Nato a Senigallia il 13 maggio 1792, sacerdote dal 1819, grazie a una rapida carriera nella gerarchia ecclesiastica fu nominato arcivescovo di Spoleto (1831), vescovo di Imola (1832) e infine cardinale. Di idee illuminate, succeduto a Gregorio XVI inaugurò il pontificato con un'amnistia, concedendo poi la Guardia civica, la libertà di stampa e, nel marzo 1848, una costituzione. Dopo aver aderito in un primo tempo alla guerra d'indipendenza contro l'Austria in omaggio alle posizioni neoguelfe, con l'allocuzione del 29 aprile 1848 si ritirò dalla coalizione, guadagnandosi l'ostilità del movimento liberale. Costretto alla fuga in seguito all'assassinio di Pellegrino Rossi, suo primo ministro (novembre 1848) e all'instaurazione della Repubblica romana, tornò solo nell'aprile 1850, una volta restaurato l'ordine grazie all'intervento francese e austriaco. Nel 1859-1860 perse Romagna, Umbria e Marche, riuscendo a conservare il Lazio grazie a Napoleone III, che lo difese nel 1867 dal tentativo insurrezionale di Garibaldi. Caduto il Secondo impero, tuttavia, Roma fu annessa all'Italia (1870) e al papa fu assicurato, con la legge delle guarentigie, l'esercizio del solo potere spirituale. Ostile al liberalismo (che denunciò nel Sillabo), vietò ai cattolici italiani di partecipare alla vita politica e fece approvare dal concilio Vaticano I, da lui convocato, il dogma dell'infallibilità papale (1870). Morì a Roma il 7 febbraio 1878.
Per ricordare il 255° papa della Chiesa cattolica, il cui pontificato, durato 31 anni, 7 mesi e 23 giorni, rimane il più lungo della Storia dopo quello di san Pietro, abbiamo scelto il francobollo da 170 lire che le poste italiane gli dedicarono nel 1978, in occasione del centenario della sua morte.
Anche a noi che non ci crediamo, il Conclave del 1846 ispira il dubbio che a metterci lo zampino sia stato lo Spirito Santo. La sorpresa fu tale che provocò due svenimenti: quello del vincitore che si riteneva certo della propria sconfitta e quello dello sconfitto che si riteneva certo della propria vittoria. Per poco, malgrado il suo proverbiale sangue freddo, non svenne anche Metternich che, nell’apprendere la notizia, commentò: “Tutto mi sarei aspettato, fuorché un Papa liberale!”
Più che dalle sue professioni di fede, al cardinale Mastai-Ferretti la fama di liberale derivava dalle sue professioni di scetticismo e dalla stessa singolarità della sua carriera. Era nato cinquantaquattr’anni prima a Senigallia da una famiglia della piccola nobiltà provinciale che, a differenza di tutte le altre dello Stato pontificio, non aveva mai dato alla Chiesa né Santi né alti dignitari. A studiare, lo mandarono a Volterra nel collegio degli Scolopi. Ma al ritorno, l’unica vocazione di cui dette segno fu quella a fare il figlio di papà fra circolo e salotti. Bel ragazzo, azzimato, socievole e galante, passava la giornata a cavalcare, a tirare di scherma e soprattutto intorno al biliardo di cui era un autentico asso. Piaceva molto alle donne che gli piacevano moltissimo, ebbe delle avventure e più ancora forse gliene vennero attribuite. La famiglia lasciava fare. Ma quando il contino cadde nelle reti di un’attricetta di lungo e poco glorioso corso e minacciò di restarci impastoiato, lo spedì in gran fretta a Roma da uno zio canonico perché lo disintossicasse e gli cercasse un posto.
Alcuni biografi dicono che lo trovò nella Guardia Nobile, la milizia personale del Papa. E’ falso. Il giovane lo chiese, ma non lo ebbe perché fu bocciato alla visita medica. Nonostante il florido aspetto e le gote paffute, da putto, soffriva di un male congenito: l’epilessia. Era una forma leggera, ma che condizionava il suo carattere rendendolo instabile, emotivo, facile così all’entusiasmo come alla depressione. Fu per questo che in una città dove le uniche occasioni d’impiego erano quelle che offriva la Chiesa, dovette decidersi a prendere i voti, sebbene anche questi gli venissero concessi con una certa difficoltà per via della malattia.
Scelse di fare il predicatore perchè alla cura d’anime non si sentiva portato, ed ebbe subito successo, sebbene non possedesse né la fibra severa, né il rigore, né la cultura del quaresimalista, o forse proprio per questo. Sul podio ci stava come un consumato attore sul palcoscenico, e soprattutto le donne erano sensibili al suo discorso piano e facile, ricco di grazia salottiera e talvolta anche di arguzia. Lo mandarono a darne dei saggi anche nella natia Senigallia, dove fu costretto a parlare addirittura in piazza, tale fu il concorso di pubblico, di cui le male lingue dicevano che una buona metà era formata dalle sue ex-amanti. Si disse anche che alcune di queste cercarono di farlo ricadere in tentazione, ma inutilmente.
Se volete approfondire la vita di Pio IX potete farlo sfogliando il libro di Indro Montanelli L’Italia del Risorgimento prelevandolo dalla biblioteca dell’Antica Frontiera.