Il 5 ottobre 1795 l’insurrezione realista del 13 vendemmiaio, a Parigi, venne repressa dalla truppa comandata dal giovane Napoleone Bonaparte nominato nello stesso giorno, all’improvviso, comandante della piazza, con l’incarico di salvare la Convenzione Nazionale dalla minaccia dei monarchici.
Dato che non ci sono francobolli dedicati a questo episodio della seconda parte della Rivoluzione Francese abbiamo scelto un esemplare che il Dahomey emise nel 1969, in occasione del bicentenario della nascita di Bonaparte.
Il francobollo da 30 franchi mostra il giovane generale nel famoso ritratto rimasto incompiuto del pittore Jacques-Louis David. Il quadro ad olio, che avrebbe dovuto rappresentare il futuro imperatore dei francesi alla battaglia di Rivoli, fu dipinto nel 1798 ed è di soli tre anni posteriore ai fatti del 13 Vendemmiaio.
Il 27 agosto 1795 viene votata la nuova Costituzione dell’anno III. Il potere è affidato a un Direttorio di cinque membri. Ma la Convenzione intende salvare i suoi privilegi. E stabilisce che per le due nuove assemblee – il Consiglio dei Cinquecento e il Consiglio degli Anziani – i due terzi dei membri vengano presi dai deputati della Convenzione.
I realisti manifestano contro “il decreto dei due terzi”. Non vogliono vedere i regicidi nelle nuove assemblee. In realtà il partito realista e quello degli stranieri contano su una legislatura interamente nuova per attuare la controrivoluzione. Il momento è delicato: su 48 sezioni (ciascuna dispone di un battaglione di mille baionette) che compongono la Guardia Nazionale, solo cinque sostengono la Repubblica; 43 si alleano fra loro, con l’occhio al vecchio regime, e si presentano come assemblee armate e deliberanti.
Il 25 settembre, nonostante i contrasti e le astensioni di ben quattro quinti degli iscritti al voto, si vara il nuovo sistema. Ma a Parigi si dice subito che le cifre sono state falsificate. Il 24 un’assemblea ostile di elettori si è già riunita all’Odeon. Il 2 ottobre 1795 (10 vendemmiaio) quest’assemblea illegale, anzi insurrezionale, viene sciolta con la forza. La Convenzione richiama a Parigi il generale Alexandre Dumas, padre del romanziere e comandante in capo dell’Armata delle Alpi, per farsi difendere. Ma Dumas è in viaggio e non è in grado di arrivare in tempo.
I manifestanti realisti, i cui colletti hanno i colori del conte d’Artois, gridano per le strade: “Abbasso i due terzi!”. La Convenzione si sente in pericolo e affida al propria difesa al generale barone Menou, uomo dell’Ancien Régime.
Il mattino del 12 vendemmiaio Napoleone vede subito che il clima è brutto. Le sezioni, vedendo avvicinarsi il momento dello scontro, hanno fatto arrivare da Rouen il generale Auguste Danican. La sezione realista Lepelletier di Filles-Saint-Thomas è in armi e dà il segnale della rivolta legittimista e realista di Parigi. La Convenzione ordina la chiusura del convento e il disarmo della sezione.
Menou porta avanti fanteria e artiglieria e penetra – ma senza convinzione – nella cintura dell’ex convento di Filles-Saint-Thomas. Debole di carattere, Menou parlamenta, tratta molto e combina poco. Ha occupato rue Vivienne con una forza imponente di fanteria, cavalleria e artiglieria. Ma davanti a lui ci sono le guardie nazionali della sezione schierate a battaglia e le case occupate dai sezionisti. Il comitato della sezione rifiuta di sottomettersi.
E’ una notte sinistra, quella del 12 vendemmiaio. Cade una pioggia battente, tira un forte vento da ovest. I manifestanti insistono. I tamburi delle sezioni ribellatesi rullano senza tregua.
Menou ha un soprassalto d’energia e ordina al futuro generale Thiébault di prendere un centinaio di cavalieri e di spazzare la strada della Grange-Batelière fino a Montmartre. Thiébault esegue. Ma è soltanto un palliativo.
I Convenzionali spaventati destituiscono Menou e nominano generale in capo dell’Armata dell’Interno Paul-François-Jean-Nicolas Barras, quarant’anni, discendente di un’antica famiglia provenzale, l’uomo che il 9 termidoro ha catturato Robespierre all’Hôtel de Ville.
