Politico italiano, socialista, condannato dal Tribunale speciale fascista e più volte incarcerato, fu esule in Francia. Rientrato in Italia nel 1943, ricoprì incarichi di vertice nella Resistenza. Deputato del Psi fin dalla Costituente, Presidente della Camera (1968-1976), fu poi Presidente della Repubblica (1978-1985). Conferì per la prima volta l'incarico di formare il governo a esponenti di partiti diversi dalla Dc e caratterizzò il suo mandato per la ferma difesa della democrazia e per la fiducia che seppe suscitare nei cittadini.
Per ricordare il presidente più amato dai suoi connazionali abbiamo scelto il francobollo da 750 lire che le Poste italiane gli dedicarono nel 1996, in occasione del centenario della sua nascita. La vignetta mostra un ritratto sorridente dell'esponente politico con la sua immancabile pipa.
Laureato in giurisprudenza e scienze politiche, Sandro Pertini (1896-1990) aderì al Partito socialista nel 1918, dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale. Attivo nella lotta antifascista, nel 1925 fu condannato a un anno di reclusione e nel dicembre 1926 espatriò clandestinamente con Turati in Corsica.
Nei pressi di Nizza fu arrestato e processato per aver installato un radiotrasmettitore per diffondere la propaganda antifascista in Italia. Rimpatriato clandestinamente nel dicembre 1928, nell’aprile 1929 fu nuovamente arrestato e condannato a 11 anni di reclusione e a 3 di domicilio coatto, scontando parte della pena in carcere e parte al confino a Ponza e a Ventotene.
Ritornato in libertà nell’agosto 1943, entrò a far parte dell’esecutivo del ricostituito Partito socialista e, come membro della giunta militare antifascista, partecipò alla difesa di Roma. Catturato dai nazisti nell’ottobre 1943, riuscì a evadere nel gennaio 1944 dal carcere di Regina Coeli, insieme con Saragat.
Segretario del Partito socialista per l’Italia occupata, partecipò successivamente alla liberazione di Firenze e fece parte del CLNAI e del comitato insurrezionale di Milano.
Assertore della necessità di una radicale trasformazione delle basi economiche e delle strutture socio-politiche dello Stato, denunciò il processo di involuzione iniziato con la caduta del governo Parri e – come deputato al parlamento dal 1946 e direttore dell'”Avanti!”, oltre che del “Lavoro Nuovo” di Genova dal 1947 al 1968 – continuò a battersi per la difesa degli ideali della Resistenza (nel 1953 fu insignito della medaglia d’oro).
Nel PSI mantenne una posizione autonoma sia nei confronti della linea “frontista” del dopoguerra sia di quella “autonomista” del periodo successivo, richiamandosi ripetutamente alla collaborazione delle sinistre e all’unità del partito, contro il frazionismo delle correnti.
Presidente della camera dei deputati dal 1968 al 1976, nella competizione apertasi dopo le dimissioni di Leone da presidente della repubblica si impose sui candidati ufficiali del suo stesso partito, risultando eletto al sedicesimo scrutinio (8 luglio 1978) con il voto favorevole dei rappresentanti di tutti i partiti, fatta eccezione dell’estrema destra e di pochi dissidenti (832 voti a favore su 995). Fin dal suo discorso di insediamento si proclamò presidente dell’unità nazionale. Richiamandosi continuamente alla costituzione e al nesso inscindibile tra giustizia e libertà, ricordò i “patrioti” con cui aveva condiviso “le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza”.
Per l’Italia intravedeva una funzione di pace: “si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai”.
In un momento di grave crisi per il Paese seppe divenire un punto fermo di riferimento per la difesa delle istituzioni democratiche. Dimostrò inoltre di non volersi limitare alla ratifica delle decisioni prese in altra sede, ma di volersi impegnare come protagonista attivo della vita politica, assumendo iniziative dettate da un’interpretazione particolarmente dinamica dei compiti spettanti al capo dello Stato. Ne conseguì una più diretta assunzione di responsabilità politiche, soprattutto nella soluzione delle crisi di governo che precedettero e seguirono le elezioni del giugno 1979, quando Pertini affidò l’incarico di formare il governo prima a La Malfa e poi a Craxi, rispettivamente primo laico dal 1945 e primo socialista a essere investito di tale responsabilità. Pur rimasti senza esito, quei tentativi costituirono un precedente che aprì la strada alla prima presidenza laica (Spadolini, giugno 1981) e alla prima socialista (Craxi, agosto 1983). Reso popolare da interventi come la protesta per l’inefficienza degli aiuti in occasione del terremoto in Irpinia nel 1980 nonché dal tratto schietto e diretto nel rapporto con i cittadini, si dimise il 29 giugno 1985, poco prima della scadenza ufficiale del mandato.
Se volete approfondire la vita di Sandro Pertini e gli anni del suo mandato presidenziale potete farlo sfogliando il 23° volume de La Storia d’Italia – Dagli anni di piombo agli anni Ottanta nella biblioteca dell’Antica Frontiera.