Quella che fu definita da Winston Churchill come la vera prima guerra mondiale della Storia fu causata dall’invasione della Sassonia da parte delle armate prussiane di Federico il Grande.
Non vi sono francobolli dedicati al lungo conflitto che ridisegnò gli equilibri politici europei e diede un forte impulso all’ascesa coloniale inglese, pertanto l’anniversario odierno verrà ricordato mediante le quattro emissioni filateliche con le quali la Germania, nel corso della sua tormentata Storia contemporanea, ha reso omaggio al grande monarca prussiano, uno dei più grandi capi militari di tutti i tempi.
Il primo esemplare rosso carminio da 10 pfennig con il volto del re risale al 1926 e fa parte della serie che la Repubblica di Weimar dedicò ai tedeschi illustri.
La seconda emissione riguardante “il vecchio Fritz” – il soprannome col quale Federico II veniva affettuosamente chiamato dai suoi soldati – è la prima del periodo nazista e fu scelta per celebrare la seduta di insediamento del nuovo parlamento a Potsdam, da sempre residenza dei re prussiani. Distribuita nel 1933, la serie di tre valori – un 6 pfennig verde, un 12 pfennig rosso e un 25 pfennig blu – mostra il sovrano in un ritratto del pittore Adolph von Menzel.
Il 1986 è l’anno in cui le poste della Germania Ovest emisero un francobollo da 80 pfennig in occasione del bicentenario della morte di Federico, qui raffigurato in un ritratto del pittore Anton Graff.
L’ultima emissione da 0,55 euro della Germania ormai riunificata è di due anni fa e celebra il terzo centenario della nascita del monarca illuminato con l’espressione intensa del dipinto di Graff.
Con il delinearsi della nuova situazione diplomatica Federico II cadde in preda all’incubo dell’accerchiamento. Le sue paure aumentarono quando, avendo chiesto nell’agosto del 1756 a Maria Teresa l’assicurazione che la Prussia non sarebbe stata aggredita, ricevette una risposta evasiva. Federico II si decise allora a giocare d’anticipo: il 29 agosto 1756 invadeva senza dichiarazione di guerra – dunque ripetendo il gesto del 1740 – la Sassonia. Era l’inizio di quella che sarebbe poi stata chiamata la guerra dei Sette anni. In essa, l’aspetto coloniale, già emerso durante la guerra di Secessione austriaca, ebbe un rilievo senza precedenti, sì da configurare un conflitto di dimensioni mondiali.
Se dappertutto gli Inglesi si trovarono inizialmente in gravi difficoltà, l’assunzione da parte di William Pitt della leadership del governo (giugno 1757) determinò un netto cambiamento. Pitt era risoluto a concentrare il massimo sforzo sui territori d’oltremare, nella convinzione che il destino della Gran Bretagna fosse un destino imperiale. Tre grandi spedizioni inglesi raggiunsero il Nord America nel 1758 e già un anno dopo fu chiaro che per i Francesi non c’erano più speranze. Nel settembre del 1759 gli Inglesi s’impadronirono del Québec dopo un’accanita battaglia; nel settembre del 1760 la caduta di Montreal segnò la fine del dominio francese sul Canada. Trionfo inglese anche in India e nelle Antille. Qui i Francesi persero la Guadalupa (1759), la Martinica (febbraio 1762) e altre isole; gli Spagnoli entrati in guerra nel 1762, persero l’Avana (e, nelle Filippine, Manila). Stesso scenario in Africa, dove i Francesi persero il Senegal. Se la guerra nelle e per le colonie aveva per Pitt un’importanza primaria, non trascurò lo scacchiere europeo. Dai banchi dell’opposizione aveva tuonato contro la subordinazione degli interessi della Gran Bretagna a quelli dell’Hannover, ma adesso che era investito di responsabilità di governo toccò proprio a lui, campione dell’espansione commerciale inglese su scala planetaria, a essere accusato di eccessiva sollecitudine per le questioni europee. In realtà Pitt pensava che una diversione sarebbe stata utilissima alla causa della guerra coloniale, perché avrebbe costretto la Francia a tener impegnata una parte cospicua di uomini e mezzi. Di qui i ripetuti raids sulle coste francesi, di qui la decisione, posta in atto nei primi mesi del 1758, di rendere più incisiva la presenza inglese nel conflitto continentale. Quest’ultimo era cominciato per gli Inglesi con l’umiliante sconfitta subita a Hastenbeck a opera dei Francesi (26 luglio 1757), i quali subito dopo avevano occupato l’Hannover e il Brunswick. La riscossa fu merito di Pitt, che aumentò enormemente i sussidi a Federico II e promosse la riorganizzazione e il potenziamento del raccogliticcio esercito di Hannoveriani e mercenari tedeschi che così cattiva prova aveva dato di sé. Sotto il comando del duca Ferdinando di Brunswick il rinnovato esercito batté i Francesi a Krefeld (23 giugno 1758) e li respinse fino al Reno, determinando una situazione che rimase pressoché immutata sino alla fine della guerra.