Barras accetta l’incarico, ma ha bisogno di un artigliere. “Buonaparte!”, grida Turreau. Fréron, che è innamorato di Paolina, applaude, e Barras, che ha visto Napoleone all’opera all’assedio di Tolone, accetta.
Ma non lo trovano. Si sospetta che sia passato ai realisti. Non può essere! Infatti ha appena scritto al fratello: “Gli aristocratici vorrebbero innalzare il vessillo della controrivoluzione; ma i veri patrioti, la Convenzione in massa, gli eserciti, sono là per difendere la patria e la libertà”.
Curiosamente, Napoleone è al Théâtre Feydeau a vedere Le bon fils. Lo chiamano d’urgenza. Menou intanto è stato arrestato. Alla Convenzione tutti gridano che bisogna affidare il comando a Buonaparte, di cui molti hanno seguito con ammirazione l’abile azione nel Midi. Napoleone non visto, celato nella tribuna del pubblico, sente gli elogi che tutti rivolgono alla sua bravura. Ha l’impressione che il destino stia per prenderlo per mano. E corre al Comitato di Salute pubblica, dove è attesissimo.
Dice però subito che non accetterà il comando se dovrà marciare sotto gli ordini dei commissari. La soluzione è subito trovata, perché il pericolo urge: gli uomini della Convenzione affidano il comando in capo a Barras e quello in seconda a Napoleone.
Questi corre al Carrousel, quartier generale di Barras. Il tribuno non capisce niente di guerra, ma è celebre perché ha fatto il Termidoro. Egli riunisce ora nella sua persona i poteri dei commissari (tre) e quello del comandante in capo. Ma conoscendo dal tempo di Tolone il valore di Napoleone, gli delega tutta l’autorità militare. Ha l’intelligenza di farlo: è un uomo astuto e dominatore. A Napoleone dice che, se vincerà, avrà un avanzamento sicuro e la carriera facile; ma se perderà sarà morte certa, perché gli insorti non risparmieranno i nemici che hanno cercato di ostacolarli.
Napoleone vuole parlare con il vinto Menou, imbarazzato e distrutto.
“Quanti soldati avete?”
“Cinquemila.”
“E’ pochissimo. E quanta artiglieria?”
“Ci sono quaranta pezzi, ma non qui.”
“Dove sono?”
“Alla piana dei Sablons.”
Buonaparte chiama un ufficiale di cavalleria. Si presenta un giovane bellissimo. Il suo nome è Gioacchino Murat, capo squadrone. Napoleone ordina: “Prendete duecento cavalli, andate immediatamente alla piana dei Sablons, portate qui i quaranta pezzi. Li voglio. Sciabolate, se è necessario, ma portatemi qui quei cannoni. Voi me ne rispondete! Partite!”.
La decisione con cui il piccolo uomo dai capelli che ricadono sulle spalle dà gli ordini conquista gli uomini.
Suona la mezzanotte. Un momento più tardi quei cannoni sarebbero stati prelevati dagli uomini della sezione Lepelletier. Vedendosi piombare addosso i cavalli di Murat, i realisti non osano contrattaccare.
Le sei del mattino. E’ il 13 vendemmiaio dell’anno IV, o, all’antica, il 5 ottobre 1795. Una fine pioggerella cancella il paesaggio. Soffia un forte vento. Sono di fronte trenta o forse quarantamila ribelli realisti e i cinquemila soldati e 1500 gendarmi di Napoleone, che al momento dello scontro salgono a 8500. Un parlamentare delle sezioni ha intimato alla Convenzione di sgomberare rue Vivienne.
Alle nove l’artiglieria di Napoleone è sistemata all’imbocco del pont Louis-XVI, del pont Royal, di rue Saint-Honoré, del pont Tournant e di tutte le porte delle Tuileries. Ci sono anche i “patrioti del 1789″, tre battaglioni fedeli alla Convenzione al comando del generale Berruyer. Il presidente Legendre dice: “Riceviamo la morte con l’audacia che appartiene agli amici della libertà”. Tremando, i deputati armano i fucili.
Gli insorti occupano in forze Saint-Roch, il Théâtre-Français e le alture della Butte des Moulins. Molte loro colonne hanno preso posizione sul pont Neuf. Cartaux, il comandante di Napoleone a Tolone, comanda quattrocento uomini e quattro cannoni. Le sezioni occupano anche il Jardin de l’Infante al Louvre. Una forte colonna, a passo di carica, tenta di travolgere il pont Royal.
