Cortile degli USA. Che cosa fu, dunque, la revoluciòn? E perché diventò una rivoluzione comunista? Per rispondere occorre fare un lungo passo indietro, fino al 1951, quando a Mosca regnava ancora Stalin, in Asia divampava la guerra di Corea e in Italia nasceva il Festival di Sanremo. All’epoca Cuba era di fatto una colonia degli Stati Uniti, una miniera a buon mercato di zucchero e nichel; ma anche un “cortile di casa” riservato a servizi sgraditi in salotto: un po’ casinò, un po’ bordello, un po’ vivaio di gangster. “Il miglior posto per ubriacarsi” la definì l’attore americano Errol Flynn.
Allora Fidel Castro aveva 26 anni ed era un avvocato fresco di laurea. Ma soprattutto era un militante del Partido ortodoxo, formazione radicaleggiante ma anticomunista, fondata da Eddy Chibàs, un Antonio Di Pietro alla cubana, che conduceva accese quanto inefficaci campagne contro la corruzione dilagante. Il 5 agosto Chibàs prese parte a una trasmissione radio e lanciò un accorato appello che finiva così: “Popolo di Cuba, svegliati! E’ l’ultima volta che busso alla tua porta!“. Quindi si uccise in diretta con un colpo di pistola. Il gesto disperato di Chibàs provocò un’enorme impressione e il suo partito si presentò in pole position alle elezioni presidenziali del 1952. Ma alla vigilia del voto, il 10 marzo, un golpe portò al potere il futuro grande nemico di Fidel: Fulgencio Batista, appassionato di canasta e di film dell’orrore, che sciolse i partiti, sospese il parlamento e chiuse l’università. Una settimana dopo, il governo golpista fu riconosciuto dagli Stati Uniti. L’Urss invece ruppe ogni rapporto diplomatico con L’Avana.
Assalto. Fu allora che Castro e altri radicali scelsero la via delle armi. E all’alba del 26 luglio 1953 (da cui il nome del futuro Movimiento) scesero in campo con un atto di guerra: l’assalto a due caserme, fra cui il Cuartel Moncada di Santiago, dove circa mille soldati sbronzi smaltivano gli effetti del “carnevale” locale, festeggiato la notte prima. L’episodio, poi mitizzato come prologo della revoluciòn, in realtà fu un disastro: alcuni ribelli sbagliarono strada, altri spararono troppo presto, allertando le sentinelle; l’auto di Fidel finì su un marciapiedi e un’altra forò prima di arrivare sull’obiettivo. Quel cruento scherzo di carnevale costò ai soldati del presidio 19 morti. Sull’altro fronte, su 157 ribelli, 9 caddero in battaglia, 68 furono trucidati dopo la resa, 48 tornarono a casa in autobus alla spicciolata o si mimetizzarono in un ospedale fingendosi malati, e altri 32 furono arrestati e processati. Nell’ultimo gruppo c’era anche Fidel, condannato a 15 anni. “Non importa, la Storia mi assolverà!” commentò lui. Ma allora, non l’assolsero neppure i comunisti cubani, che bollarono gli aventuristas di Santiago con parole durissime.
A conti fatti, però, di anni Castro ne scontò meno di tre, perché nell’aprile del 1955 il governo, in cerca di consensi, firmò un’amnistia per tutti i prigionieri politici. Secondo Hugh Thomas fu il più grande errore di valutazione compiuto da Batista. Infatti Fidel partì con Raùl per il Messico, in esilio volontario. E là riprese a congiurare, contattando altri fuoriusciti cubani. Una di loro, Teresa Casuso, scrittrice di teatro, lo ricorderà così: “Dava l’impressione di essere nobile, sicuro, deciso, come un grande terranova“.
Se volete approfondire le tappe della Rivoluzione Cubana potete farlo sfogliando le pagine 33-77 del n. 29 di Focus Storia nella biblioteca dell’Antica Frontiera.