustrazione di Enea che fugge dalla città in fiamme. Non fu così. «Il libro viene citato soltanto in una lettera del 1875 (quattro anni dopo l’inizio degli scavi in Turchia, ndr) e la firma che contiene è secondo tutti i grafologi quella di un adulto» spiega l’archeologo dell’Università di Napoli Louis Godart nel libro L’oro di Troia (Einaudi), scritto con Gianni Cervetti. «Il sospetto che il volume sia stato acquistato da Schliemann ormai maturo è grandissimo». Del resto, tutto il racconto della scoperta delle rovine troiane è in gran parte romanzato. E dalle lettere giovanili sappiamo che il vero sogno di Heinrich era un altro: diventare marinaio.
Viaggiare, in effetti, viaggiò, e molto. Poliglotta (aveva messo a punto un efficace “metodo Schliemann” per imparare le lingue), divenne apprendista, poi commerciante in proprio. A 28 anni si recò negli Usa (nel 1850 ottenne la cittadinanza statunitense) e infine approdò in Russia. Fu allora che l’uomo d’affari si trasformò in archeologo dilettante. «La sua passione per le lettere classiche e il mondo antico nacque a San Pietroburgo» sostiene Godart. «Certamente fu là che Schliemann guadagnò i milioni che gli servirono per finanziare le sue ricerche». La riscoperta dell’Oriente antico era la moda del momento. E le ultime scoperte (in Mesopotamia, per esempio) non portavano la firma di accademici, ma di avventurieri senza credenziali ma con molta intraprendenza. A Heinrich, di umili origini, arricchito in cerca di riscatto sociale, quello dovette sembrare un terreno di conquista in gran parte vergine.
IN CERCA DI TROIA. Va subito detto che l’idea che Troia si trovasse sulla collina di Hissarlik (che Schliemann si attribuirà) non era sua. Già gli antichi avevano identificato la regione (che chiamavano Troade) con il regno di Priamo. Nel ‘700 si ipotizzò che Ilio (altro nome di Troia) fosse nella vicina Bunarbashi. Su questo punto Godart e Cervetti, nel loro libro, rendono giustizia a un personaggio oggi del tutto sconosciuto: «Nel1822 l’archeologo Charles MacLaren riprese in esame il problema e in una tesi di dottorato all’Università di Edimburgo (Scozia) sostenne che la collina di Hissarlik era la sede dell’antica Troia, compresa quella omerica». Ci era arrivato confrontando la topografia della zona con le fonti antiche. Mancavano però prove archeologiche.
Nemmeno a Hissarlik Schliemann arrivò primo. Tra i fan dell’ipotesi di MacLaren c’era il viceconsole degli Stati Uniti d’America presso l’Impero ottomano, Frank Calvert. E nel 1865 (sei anni prima che Schliemann mettesse mano al piccone) era stato Calvert a scavare sulla collina, portando alla luce tratti di mura, resti di edifici e frammenti di colonne. Fu a lui che Schliemann chiese lumi su quel lavoro di cui sapeva poco o niente . Tra l’altro volle “l’elenco esatto di tutti gli attrezzi di ogni genere e di tutte le cose necessarie che crede debba portare con me“. Un dilettante, ma con il portafoglio gonfio: per Calvert, a corto di finanziamenti, l’ambizioso neofita era il benvenuto.
“SOLO SCHIFEZZE”. Nessun vero archeologo si esprimerebbe oggi come fece Schliemann in una lettera dopo i primi scavi a Hissarlik, nell’aprile del 1871: “Trovo solo schifezze“. Lui, infatti, cercava tesori che facessero scalpore. Oro preferibilmente. E per trovarli non si fece scrupoli. La legge turca (piuttosto vaga in materia) prevedeva che eventuali tesori emersi dal sottosuolo sarebbero rimasti ai proprietari del terreno (due turchi possedevano metà della collina, in parte acquistata da Calvert). Impaziente, Heinrich iniziò a scavare senza permesso. Venutolo a sapere, il governo turco gli impose la sorveglianza di un ispettore. Che divenne un problema il 31 maggio 1873.
