L'URSS ha dedicato ben 7 emissioni alla liberazione della città che seppe resistere per più di due anni al terribile isolamento provocato dall'invasione nazista.
Il primo francobollo è addirittura del periodo bellico e venne emesso poche settimane dopo la liberazione della città. Si tratta di un esemplare blu scuro da 30 kopechi che raffigura una medaglia e i cannoni di una nave mentre fanno fuoco.
Lo stesso francobollo venne utilizzato per la seconda emissione: alla fine del 1944 fu infatti emesso un foglietto dove l'esemplare, privo di dentellatura, compare ripetuto 4 volte.
Nel gennaio del 1948 le poste sovietiche distribuirono una serie di quattro valori dedicata al 4° anniversario dello sfondamento dell'assedio di Leningrado e raffiguranti altrettante vedute della citta: il Palazzo d'Inverno (30 kopechi violetto), la statua equestre dello Zar Pietro I (50 kopechi verde), la fortezza Pietro e Paolo (60 kopechi seppia) e l'istituto Smolny (1 rublo viola scuro).
Nel 1963 uno dei tre francobolli da 4 kopechi della quinta serie dedicata alla "grande guerra patriottica 1941-1945" mostra un'operaia che lavora in una fabbrica di munizioni e la medaglia commemorativa.
L'anno seguente, in occasione del 20° anniversario della liberazione dall'assedio, l'URSS emise un francobollo da 4 kopechi raffigurante il monumento di Lenin davanti al profilo della città e un grande sole nascente, il drappo di una bandiera rossa con un'iscrizione celebrativa e i nastri dell'ordine.
Uno dei sette esemplari da 10 kopechi con i quali nel 1965 le poste di Mosca resero omaggio alle città eroiche della Seconda Guerra Mondiale è naturalmente dedicato a Leningrado. La vignetta raffigura la medaglia commemorativa al centro e ai lati la città durante la guerra e nel dopoguerra.
L'ultima emissione, del 1973, è un francobollo da 4 kopechi che raffigura sullo sfondo lo schema operativo dello sfondamento dell'assedio e in primo piano l'edificio dell'Ammiragliato. Un nastro compone il numero 30, ovvero gli anni trascorsi dalla liberazione della città.
Dice un vecchio proverbio finlandese: “Beato colui che non è costretto a rimangiarsi le parole dette avantieri”. I tedeschi che si trovavano in Finlandia nell’estate 1941 se lo sentirono ripetere spesso. Con “avantieri” i finlandesi intendevano l’atteggiamento della Germania durante la guerra russo-finnica, e le ambigue dichiarazioni degli esponenti politici e diplomatici tedeschi a proposito dell’aggressione russa. Hitler aveva in quella occasione assunto dopo tutto un atteggiamento di benevola neutralità nei confronti dei sovietici. Il 22 giugno 1941, invece, il proclama di Hitler diffuso da tutti gli altoparlanti, riportato da tutti i giornali a caratteri di scatola, e letto alla truppa riunita su tutto il fronte, dal mar Glaciale Artico al mar Nero, diceva: “Soldati tedeschi combattono come alleati a fianco delle divisioni finniche e proteggono la Finlandia”.
Quando, sulla fine dell’estate 1941, l’autore di queste note andò a trovare il maresciallo Mannerheim nel suo quartier generale segreto, sistemato in una romantica cittadina in mezzo ai boschi, San Michele, il maresciallo espresse la sua disapprovazione per questo passo del proclama del Führer, e disse: “Il signor cancelliere del Reich, esprimendosi così, non ha tenuto interamente conto della realtà alla luce del diritto internazionale, a prescindere dal fatto che ne ha anticipato lo sviluppo”. Mannerheim si richiamava al fatto che il ministero degli Esteri tedesco aveva dichiarato apertamente, non più tardi del 24 giugno, durante una conferenza stampa, che la Finlandia non era ancora in guerra con la Russia sotto il punto di vista del diritto internazionale. Subito dopo, Mannerheim si preoccupò di smussare l’effetto delle sue parole, e soggiunse: “Naturalmente, questa circostanza non ha esercitato alcun peso sullo sviluppo della situazione. Io sono certo che Stalin ci avrebbe attaccato comunque, per proteggere il suo fianco nord-occidentale, Leningrado e il mar Baltico, anche se noi fossimo stati fermamente decisi a rimanere neutrali”. Poi, dopo una breve riflessione, concluse: “Soltanto un passaggio con armi e bagagli nel campo sovietico avrebbe potuto salvarci da un attacco, il che sarebbe equivalso a una disfatta per noi”.
