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La conferenza di Monaco

30/9/2014

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Oggi è il 76° anniversario degli accordi sottoscritti alla conferenza di Monaco.
Il 30 settembre 1938 il dittatore nazista Adolf Hitler, grazie alla politica di appeasement dei primi ministri di Regno Unito e Francia   Chamberlain e Daladier e con la complicità del duce del fascismo Benito Mussolini, impose l’accorpamento dei Sudeti al Terzo Reich, ponendo di fatto fine alla Cecoslovacchia.

Per ricordare questo vergognoso episodio che il grande Winston Churchill chiosò con la celebre frase « Dovevate scegliere tra la guerra ed il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra. » abbiamo scelto i due francobolli del Terzo Reich che la Germania nazista emise due giorni dopo la conclusione della conferenza. L'esemplare verde da 6+4 pfennig e quello rosso da 12+8 pfennig mostrano una coppia sposata dell'Eger, una delle regioni storiche della Boemia nordoccidentale appartenente al territorio dei Sudeti, e la scritta "4. Dezember 1938 Sudetengau" (la provincia dei Sudeti, suddivisa nelle tre contee di Eger, Aussig e Troppau, e governata dalla fine del 1938 al maggio 1945 dal Gauleiter Konrad Henlein).

Come già annunciato Hitler volge ora le sue attenzioni a Est, al territorio cecoslovacco. Per prima cosa si accorda con il capo del Movimento irredentista sudeto, Konrad Henlein. Il territorio dei Sudeti, con una popolazione in prevalenza di origine tedesca, da tempo insiste presso il governo della Cecoslovacchia con rivendicazioni di piena autonomia. La paura da parte cecoslovacca è che con l’autonomia il territorio, in mano a un partito filonazista, voti l’annessione al Terzo Reich (cosa del resto appena successa in Austria). La perdita dei Sudeti non è solo una notevole perdita territoriale ed economica: le grandi fortificazioni presenti (che fanno gola ai Tedeschi) sono un baluardo di difesa nei confronti del forte vicino. Senza di esse la Cecoslovacchia è una preda fin troppo facile. Ma il partito tedesco-sudeto, appoggiato dalla NSDAP, approva il 23 aprile 1938 durante il congresso di Karlsbad un programma in cui la piena autonomia dei Sudeti è al primo posto. Intanto in Germania Hitler avvisa la Wehrmacht di tenersi pronta: dal 1° ottobre ogni giorno è buono per risolvere il problema cecoslovacco.
Ma la Wehrmacht non avrà bisogno di sparare neanche un colpo perché il territorio dei Sudeti sarà consegnato su un piatto dorato a Hitler dalla diplomazia, principalmente inglese. Malgrado il fallimento del mediatore Lord Runciman inviato in Cecoslovacchia nel mese d’agosto, il primo ministro inglese Neville Chamberlain, fautore della politica diappeasement (pacificazione a tutti i costi), riesce a rimandare (di neanche un anno) la guerra. Per raggiungere questo risultato si incontrerà parecchie volte con Hitler: il 15 settembre a Berchtesgaden, dal 22 al 24 settembre a Godesberg. Il 30 settembre, anche grazie alla mediazione di Mussolini e senza che sia ammesso alcun rappresentante della Cecoslovacchia, è firmato a Monaco l’accordo in base al quale i Sudeti diventano territorio del Terzo Reich. Chamberlain è ancora convinto di aver messo un freno alle mire espansionistiche tedesche, ma con l’accordo di Monaco di fatto la Cecoslovacchia è perduta.
Malgrado affermazioni ripetute in varie occasioni, per cui il problema è ormai risolto (al punto che viene perfino firmato un accordo bilaterale il 20 novembre fra Germania e Cecoslovacchia per la tutela delle rispettive minoranze etniche), Hitler sta già manovrando per accaparrarsi il resto dei territori cecoslovacchi. Visti i precedenti felici dell’Austria e dei Sudeti, decide di appoggiarsi a un movimento interno al Paese (in questo caso quello dei separatisti slovacchi) per avere l’alibi “ufficiale” per intervenire con le sue truppe. Nel marzo 1939 Hitler si accorda quindi l’ex capo del governo slovacco, monsignor Jozep Tiso: quest’ultimo annuncia ufficialmente l’indipendenza slovacca e chiede contemporaneamente la protezione della Germania. Non tutti nello staff del Führer sono d’accordo rispetto a questa accelerazione degli eventi (per lo meno lo dichiareranno successivamente e tardivamente durante il processo di Norimberga). Göring sosterrà: “Ero irritato per via che tutto era stato deciso senza interpellarmi. Io sostenevo che era troppo presto, anche perché una violazione degli accordi di Monaco avrebbe compromesso il prestigio di Chamberlain: il rischio, abbastanza reale, era di portare Churchill al potere. Ma Hitler non mi ha ascoltato”. In effetti il Führer pensa bene di inviare il suo delfino a Sanremo (ufficialmente a curare presunti problemi di salute): l’atteggiamento di Göring, troppo disponibile a trattative con gli Inglesi, è d’intralcio in questo momento.
Il 15 marzo 1939 il presidente della Repubblica democratica cecoslovacca, Emil Hacha, e il suo ministro degli Esteri Chwalkowsky sono convocati a Berlino. Hacha è posto davanti a un ultimatum: o firma i documenti in cui dà in mano ai nazisti la sua nazione o sarebbero partiti i bombardieri che avrebbero trasformato il Paese in un cumulo di rovine. Alle quattro e mezzo di mattina Hacha, sofferente di cuore e tenuto in piedi dai medici, firma. E’ stata una notte drammatica, impensabile sotto ogni aspetto in un Paese civile. Le truppe del Reich occupano la Boemia e la Moravia, che diventano protettorati tedeschi, mentre la Slovacchia assume il ruolo di Stato satellite della Germania, con un governo clerico-fascista del primo ministro e presidente Tiso. Il Führer può essere soddisfatto perché un grande uomo (Otto von Bismarck) aveva detto: “Chi domina i bastioni della Boemia è padrone dell’Europa”.
Ancora una volta Hitler è riuscito con un colpo di mano improvviso a spiazzare le altre nazioni, mettendole davanti al fatto compiuto. Perfino gli alleati sono stati lasciati all’oscuro di tutto. Mussolini riceverà l’inviato del Reich, il principe Filippo d’Assia, che spiegherà le ragioni del Führer quando tutto è già avvenuto: la mossa è stata fatta perché i Cechi non smobilitavano le loro forze ai confini, perché continuavano a mantenere contatti con l’Unione Sovietica e perché maltrattavano i Tedeschi. “Questi pretesti sono forse buoni per la propaganda di Goebbels, ma dovrebbero venir risparmiati quando parlano con noi” sarà il commento del giovane ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano, che continua sostenendo che Mussolini è scontento e depresso: non darà notizia alla stampa della visita di Filippo d’Assia (“Gli Italiani riderebbero di me: ogni volta che Hitler prende uno Stato mi manda un messaggio”).

