Pensatore e rivoluzionario nato ad Ales (OR) il 22 gennaio 1891, dopo l'arresto (1926) da parte della polizia fascista, deferito al Tribunale speciale, fu condannato nel 1928 a vent'anni di reclusione; nel penitenziario di Turi, presso Bari, il pesante regime carcerario ne aggravò man mano irrimediabilmente le già precarie condizioni di salute così che, anche dietro pressioni internazionali, il governo fascista lo trasferì in un carcere-ospedale di Formia e poi nella clinica Quisisana di Roma, dove morì il 27 aprile 1937. Proprio nei lunghi e terribili anni della prigionia elaborò quello che resta il suo testamento politico-spirituale, le Lettere e i trentadue quaderni di appunti noti come Quaderni del carcere. Le prime costituiscono un documento di altissimo valore umano e letterario, che ebbe fin dal primo dopoguerra larga fortuna in Italia e all'estero. I secondi (dei quali nel 1975 V. Gerratana ha curato l'edizione critica) rappresentano uno degli apporti più complessi e originali alla cultura italiana del Novecento, nonché uno dei massimi contributi al marxismo teorico internazionale. Dopo aver profondamente rinnovato il pensiero storiografico, sociologico, letterario italiano, le elaborazioni gramsciane hanno conosciuto, a partire dalla fine degli anni Sessanta, una crescente fortuna anche all'estero. Soprattutto nel mondo anglosassone Gramsci è via via apparso come una delle grandi figure del pensiero politico contemporaneo con la sua concezione dell'egemonia, con la sua visione del rapporto stato-società civile, con il suo approfondimento del nesso dialettico fra struttura e sovrastruttura. In particolare è divenuto un punto centrale del dibattito storiografico il suo pensiero sul Risorgimento italiano, raccolto nel volume Il Risorgimento (1949) che fa parte dei Quaderni del carcere e comprende note scritte da Gramsci tra il 1927 e il 1935. La sua riflessione si incentra sulle insufficienze del Risorgimento, definito una «rivoluzione passiva», ossia una rivoluzione borghese incompiuta. Ne rimasero infatti estranee le masse popolari e quindi il mondo contadino, vale a dire la maggior parte del paese. Infatti le forze borghesi che ne furono protagoniste, sia i moderati che i democratici raccolti nel Partito d'azione, non vollero o non seppero farsi promotrici di quell'ampio processo di riforma agraria che, se congiunto al moto di rinnovamento politico, avrebbe legato aspettative e aspirazioni delle classi popolari alla costruzione della nuova nazione. Le conseguenze di questo mancato legame furono gravi per lo stato unitario: mentre sopravvivevano, specie nelle campagne, residui feudali, una politica reazionaria più o meno dissimulata continuò a ispirare le classi dirigenti moderate e liberali così che i problemi insoluti del Risorgimento, resi via via più gravi dalla debolezza delle istituzioni dell'Italia liberale, resero inevitabile l'avvento del fascismo.
Per ricordare il grande intellettuale ritenuto fra i più importanti pensatori del XX secolo abbiamo scelto i due francobolli che le poste italiane gli dedicarono nel 1987 e nel 1997 in occasione di due diversi anniversari della sua morte. Di ambedue abbiamo pubblicato l'immagine e una breve descrizione sopra.
Roma 20 novembre 1926
Mia carissima Julca,
Ricordi una delle tue ultime lettere? (Era almeno l’ultima lettera che io ho ricevuto a letto). Mi scrivevi che noi due siamo ancora abbastanza giovani per poter sperare di volere insieme crescere i nostri bambini. Occorre che tu ora ricordi fortemente questo, che tu ci pensi fortemente ogni volta che pensi a me e mi associ ai bambini. Io sono sicuro che tu sarai forte e coraggiosa, come sempre sei stata. Dovrai esserlo ancora di più che nel passato, perché rimarrò certamente a lungo senza vostre notizie; e ho ripensato al passato, traendone ragione di forza e voglio rivedere e vedere i nostri piccoli bambini. Mi preoccupa un po’ la quistione materiale: potrà il tuo lavoro bastare a tutto? Penso che non sarebbe né meno degno di noi né troppo, domandare un po’ di aiuti. Vorrei convincerti di ciò, perché tu mi dia retta e ti rivolga ai miei amici. Sarei più tranquillo e più forte, sapendoti al riparo da ogni brutta evenienza. Le mie responsabilità di genitore serio mi tormentano ancora, come vedi. Carissima mia, non vorrei in modo alcuno turbarti: sono un po’ stanco, perché dormo pochissimo, e non riesco perciò a scrivere tutto ciò che vorei e come vorrei. Voglio farti sentire forte forte tutto il mio amore e la mia fiducia. Abbraccia tutti di casa tua; ti stringo con la più grande tenerezza insieme coi bambini.
Antonio
Questo è l’incipit delle Lettere dal carcere che Antonio Gramsci scrisse durante la sua ultradecennale detenzione. Se volete continuare a leggere il suo famoso epistolario potete trovarlo nella biblioteca dell’Antica Frontiera.