A conferma di questo, Mannerheim citò una dichiarazione di Stalin che il dittatore aveva fatto all’ambasciatore di Finlandia a Mosca poco dopo la fine della guerra d’inverno: “Vi credo perfettamente quando mi dite che vorreste rimanere neutrali”, aveva detto Stalin, “ma chi si trova in una posizione come la vostra non può restare neutrale. Gli interessi delle grandi potenze non ve lo permettono”. E ancora qualcosa di interessante mi disse il maresciallo Mannerheim: “Personalmente mi ero reso conto si dal gennaio [1941] che il governo sovietico intravedeva la possibilità di una rottura aperta con la Germania, che aveva preso in considerazione lo scoppio di un conflitto armato, e che tentava soltanto di guadagnare tempo, di procrastinare lo scoppio delle ostilità”. Disse tutto questo con la massima serietà, senza dare segno di emozione, quasi rassegnato: aveva l’aria di un gran signore che accetta l’inevitabile con calma e che è deciso a trarre tutte le conseguenze da questo suo atteggiamento, cioè a battersi fino in fondo.
Mannerheim non perse occasione per mettere in rilievo che la Finlandia non era un’alleata della Germania, bensì, come diceva lui, “una compagna di strada nella guerra combattuta dalla Finlandia in funzione di difesa attiva”. Lo disse ai vari incaricati del ministero degli Esteri e della Wehrmacht, e soprattutto a quell’uomo intelligente che era l’ambasciatore tedesco in Finlandia, von Blücher.
“Noi non vogliamo conquistare nulla”, continuava a ripetere, “nemmeno Leningrado!” Non vi erano dubbi: il cuore di questo aristocratico che parlava il russo meglio del finlandese, che si era formato nella scuola dei cadetti del granducato di Finlandia, alla corte dello zar come paggio, e come ufficiale della guardia imperiale a Pietroburgo, non era con i tedeschi. Combatté a fianco di Hitler contro il nemico comune perché considerazioni di opportunità politica glielo consigliavano.
Mannerheim amava raccontare con un malizioso sorriso una barzelletta che ebbe molta fortuna a Helsinki prima dello scoppio della guerra. Quando il consigliere dell’ambasciata inglese, invitato nell’autunno 1940 a un tè da una delle signore finlandesi più altolocate, manifestò la sua disapprovazione per il fatto che la Finlandia aveva concesso il permesso di transito alle truppe tedesche dirette nella Norvegia settentrionale, l’aristocratica dama gli spiegò come stava la faccenda: “Siamo in una brutta situazione. I russi ci hanno costretto con un ricatto a concedere il permesso di transito alle loro truppe dirette alla base russa di Hangö. Come potremmo negare il transito ai tedeschi che vogliono raggiungere la loro base nella Norvegia settentrionale?” “Sì, sì”, ammise l’inglese, “lei ha ragione. Il guaio è che i finlandesi accolgono i tedeschi a braccia aperte.” La vecchia signora scoppiò a ridere, e rispose: “Be’, lo faccio anch’io. Più tedeschi vengono da noi, e più tranquilla mi sento la sera, a letto”. Ed era effettivamente così. I finlandesi temevano, e questo era comprensibile, la vendetta di Mosca a causa della guerra, vinta da Stalin soltanto a metà. E si sentirono enormemente sollevati quando appresero che Hitler aveva fermato i russi con un reciso “No” nel novembre 1940, quando Molotov gli aveva chiesto a Berlino il consenso per un ulteriore intervento sovietico in Finlandia. Il ministro degli Esteri finlandese Witting descrisse nel corso di una colazione privata la gioia provata dai finlandesi in quell’occasione: “Quando l’ambasciatore von Blücher mi diede con estrema cautela la notizia sull’esito della visita di Molotov a Berlino, e io mi resi conto che Adolf Hitler aveva capovolto il suo precedente atteggiamento decidendo di opporsi fermamente alle intenzioni russe, ci sentimmo tutti sparire un peso dal cuore”.
