Avvenuto durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina, è stato il più lungo assedio nella storia bellica moderna, protrattosi dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996. In questo lunghissimo periodo si contrapposero le forze del governo bosniaco, che aveva dichiarato l'indipendenza dalla Jugoslavia, contro l'Armata Popolare Jugoslava (JNA) e le forze serbo-bosniache (VRS), che miravano a distruggere il neo-indipendente stato della Bosnia ed Erzegovina e a creare la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. Durante l'assedio si ritiene che le vittime siano state più di 12.000, i feriti oltre 50.000, l'85% dei quali tra i civili, con una media di circa 329 bombardamenti al giorno e con un massimo di 3.777 bombe sganciate il 22 luglio 1993. Il 1º giugno 1993 15 persone rimasero uccise e 80 ferite durante una partita di calcio. Il 12 giugno dello stesso anno 12 persone furono uccise mentre facevano la fila per l'acqua. La più grande di queste stragi fu un attacco al mercato della città - passato alla storia come il massacro di Markale - avvenuto il 5 febbraio 1994, in cui morirono 68 civili e 200 furono feriti. A causa dell'elevato numero di morti e della migrazione forzata, nel 1995 la popolazione si ridusse a 334.664 unità, il 64% della popolazione pre-bellica.
Per ricordare il terribile assedio che Sarajevo subì per 4 anni abbiamo scelto il francobollo che le poste di Bosnia-Erzegovina emisero nel 1998 in occasione del quinto anniversario del cosiddetto "tunnel della vita". Il tunnel, alto e largo 1,5 metri, si estendeva per circa 800 metri di lunghezza. Scavato nei primi sei mesi del 1993 con lo scopo di collegare la città di Sarajevo, che era stata interamente isolata dalle forze serbe, con l'area neutrale dell'aeroporto istituita dall'ONU, il passaggio sotterraneo permise alle riserve alimentari e agli aiuti umanitari di raggiungere la città, e alla popolazione di fuggire. Il tunnel fu una delle principali vie per oltrepassare l'embargo internazionale di armi e per fornire ai combattenti nella città le armi necessarie. La gente di Sarajevo lo considera un vero e proprio monumento allo spirito umano e sono in tanti a ritenere che sia stato proprio il tunnel a salvare la loro città.
Il dispaccio dell’agenzia di stampa italiana ANSA della sera del 5 aprile 1992 recita: “Sarajevo si trova questa sera in balia di drammatici disordini e il comandante in capo dei caschi blu [dell’ONU] nell’area iugoslava, generale Satish Nambiar, ha riunito i maggiori dirigenti bosniaci. Con lui, a quanto viene riferito, si trovano il presidente Alija Izetbegovi’, il leader serbo Radovan Karadzic e quello croato Milenko Brkic. Secondo un annuncio fatto dalla Tanjug di Belgrado, si è invece dimesso – dopo che uomini mascherati avevano aperto il fuoco contro una manifestazione di pacifisti – il premier bosniaco Jure Pelivan, croato. Diversi pacifisti sono rimasti feriti e uno di essi, una ragazza di 13 anni, è poi morta in ospedale”.
Quello stesso 5 aprile una bambina di Sarajevo, Zlata Filipovic scrive nel suo diario: “[…] in città sta succedendo qualcosa. Dalle colline si sentono degli spari, e da Dobrinja stanno uscendo colonne di gente. Stanno cercando di fermare qualcosa, ma neanche loro sanno cosa. C’è solo la sensazione che stia per succedere qualcosa di molto brutto. Alla tv si vede la gente radunata davanti al parlamento della Bosnia-Erzegovina. La radio continua a trasmettere la stessa canzone: Sarajevo, amore mio” (Diario di Zlata. Una bambina racconta Sarajevo, Milano 1993).
Se volete approfondire potete farlo sfogliando le pagine del 15° volume de La Storia – Il mondo oggi nella biblioteca dell’Antica Frontiera.