Torniamo a Federico II, che abbiamo lasciato nell’atto di invadere la Sassonia. Nel volgere di pochi mesi l’esercito sassone fu sbaragliato e i suoi effettivi furono incorporati nell’esercito prussiano. Un successo senza dubbio strepitoso; ma Federico non aveva di che cantare vittoria. Quella formidabile coalizione contro di lui che prima dell’invasione della Sassonia esisteva soltanto sulla carta, o meglio nelle sue ansie e nelle sue paure, diventò realtà in seguito all’aggressione dell’agosto del 1756. Il primo maggio 1757 Austria e Francia conclusero il secondo trattato di Versailles. Un trattato offensivo, questa volta, con il quale Luigi XV aderiva all’idea della distruzione dello Stato prussiano e s’impegnava all’intervento armato a fianco della monarchia asburgica. In cambio, otteneva la promessa di alcuni territori – da assegnarsi parte alla Francia, parte a Filippo, figlio di Elisabetta Farnese – nei Paesi Bassi. Magro compenso davvero: la Francia rischiava di svenarsi per l’Austria gratis o quasi. Contro Federico II, che poteva contare unicamente sull’appoggio inglese (per il momento inefficace), si schierarono anche la Russia, la Svezia e l’esercito della dieta imperiale. Premuto da ogni parte, Federico conobbe la gloria e la polvere. Sconfitto a Kolin, in Boemia, dagli Austriaci di Daun (18 giugno 1757), che successivamente occuparono la Slesia e la stessa Berlino, e sfiorato addirittura dall’idea del suicidio, trionfò a Rossbach sui Francesi (5 novembre 1757) e a Leuthen sugli Austriaci (5 dicembre 1757), riconquistando le posizioni perdute. A partire dal 1758 ebbe a vedersela solo con Austriaci e Russi (e in subordine con imperiali e Svedesi), dato che a tenere impegnati i Francesi pensava Ferdinando di Brunswick. Vittorioso sui Russi nella sanguinosa battaglia di Zorndorf (25 agosto 1758), subì l’anno dopo, a opera dei Russi medesimi, una disfatta senza precedenti nella battaglia di Kunersdorf (12 agosto 1759). Si ripeterono i giorni terribili del 1757. Producendo uno sforzo che ha del prodigioso, il re di Prussia sbaragliò gli Austriaci a Liegnitz e a Torgau (15 agosto e 3 novembre 1760), ma ciò non bastò a modificare sostanzialmente una situazione ormai compromessa. Per lui le cose volsero al peggio, e nel novembre del 1761, con Russi, Austriaci e imperiali che andavano stringendo la morsa, la catastrofe appariva inevitabile. “Se la fortuna continua a trattarmi così crudelmente, – scrisse Federico – dovrò certamente soccombere. Solo lei può liberarmi dalla situazione in cui mi trovo”. Incredibilmente, tutto mutò da un giorno all’altro. La zarina Elisabetta, fervente antiprussiana, morì ai primi di gennaio del 1762. Le successe il nipote, Pietro di Holstein-Gottorp (zar con il nome di Pietro III), il quale, ammiratore fanatico di Federico II, si affrettò a firmare la pace con il suo idolo (5 maggio 1762); il 22 maggio anche la Svezia concluse la pace con la Prussia) e a restituirgli tutti i territori occupati. Poco dopo si spinse fino al punto di inviare truppe russe in aiuto di Federico II, il quale poté così riprendere la guerra con rinnovata lena e rinnovati successi. Altro colpo di scena sei mesi più tardi. Una fazione di corte eliminò Pietro III e innalzò al trono, con il nome di Caterina II, sua moglie Sofia Augusta di Anhalt-Zerbst, partecipe della congiura contro il marito. Caterina non aveva alcuna simpatia per Federico e temeva che il sovrano prussiano diventasse troppo potente. Dispose perciò il ritiro delle truppe inviate ad appoggiarlo. Non si tornò, comunque, alla situazione anteriore all’avvento di Pietro III: rendendosi interprete di una diffusa stanchezza per un impegno bellico così lungo e gravoso, Caterina II non denunciò il trattato di pace con Federico II e proclamò la neutralità nella contesa austro-prussiana.
L’uscita della Russia dalle ostilità obbligò i due accaniti rivali a fare i propri conti. Né l’uno né l’altro avevano ormai gran che da guadagnare nella prosecuzione della lotta; c’era anzi il rischio che avessero non poco da perdere. Ci si mise dunque attorno a un tavolo e si cominciarono i negoziati, con l’elettore di Sassonia (Augusto III re di Polonia) nel ruolo di mediatore. Fu appunto nel suo castello di Hubertusburg che venne stipulata la pace tra Austria e Prussia il 15 febbraio 1763. Veniva ristabilito l’assetto anteriore all’agosto del 1756. La Prussia era salva e si teneva la Slesia. Era un risultato straordinario per chi s’era trovato sull’orlo dell’abisso. Vienna, invece, vedeva svanire tutti i suoi sogni di rivincita: sette anni di ferro e di fuoco perduti dietro un’illusione.
Se volete approfondire le alterne vicende della guerra dei Sette anni potete farlo sfogliando il 9° volume de La Storia – Il Settecento: l’età dei lumi nella biblioteca dell’Antica Frontiera.