E’ necessario conoscere questo fatto e queste circostanze per comprendere l’atteggiamento e le successive decisioni della nostra “compagna di strada” militare nel nord. I finlandesi sono uomini valorosi, simpatici e pieni di esimie virtù, ma soprattutto esemplari patrioti. Basta pensare al leggendario generale Pajari, che durante la guerra d’inverno si guadagnò la croce di cavaliere al valore finlandese per il fatto di aver respinto da solo, con un vecchio cannone anticarro sovietico di preda bellica, un attacco di carri armati russi. L’otturatore e il congegno di puntamento del pezzo erano guasti. Pajari puntò il pezzo mirando di volta in volta attraverso l’anima della bocca da fuoco, e fece partire i colpi picchiando con un’accetta sul percussore. In questa maniera colpì e distrusse tre dei quattro carri armati sovietici che lo stavano attaccando.
Finlandesi come questi furono il segreto della quasi incomprensibile resistenza durante la guerra d’inverno. Poi avevano dovuto cedere di fronte alla strapotenza delle forze russe, e accettare un oneroso trattato di pace comportante dolorose perdite di territorio e di città. Nessuna delle grandi potenze occidentali era venuta in loro aiuto, persino i confratelli svedesi li avevano piantati in asso. E’ più che comprensibile, quindi, che i finlandesi intravedessero il 22 giugno la possibilità di strappare ai russi, con la potente protezione della Wehrmacht tedesca, i territori perduti, soprattutto la veneranda città di Viipuri, e di ristabilire il vecchio confine russo-finnico. Il comando supremo tedesco, naturalmente, si aspettava ben altro da Mannerheim.
Quando il gruppo armate Nord agli ordini del feldmaresciallo von Leeb, schierato tra Suvalki e Memel, si mosse, l’obiettivo ultimo era uno solo: Leningrado.
Nelle direttive di schieramento della “operazione Barbarossa” era scritto che forti aliquote di truppe celeri dovevano effettuare una conversione a nord dopo la distruzione delle forze nemiche nella Russia Bianca a opera del gruppo di armate Centro, per eliminare, in unione al gruppo armate Nord, le forze nemiche dislocate nei territori baltici, e occupare Leningrado dopo aver assolto questo compito. Solamente dopo la conquista di Leningrado doveva scatenarsi l’attacco contro Mosca. E’ importante non perdere di vista l’ordine cronologico di queste operazioni, stabilito da precise direttive, perché proprio la non-osservanza di esso fu una delle cause della catastrofe tedesca alle porte di Mosca.
Leningrado era la perla della Russia europea. Dice Pushkin in una delle sue poesie: “Novgorod il padre, Kiev la madre, Mosca il cuore, e Pietroburgo la testa dell’impero russo”. La città sulla Neva, già Pietroburgo (poi Pietrogrado), ora Leningrado, non era più la testa, ma pur sempre la coscienza dell’impero rosso. Essa portava il nome del padre della Rivoluzione che qui ebbe il suo inizio. Nelle fabbriche di munizioni, nei cantieri navali, nelle officine dove venivano laminate le lastre d’acciaio delle corazzate, nei calzaturifici e negli stabilimenti tessili, sulle navi mercantili e da guerra era nata la guardia socialrivoluzionaria dei bolscevichi. Alla testa di queste formazioni, Lenin aveva iniziato la battaglia.
Se si considera, poi, l’importanza strategica di Leningrado nella sua funzione di fortezza del golfo di Finlandia, di base principale della flotta rossa del Baltico, si comprende perché la città fosse per i tedeschi un obiettivo militare, economico e politico di primissimo piano. La sua conquista sarebbe stata indubbiamente un formidabile successo all’attivo di Hitler, la sua perdita una terribile smacco, una vera calamità per il regime bolscevico.
Se volete potete continuare a leggere il libro di Paul Carell Operazione Barbarossa prelevandolo dalla biblioteca dell’Antica Frontiera.