Se volete approfondire le vicende che portarono all’accordo di Monaco e alla successiva cancellazione della Cecoslovacchia dalla cartina politica dell’Europa potete farlo sfogliando le pagine del libro Hitler e il Terzo Reich – Nazismo: storia di una lucida “follia” nella biblioteca dell’Antica Frontiera.



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La fine della Primavera di Praga

20/8/2014

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Oggi è il 46° anniversario della fine della Primavera di Praga. 
Il 20 agosto 1968 200.000 soldati del Patto di Varsavia e 5.000 carri armati invasero la Cecoslovacchia e posero brutalmente fine al programma riformatore di Alexander Dubček, nuovo segretario del partito comunista cecoslovacco ed esponente dell'ala innovatrice.
Per commemorare i tragici fatti di Praga abbiamo pensato di ricordare proprio il massimo interprete del nuovo corso con le due emissioni filateliche che gli sono state dedicate dalla Slovacchia, sua terra d'origine. La prima, da 8 corone slovacche, risale al 1993, l'anno in cui la Repubblica Slovacca nacque dalla divisione della Cecoslovacchia, e raffigura un Dubček sorridente. La seconda, da 18 corone slovacche, è del 2001, e celebra con un bel foglietto policromo l'80° anniversario della nascita del politico scomparso nove anni prima a seguito delle ferite riportate in un incidente stradale.