Quel giorno Schliemann scoprì una serie di splendidi oggetti d’oro e d’argento. Li chiamò “tesoro di Priamo” perché, riferirà nel resoconto scritto ad Atene, l’aveva trovato “vicino al palazzo di Priamo“, ammonticchiato in fretta e furia (durante l’epico incendio di Troia, secondo lui), chiuso con una chiave trovata presso il tesoro stesso. “Forse qualche membro della famiglia reale ammucchiò frettolosamente il tesoro nella cassa e lo portò via con la chiave infilata nella serratura“.
Godart su questa ricostruzione è categorico: «È una pura e semplice montatura». Come emerge dal confronto con le testimonianze degli assistenti di Schliemann e da quello con le lettere dell’archeologo, la chiave fu infatti trovata a più di 150 metri dal tesoro. E il tesoro stesso non fu rinvenuto presso le mura, all’interno di un palazzo, bensì, come emerge dalle mappe, fuori dalla cittadella: probabilmente era il corredo di una tomba. «L’interesse di Schliemann era di far rinvenire all’interno dell’abitato qualcosa che potesse convincere il mondo intero che le costruzioni portate alla luce sulla collina di Hissarlik fossero in realtà i resti del palazzo di Priamo. La scoperta del tesoro gli diede l’occasione tanto attesa».
TOMBAROLO? Il primo pensiero di Schliemann fu nascondere il tesoro. L’ispettore ottomano fu tenuto all’oscuro (Schliemann racconterà di averlo ubriacato per nascondere i reperti, ma una lettera svela che era solo impegnato in un’altra area dello scavo) e i patti con il governo furono violati (eventuali ritrovamenti sarebbero dovuti restare in Turchia o essere rivenduti in loco). Schliemann, di fatto, era diventato un tombarolo: trasferì il tesoro in Grecia (a suo dire per proteggerlo dalla “cupidigia” degli operai) e lasciò in fretta la Turchia, pur avendo scavato solo due terzi della città. Nel 1875, accetterà di pagare al governo ottomano la somma di 50 mila franchi in oro, chiudendo il contenzioso e diventando legalmente proprietario del tesoro.
La sensazionale scoperta garantì all’ex uomo d’affari la fama. Ma privò forse i posteri di informazioni importanti. Gli scavi del tempo (e i suoi in particolare) consistevano in massicci sbancamenti: decine di operai rimuovevano mucchi di terra senza una catalogazione sistematica dei reperti (anche i più piccoli cocci possono fornire informazioni importanti). Schliemann, poi, per Godart «era del tutto incapace di ragionare in termini stratigrafici». Lo dimostrerà anche nella sua seconda grande impresa, a Micene.
CERCANDO GLI ATRIDI. I successi di Hissarlik (e l’impossibilità di rimettere piede in Turchia, dove lo attendeva il processo) spinsero Schliemann a indagare, Omero alla mano, all’altro capo della guerra narrata dall’Iliade, tra le colline del Peloponneso. A Micene trovò tombe regali e sepolture. Senza l’ombra di un dubbio, comunicò di aver trovato le tombe degli Atridi, la dinastia di Agamennone. Nemmeno quella volta, però, Schliemann avrebbe passato l’esame di archeologia. «Nel 1878, a Micene, trovò una spada in bronzo e, due mesi dopo, associò a questo ritrovamento un pomello in alabastro proveniente da un contesto stratigrafico differente» racconta Godart. Come mettere un manico di plastica a un parasole del ‘700.
Eppure l’importanza delle sue scoperte e il suo entusiasmo diedero i loro frutti: la cittadinanza onoraria di Berlino sancì il riscatto sociale di Schliemann e il cacciatore di miti si preparò a entrare a sua volta in una leggenda, quella dell’archeologia.
Quello che avete appena letto è l’interessante articolo di Aldo Carioli sulla vita di Heinrich Schliemann. Se volete approfondire potete farlo sfogliando le pagine 42-49 del n. 65 di Focus Storia nella biblioteca dell’Antica Frontiera.