L'incontro fra i Tre Grandi ebbe inizio il 28 novembre e si concluse il 1° dicembre 1943. In tale conferenza, caratterizzata da una sostanziale concordanza di idee e progetti tra Stalin e Roosevelt in contrapposizione con i piani di Churchill, i leader di URSS, USA e Gran Bretagna si accordarono sull'appoggio ai partigiani di Tito in Jugoslavia, sulla data e sulle modalità esecutive dell'operazione Overlord (sbarco in Normandia), sull'entrata in guerra dell'URSS contro il Giappone dopo la sconfitta della Germania, sulla creazione, dopo la guerra, dell'ONU. Vennero presi accordi per l'invasione della Francia e si delinearono i confini della Polonia, con il consenso degli anglosassoni allo spostamento delle frontiere dell'URSS verso ovest.
Per ricordare questo fondamentale momento della Seconda Guerra Mondiale abbiamo scelto i due francobolli che le poste sovietiche emisero tre giorni prima dell'inizio della storica conferenza. I due esemplari da 30 kopechi e da 3 rubli rappresentano le bandiere delle potenze alleate e una lavagna sulla quale campeggia la frase di Stalin "Да здравствует победа англо-советско-американского боевого союза!" (Viva la vittoria dell'alleanza militare anglo-sovietico-americana!).
L’apertura di un secondo fronte in Europa, per alleggerire la pressione nazista sull’Unione Sovietica, era stata una richiesta più volte avanzata da Stalin agli Anglo-Americani, per tutto il 1942. 1Dal punto di vista strettamente militare le esigenze sottolineate dai Sovietici erano ineccepibili; uno dei principali obiettivi della strategia hitleriana era sempre stato quello di evitare di essere impegnato su «due fronti»: all’inizio aveva colpito in occidente solo dopo essersi garantito l’appoggio diplomatico dell’URSS e, quando aveva deciso di attaccare quest’ultima, aveva sospeso ogni iniziativa di rilievo contro l’Inghilterra. Di fatto, quindi, impegnare i Tedeschi in combattimenti anche sul fronte occidentale diventava una priorità di valore assoluto per gli alleati, che soltanto in questo modo potevano essere in grado sia di aiutare l’URSS sia di «colpire al cuore» l’intera strategia offensiva della Germania. Ma queste considerazioni militari si scontravano con altre esigenze, molto più direttamente politiche.
L’alleanza che legava le democrazie occidentali all’URSS, infatti, pur senza raggiungere l’anomalia dell’iniziale «connubio» tra sovietici e nazisti, restava un accordo diplomatico comunque attraversato da sospetti e diffidenze reciproche. L’essere uniti nella formula della guerra «democratica e antifascista» non bastava a cancellare di colpo anni di ostilità ideologiche e di rivalità geopolitiche; soprattutto in Winston Churchill, ad esempio, una volta emersa con chiarezza la prospettiva della sconfitta hitleriana, furono molto presenti considerazioni e progetti legati più al dopoguerra che non alla guerra stessa. In particolare sul secondo fronte, Churchill fu sempre molto tiepido agli appelli di Stalin e quando – anche perché «forzato» da Roosevelt – fu costretto ad accoglierli, tentò di farlo sempre in modo riduttivo. Fu così un fervente sostenitore dell’operazione Torch in Nord Africa, presentandola a Stalin come un’operazione complementare e non sostitutiva del secondo fronte, soprattutto perché in essa vedeva la possibilità di ripristinare l’egemonia britannica nel Mediterraneo anche per il dopoguerra; e, dopo le sconfitte dell’Asse a Stalingrado e in Tunisia, cominciò a parlare dei Balcani come della sede ideale per un nuovo attacco, anticipando così uno dei cardini della sua linea politica nell’ultima fase del conflitto, tutta tesa a bloccare l’espansione sovietica verso il cuore dell’Europa continentale e a impedire che alla sconfitta nazista seguisse un contemporaneo, complessivo declino della potenza britannica.
Strenuo assertore del secondo fronte fu invece Roosevelt. Superando anche dissensi interni al suo stato maggiore (dopo la battaglia delle Midway erano in molti, infatti, a sostenere l’assoluta priorità di concentrare tutti gli sforzi nella lotta contro il Giappone), il presidente americano rimase sempre fedele al suo disegno strategico iniziale, quello che nella Germania aveva identificato l’avversario da battere prima degli altri. Accentuatamente favorevole all’operazione Torch proprio in quanto coincideva con un primo coinvolgimento operativo dell’esercito americano nel teatro di guerra europeo, il suo intervento fu decisivo nella scelta di aprire il secondo fronte nella Francia settentrionale, nella zona, cioè, ritenuta in grado di offrire le migliori condizioni di natura militare per un attacco diretto alla Germania, da scatenare il più possibile a ridosso dei suoi confini nazionali. Oltre che dal suo irriducibile antifascismo, Roosevelt, a differenza di Churchill, era assistito dalla consapevolezza che alla fine della guerra si sarebbe registrata comunque una incontrastata leadership internazionale degli USA, tale da rendere non preoccupante un’eventuale accresciuta potenza sovietica (senza dimenticare che, sul piano contingente degli obiettivi di guerra, egli sperava di veder ripagato il suo aiuto all’URSS da un intervento di questa ultima contro il Giappone). Alla conferenza di Teheran (28 novembre-primo dicembre 1943), alla presenza di Churchill, Roosevelt e Stalin, la scelta di aprire il secondo fronte sbarcando sulle coste della Normandia divenne irrevocabile; gli USA avrebbero sostenuto il peso maggiore (logistico e operativo) della iniziativa e tutte le speranze di successo erano in pratica riposte sulla schiacciante superiorità dell’apparato industriale americano.
Se volete approfondire le conseguenze politico-militari della Conferenza di Teheran potete farlo sfogliando il 13° volume de La Storia – L’età dei totalitarismi e la seconda guerra mondiale nella biblioteca dell’Antica Frontiera.