Il documento, promulgato dal presidente degli Stati Uniti Lincoln durante la guerra civile americana, decretava la liberazione di tutti gli schiavi dai territori degli Stati Confederati d'America a partire dal 1º gennaio 1863. Nel 1865, poco prima di essere ucciso, Lincoln fece approvare al Congresso l'emendamento alla Costituzione che sanciva l'abolizione della schiavitù in tutta l'Unione americana.
Per celebrare questo importante momento della Storia degli USA abbiamo scelto i due francobolli che le poste statunitensi hanno emesso per commemorare il centenario e il centocinquantesimo anniversario del Proclama di emancipazione. Di entrambi abbiamo aggiunto una breve descrizione sopra.
Lincoln rimaneva fermamente ancorato alla sua originaria dichiarazione degli scopi di guerra: salvare l’Unione era il suo obiettivo e non altro:
“Il nostro governo popolare è spesso stato definito un esperimento. Due suoi capisaldi il nostro popolo ha già definitivamente stabilito; la possibilità di “fondarlo” con successo e di “amministrarlo” con successo. Uno ancora ne rimane; la possibilità di “mantenerlo” con successo di fronte a un formidabile tentativo di rovesciarlo […]. E in questa lotta è in gioco ben più che il destino di questi Stati Uniti. Essa infatti pone all’intera famiglia umana il problema se una repubblica costituzionale [ … ] può o no mantenere la sua integrità territoriale contro i suoi nemici interni […].”
E ancora nell’estate del 1862, a Horace Greeley, che sul giornale «New York Tribune» aveva chiesto che tra gli scopi di guerra fosse posto quello di eliminare la schiavitù, Lincoln aveva nettamente risposto:
“Il mio obiettivo dominante in questa lotta “è” salvare l’Unione, e “non è” né salvare né distruggere la schiavitù. Se mi fosse dato di salvare l’Unione senza liberare “nessuno” schiavo, lo farei; e se potessi salvarla mediante la liberazione di “tutti” gli schiavi, lo farei; e se per salvarla dovessi liberarne alcuni e lasciar stare gli altri, farei anche questo.”
Tuttavia, dopo i tremendi sacrifici e i massacri degli anni 1861 e 1862, lo scopo di preservare l’Unione cominciava ad apparire inadeguato agli occhi di molti. Dopo tutto, che costrutto c’era a mantenere entro l’Unione mediante la forza un popolo che (e lo aveva ben dimostrato battendosi) non ne voleva sapere? Ora, dopo Pittsburg Landing, dopo i «Sette giorni», dopo Fredericksburg e Stone’s River, era ben chiaro che non «le mene» di «pochi mestatori politici», ma la volontà di tutto il Sud lo aveva portato fuori dall’Unione. E allora? Si poteva continuare a chiedere alla gioventù del Nord di battersi, soffrire e morire per quella che appariva sempre più come una crudele guerra di sottomissione, contraria a tutte le tradizioni americane? E non era necessario fare qualche cosa di più per isolare il Sud dall’Europa, ove uomini di sentimenti liberali, come Gladstone e lord Russell, guardavano con ammirazione alla sua eroica lotta per l’indipendenza? E – infine – non era forse opportuno tentare di disarticolare dal di dentro la Confederazione?
Queste furono le reali origini del famoso proclama «di emancipazione»: il quale (sebbene più tardi venisse presentato dalla propaganda ufficiale come una straordinaria misura liberale e illuminata) altro non fu se non un atto di guerra civile, inteso a rianimare lo sforzo bellico del Nord, a ridargli coesione, a isolare il Sud di fronte all’opinione pubblica mondiale e anche (sebbene questo non venisse mai apertamente confessato) a tentare di provocare un crollo del fronte interno confederato.
Nell’autunno del 1862 il governo di Washington incominciò a preparare lo schema del proclama; il 22 settembre 1862 (dopo la battaglia di Antietam) fu pubblicato il proclama preliminare e il 1 gennaio 1863 quello definitivo. Avvalendosi dei poteri di qualunque governo di confiscare le proprietà dei «sudditi ribelli», il proclama preliminare dava a costoro tre mesi di tempo per sottomettersi, dopodiché gli schiavi appartenenti ai proprietari rimasti in ribellione, sarebbero stati, per atto di confisca, dichiarati liberi. Il proclama definitivo – scaduti i tre mesi – non faceva che porre in esecuzione quanto minacciato. La cosa interessante è che l’emancipazione non si applicava agli Stati schiavisti rimasti fedeli all’Unione (dove, dunque, gli schiavi restavano schiavi) né a quelle parti degli Stati ribelli che erano già state «sottomesse», tra cui l’intero Tennessee, due terzi della Luisiana e la Virginia settentrionale. E d’altro canto anche nelle zone ribelli gli schiavi non sarebbero stati liberati qualora i proprietari si fossero sottomessi entro i famosi tre mesi.
Queste furono dunque le reali proporzioni del proclama cosiddetto di «emancipazione»: sarcasticamente il «World» di New York osservò che il presidente «liberava» gli schiavi là dove non aveva potere di farlo, e salvaguardava la schiavitù in quegli Stati o parti di Stati che erano invece sotto suo controllo.
Ma gli scopi reali che il proclama si proponeva furono sostanzialmente raggiunti. Nell’intera Unione la propaganda cominciò ora a incitare alla lotta non più contro i «secessionisti», ma (come nel 1860) contro i «peccatori» e i «criminali» del Sud, per «lavare» dalla bandiera l’orrenda macchia della schiavitù; decine di migliaia di volontari si arruolarono per rinsanguare le divisioni che operavano sul Mississippi, nel Tennessee, in Virginia. Naturalmente ciò implicava un grave pericolo: il trasporto cioè della guerra sul piano del «conflitto ideologico», o della «crociata», con terribili conseguenze. Ma non era che lo sviluppo logico degli eventi.
Anche in Europa il proclama, grazie all’abile e agguerrita propaganda nordista, servì a fare il vuoto intorno al Sud «schiavista» e consentì abili campagne intese a mobilitare le opinioni pubbliche (per lo più del tutto ignare della realtà americana e portate quindi a semplificare) a favore della «crociata» «liberatrice» del Nord.
In un punto il proclama fallì: esso non riuscì a scatenare alcuna insurrezione di schiavi nel mezzogiorno. Gli schiavi mostrarono la propria reale maturità rifiutandosi di diventare lo strumento di una grossa manovra politico-militare, di cui sarebbero stati le prime vittime.
Se volete approfondire il contesto storico in cui il presidente Abraham Lincoln emanò il famoso Proclama di Emancipazione che decretava la liberazione di tutti gli schiavi dai territori degli Stati Confederati d’America potete farlo sfogliando l’11° volume de La Storia – Risorgimento e rivoluzioni nazionali nella biblioteca dell’Antica Frontiera.