Nel gennaio del 1968 Alexander Dubček, esponente dell’ala innovatrice del Partito comunista cecoslovacco, fu eletto segretario, subentrando (con l’approvazione dell’allora leader sovietico Leonid Brežnev) ad Antonin Novotný.
Subito dopo l’insediamento, Dubček avviò un significativo esperimento di liberalizzazione, per il quale contava sull’appoggio dell’opinione pubblica, degli intellettuali, degli studenti, dei lavoratori e anche di parte dell’esercito. Il suo programma cercava di conciliare un sistema a base socialista con elementi di moderato pluralismo in economia e in politica. Ciò comportava significative aperture in direzione della libertà di opinione, di stampa e di associazione. Fra i principali effetti della svolta vi fu la costituzione di numerose formazioni politiche. Fu la cosiddetta primavera di Praga: una stagione di fermento e innovazione che, pur senza mettere in discussione l’appartenenza della Cecoslovacchia al sistema di alleanze sovietico (a differenza per esempio di quanto era accaduto in Ungheria nel 1956), sembrò realizzare l’ideale di un “socialismo dal volto umano”. Ancora una volta, tuttavia, l’URSS ritenne intollerabile l’esperimento, temendone i possibili effetti a macchia d’olio negli altri Paesi satelliti.
A partire dal mese di marzo Brežnev cominciò a manifestare segni di impazienza, invitando ripetutamente Dubček a bloccare il cammino intrapreso, di chiaro allontanamento da Mosca. Dopo vari tentativi per indurre i dirigenti del partito cecoslovacco a interrompere il processo di liberazione, protrattisi ancora per tutto il mese di luglio e nelle prime due settimane di agosto, nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, le truppe sovietiche e di altri quattro Paesi del patto di Varsavia (DDR, Polonia, Ungheria e Bulgaria: nell’insieme ca. 200.000 uomini armati di mezzi pesanti) occuparono la capitale e il Paese. I carri armati giunsero a Praga; i soldati sovietici fecero irruzione nella sede del comitato centrale. Si diede vita a un governo filosovietico; il primo ministro Černík e lo stesso Dubček furono arrestati e trasferiti, mentre il presidente cecoslovacco Svoboda di lì a pochi giorni venne inviato a Mosca.
Nella capitale migliaia di Cechi scesero in piazza. Durante le manifestazioni di protesta, i praghesi (che 23 anni prima avevano combattuto a fianco dei Russi il comune nemico nazista) non esitarono a gridare “fascisti!” in direzione delle truppe d’occupazione, e a dipingere svastiche sui loro carri armati. Nei giorni successivi si sparò sulla folla: l’invasione costò quasi 100 morti. I dirigenti cecoslovacchi scelsero di non percorrere la via dell’opposizione armata, ma di mettere in pratica forme di resistenza passiva. Nel frattempo, un congresso clandestino del Partito comunista cecoslovacco, in una fabbrica di Praga, confermava la fiducia a Dubček. I Sovietici furono così costretti a rimettere Dubček e gli altri quadri cechi al loro posto. Il loro operato era ormai pienamente sotto il controllo di Mosca; ma rovesciati in pochi mesi i rapporti di forza nel partito, i protagonisti dell’apertura furono progressivamente allontanati. Vittime della “normalizzazione” furono tutti i dirigenti e gli intellettuali che avevano animato la primavera: costretti a emigrare o ad abbandonare i loro incarichi. Dubček fu sostituito da Gustav Husák. La brutale gestione della crisi cecoslovacca, una delle tappe più significative del crescente disagio dei Paesi dell’Europa orientale soggetti al controllo sovietico, ebbe contraccolpi assai negativi per l’immagine dell’URSS: se grazie al proprio veto i Sovietici riuscirono a evitare che una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU condannasse il loro operato, l’invasione costò loro comunque la riprovazione non solo di personalità isolate, ma anche di consistenti gruppi delle dirigenze dei partiti comunisti dell’Europa occidentale (tra cui il PCI di Luigi Longo), che avevano espresso ammirazione e sostegno alle aperture del programma avviato da Dubček.

Se volete approfondire i fatti della privavera di Praga e dell’invasione della Cecoslovacchia potete farlo sfogliando il 14° volume de La Storia – Dalla guerra fredda alla dissoluzione dell’Urss nella biblioteca dell’Antica Frontiera.


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