Il 18 settembre 1860 le truppe sabaude comandate dal generale Cialdini sconfissero quelle pontificie del generale Lamoricière. Conseguenza della vittoria piemontese fu l'annessione al Regno di Sardegna delle Marche e dell'Umbria.
La battaglia di Castelfidardo è considerata spesso come l'episodio conclusivo del Risorgimento italiano; in effetti solo dopo essa fu possibile proclamare la nascita del Regno d'Italia, il 17 marzo 1861. Tuttavia le poste italiane non hanno mai ricordato questo importante evento storico. Al comune anconetano fu dedicato un francobollo da 450 lire nel 1989, ma nell'ambito della serie tematica "Il lavoro italiano" e per la sua importanza come centro di produzione della fisarmonica.
Dopo la presa di Perugia, la guerra fra italiani e pontifici ruota essenzialmente sul tentativo da parte del Lamoriciène di raggiungere Ancona e, da parte di Fanti, di impedirglielo. Il generale francese, che si trova a Macerata, deve tuttavia attendere per farvi convergere tutte le forze disponibili, ma ciò offre a Cialdini, che invece procede spedito, la possibilità di tagliargli la strada. Il 17 settembre, infatti, il comandante pontificio avanza da Loreto alla testa di 5000 uomini, 500 cavalieri e dodici cannoni in direzione di Ancona, che si trova a soli 30 chilometri di distanza, ma l’avversario è già in posizione e gli sbarra la strada da Osimo al mare.
Cialdini dispone di due divisioni, ovvero 13.500 uomini, un migliaio di cavalieri e ventiquattro cannoni, che ha disposto in gran parte davanti a Castelfidardo. Lamoriciène non può che aprirsi un varco combattendo: i piemontesi serrano ogni possibile passaggio, tra i fiumi Musone e Aspio. Tocca ai pontifici prendere l’iniziativa, e il generale francese decide di impossessarsi del Poggio delle Crocette, dove un piccolo presidio di cinque compagnie di bersaglieri sorveglia la sottostante strada per Ancona.
La mattina del 18, Lamoriciène manda contro la postazione 3 battaglioni di carabinieri svizzeri, zuavi franco-belgi e cacciatori della brigata Pimodan, supportati da 12 cannoni. Il generale intende poi presidiare il poggio con altri due battaglioni e approfittare del suo possesso per far sfilare verso nord, su Camerano e quindi su Ancona, il resto dell’armata, prima della reazione del grosso dell’esercito nemico. E poiché Cialdini sembra aspettarsi il tentativo di sfondamento su Castelfidardo, la manovra non pare tanto assurda.
L’attacco inizia in modo proficuo per i pontifici, i quali si impossessano di una cascina, detta Casa di Sotto, che costituisce la posizione più avanzata dei piemontesi. Ma la sommità è ancora di questi ultimi, asserragliati in un’altra cascina, la Casa di Sopra. Pimodan fa mettere in posizione sei bocche da fuoco e prosegue l’avanzata. Ma a quel punto c’è la reazione di Cialdini, che manda in soccorso dei suoi il 10° reggimento della brigata Regina. Gli uomini di Pimodan si trovano assaliti da tergo dai nuovi arrivati e contrattaccati dai bersaglieri più in alto. Combattono tenacemente, e lo stesso comandante viene ferito, ma i piemontesi fanno valere la superiorità numerica e provano ad accerchiarli anche sui fianchi.
Lamoriciène corre ai ripari facendo affluire parte della sua riserva, ma Cialdini fa altrettanto: giunge infatti a sostegno l’altro reggimento della Regina, che stringe i pontifici sulla destra, ostruendo loro la strada per Ancona. L’accerchiamento del generale francese è completato dall’afflusso di altri due battaglioni di bersaglieri lungo il Musone e di quattro squadroni di Novara, ancora alle spalle dell’avanguardia pontificia. Inoltre, da Osimo giunge un reggimento della brigata Como, che sbarra la strada al resto dell’armata papale schierandosi a Camerano.
Lamoriciène fa avanzare a sostegno della prima linea altri due battaglioni, uno di bersaglieri austriaci e uno di cacciatori, ma ogni ulteriore avanzata sul poggio è ormai preclusa dalla pressione piemontese. Pimodan è costretto ad assistere alla fuga da parte dei suoi uomini verso Loreto, ma tenta comunque di mantenere il possesso della posizione della Casa di Sotto, con l’aiuto dei bersaglieri austriaci. Ma cade anche lui, e a difendere la cascina rimane solo il battaglione dei franco-belgi. Alfine si arrendono anche questi ultimi, mentre tutti gli altri si sbandano e cercano scampo attraversando il Musone, al pari dello stesso Lamoriciène.
Il generale francese riesce a guadagnare la fuga oltre il fiume insieme a 400 uomini, di cui cinquanta a cavallo, procedendo verso est, in direzione della costa. Ma il 9° reggimento lo intercetta e lo priva di quasi tutti i suoi effettivi; Lamoriciène riesce comunque a raggiungere Ancona per il monte Conero, ma con un pugno di cavalieri.
Il resto della sua armata si concentra quasi tutta a Loreto, che la notte stessa Cialdini si preoccupa di far circondare. Il giorno seguente, il generale piemontese ne raccoglie la resa: si tratta di 3000 uomini, cui se ne aggiungono altri 2000 tra i presidi e gli sbandati della zona. Sul campo di battaglia sono rimasti, per i pontifici, 88 morti e circa 400 feriti, per i piemontesi 61 morti e 200 feriti.
Lamoriciène si asserraglia con 7000 uomini ad Ancona, che Fanti non perde tempo ad assediare. Fatta circondare la città fin dal giorno 20, sia dal 4° che dal 5° corpo, nonché dalla flotta, il generale piemontese conquista una dopo l’altra tutte le principali postazioni difensive del caposaldo, costringendo la guarnigione alla resa entro il 29. In diciotto giorni la guerra era terminata e l’esercito pontificio totalmente dissolto. Ora toccava a ciò che rimaneva del Regno delle Due Sicilie.
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