Nel 1997 il piccolo paese ticinese ha allestito un interessante museo, ubicato nei locali della Torre Camuzzi, vicino alla pittoresca Casa Camuzzi nella quale Hermann Hesse visse, dal 1919 al 1931, in un appartamento che godeva di una magnifica vista sul lago di Lugano.
Le poste della Confederazione Elvetica hanno ricordato l'autore del celebre "Siddharta" nel 1979, con un francobollo bruno da 70 centesimi che lo ritrae in paglietta e con i suoi inconfondibili occhialini tondi.
Nell’ombra della casa, sulle rive soleggiate del fiume presso le barche, nell’ombra del bosco di Sal, all’ombra del fico crebbe Siddharta, il bel figlio del Brahmino, il giovane falco, insieme all’amico suo, Govinda, anch’egli figlio di Brahmino. Sulla riva del fiume, nei bagni, nelle sacre abluzioni, nei sacrifici votivi il sole bruniva le sue spalle lucenti. Ombre attraversavano i suoi occhi neri nel boschetto di mango, durante i giochi infantili, al canto di sua madre, durante i santi sacrifici, alle lezioni di suo padre, così dotto, durante le conversazioni dei saggi. Già da tempo Siddharta prendeva parte alle conversazioni dei saggi, si esercitava con Govinda nell’arte oratoria, nonché nello esercizio delle facoltà di osservazione e nella pratica della concentrazione interiore. Già egli sapeva come si pronuncia impercettibilmente 1’Om, la parola suprema, sapeva assorbirla in se stesso pronunciandola silenziosamente nell’atto di inspirare, sapeva emetterla silenziosamente nell’atto di espirare, con l’anima raccolta, la fronte raggiante dello splendore che emana da uno spirito luminoso. Già egli sapeva, nelle profondità del proprio essere, riconoscere l’Atman, indistruttibile, uno con la totalità del mondo. Il cuore del padre balzava di gioia per quel figlio così studioso, così avido di sapere; era un grande sapiente, un sommo sacerdote quello ch’egli vedeva svilupparsi in lui: un principe fra i Brahmini. La gioia gonfiava il petto di sua madre quand’ella lo guardava, quando lo vedeva camminare, quando lo vedeva sedere e alzarsi: Siddharta, così forte, così bello, che procedeva col suo passo snello, che la salutava con garbo così compìto. L’amore si agitava nel cuore delle giovani figlie dei Brahmini, quando Siddharta passava per le strade della città, con la sua fronte luminosa, con i suoi occhi regali, così slanciato e nobile nella persona. Ma più di tutti lo amava l’amico suo Govinda, il figlio del Brahmino. Amava gli occhi di Siddharta e la sua cara voce, amava il suo passo e il garbo perfetto dei movimenti, amava tutto ciò che Siddharta diceva e faceva, ma soprattutto ne amava lo spirito, i suoi alti, generosi pensieri, la sua volontà ardente, la vocazione sublime. Sapeva bene Govinda: questo non diventerà un Brahmino come ce n’è tanti, un pigro ministro di sacrifici, o un avido mercante d’incantesimi, un vano e vacuo retore, un prete astuto e cattivo, e non sarà nemmeno una buona, sciocca pecora nel gregge dei molti. No, e anch’egli, Govinda, non voleva diventare tale, un Brahmino come ce ne son migliaia. Voleva seguire Siddharta, il prediletto, il magnifico. E se un giorno Siddharta fosse diventato un dio, se fosse asceso un giorno nella gloria dei celesti, allora Govinda l’avrebbe seguìto, come suo amico, suo compagno, suo servo, suo scudiere, sua ombra. Così tutti amavano Siddharta. A tutti egli dava gioia, tutti ne traevano piacere.
Questo è l’incipit di Siddharta, il romanzo che Hermann Hesse pubblicò nel 1922. Considerato dallo stesso Hesse come un “poema indiano”, il romanzo presenta un registro molto originale che unisce lirica ed epica, ma anche narrazione e meditazione, elevazione e sensualità, e che lo rende tuttora affascinante. Se volete continuare a leggerlo potete trovarlo nella biblioteca dell’Antica Frontiera.