Napoleone ha collocato due pezzi da 8 nella rue Saint-Roch, di fronte alla chiesa omonima. I cannoni sono disposti in modo da battere d’infilata la strada. Una batteria è sistemata tra la chiesa e i giardini delle Tuileries, il punto più facile per un assalto al Palais Royal. La battaglia comincia alle quattro del pomeriggio. La prima fucilata echeggia lungo la banchina presso il Louvre e con essa comincia l’attacco generale.
Dopo avere fatto pulizia, mille uomini del battaglione dei patrioti attaccano i ribelli che occupano rue Saint-Honoré. Lo choc è violento, si combatte corpo a corpo. Sei pezzi d’artiglieria fulminano i ribelli che in gran fretta si ritirano verso place Vendôme e verso il Palais Royal. Buonaparte dirige il fuoco da maestro. Uno dei suoi cannoni viene catturato sotto i suoi occhi: lo riprende con grande sforzo. Il suo cavallo viene ucciso sotto di lui. Ma durante la battaglia, mentre il giorno volge rapidamente al tramonto, egli manovra un paio di pezzi nella rue Saint-Honoré sul fianco della battaglia, ed è la mossa che ferma definitivamente la marea avanzante della rivolta. Una grandine di mitraglia completa l’opera. Alle sei, dopo una debole resistenza, le sezioni sono messe in rotta. Dall’una e dall’altra parte ci sono stati quattrocento uccisi.
In seguito Barras sosterrà che Napoleone a piedi seguiva lui che a cavallo dava gli ordini, e gli faceva da aiutante di campo.
Napoleone prega Barras di ripararsi: “Se foste ucciso voi, tutto sarebbe perduto”. Barras si riguarda un po’ di più e Napoleone sollevato esclama: “La Repubblica è salva”.
Anche il futuro ministro di Polizia Réal attribuisce tutti i meriti della giornata a Barras. Napoleone in quel momento era ancora poco conosciuto, ma in realtà fece tutto lui. Scrive al fratello quella notte dal 5 al 6 ottobre, alle due del mattino: “Finalmente tutto è passato, il mio primo desiderio è di darti notizie… Abbiamo disposto le nostre truppe, il nemico ci ha assaliti alle Tuileries… noi abbiamo abbattuto file intere, ci è costato la perdita di trenta morti e sessanta feriti. Abbiamo disarmato le centurie, tutto è tranquillo. Come sempre io sono illeso. Il generale di brigata Buonaparte. PS La fortuna è con me, i miei omaggi a Désirée e a Julie”. E spiega: “Le notizie erano assai brutte. Allora mi dettero l’incarico di sbrigare tutta la faccenda; però dopo si misero a discutere se si avesse o no il diritto di respingere la forza con la forza. “Aspettate forse”, dissi io, “che il popolo vi dia il permesso di sparargli contro? Ormai, dal momento che mi avete affidato l’incarico, sono compromesso; è dunque giusto che mi diate carta bianca.” Detto ciò, lasciai quegli avvocati che affogavano nelle loro parole; e feci marciare le truppe”.
La pioggia si calma alle undici di notte, il tempo è coperto. Le Tuileries sono cosparse di feriti ammucchiati sulla paglia. Ci sono molte donne dei deputati, che fanno da infermiere. Quel bivacco e quel quartier generale sono stranissimi. Napoleone e la sua artiglieria hanno salvato il governo della Convenzione e la Rivoluzione. Con generosità Napoleone farà assolvere Menou, che avrebbe meritato una severa punizione e che il Comitato voleva condannare a morte.
Dopo avere folgorato le sezioni, Napoleone dice: “Ho messo il mio sigillo sulla Francia”. Le stesse sezioni che sono state spazzate via dal giovane generale gli danno il nome di “Mitragliere”. E la giornata del 13 vendemmiaio viene battezzata “un soffio di mitraglia”.
Da questo momento il nome di Buonaparte diviene veramente popolare. Dopo Tolone egli era noto, ma solo agli addetti ai lavori; dopo Vendemmiaio, è un grande eroe della Rivoluzione o meglio del dopo-Rivoluzione. E il curioso è che dopo quella vittoria egli aveva temuto di essersi reso impopolare e assicurò che avrebbe dato parecchi anni di vita per cancellare quella brutta pagina della sua storia. Era un cattivo giudice di sé.
Se volete approfondire la strepitosa carriera del “Generale Vendemmiaio” potete farlo sfogliando la biografia di Guido Gerosa Napoleone – Un rivoluzionario alla conquista di un impero nella biblioteca dell’Antica Frontiera.