Militare francese nato a Labastide-Fortunière il 25 marzo 1767, fu stretto collaboratore di Napoleone nelle campagne d'Italia, d'Egitto, nel colpo di stato del 18 brumaio e, ancora, a Marengo e ad Austerlitz. Nel 1808 sposò la sorella di Napoleone, Carolina. Insignito del titolo di maresciallo e poi di principe dell'impero, guidò in Spagna la repressione dei moti antifrancesi. Nello stesso anno succedette a Giuseppe Bonaparte sul trono di Napoli e ne continuò l'opera di smantellamento dell'ancien régime e di costruzione di una moderna monarchia amministrativa. Le sue velleità d'indipendenza lo resero però ben presto sospetto a Napoleone. Dopo la battaglia di Lipsia (1813), dove comunque comandò le truppe napoletane a fianco di Bonaparte, intavolò trattative con Inghilterra e Austria per salvare il trono. Ma le avvisaglie delle negative decisioni del congresso di Vienna lo indussero nel 1815 a riprendere le armi, cercando, con il proclama di Rimini, di ergersi a campione dell'indipendenza italiana. Sconfitto a Tolentino dagli austriaci, tentò di sbarcare di nuovo nel regno, ma fu preso e fucilato dai borbonici.
Nonostante la grande importanza storica del personaggio fino a pochi mesi fa l'unico francobollo che lo raffigurava era un esemplare della Guinea emesso nel 1994 per ricordare la battaglia di Austerlitz. Il 23 aprile dello scorso anno le poste italiane hanno emesso un francobollo da 0,70 euro che riproduce un dipinto di Gennaro Picinni intitolato “Joachim Murat a S. Nicola”. L'opera mostra il re di Napoli, che nel 1813 diede l'avvio all’edificazione della nuova Bari fuori dalle mura medievali. Sullo sfondo la facciata principale della Basilica di San Nicola.
Proclama di Gioacchino Murat agl’Italiani, del 30 marzo 1815.
Proclama Del Re Di Napoli.
Italiani!
L’ora è venuta che debbono compiersi gli alti vostri destini. La Provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente. Dall’Alpi allo stretto di Scilla odasi un grido solo «L’indipendenza d’Italia!» Ed a qual titolo popoli stranieri pretendono togliervi questa indipendenza, primo diritto, e primo bene d’ogni popolo? A qual titolo signoreggiano essi le vostre più belle contrade? A qual titolo s’appropriano le vostre ricchezze per trasportarle in regioni ove non nacquero? A qual titolo finalmente vi strappano i figli, destinandogli a servire, a languire, a morire lungi dalle tombe degli avi?
Invano adunque natura levò per voi le barriere delle Alpi? Vi cinse invano di barriere più insormontabili ancora la differenza dei linguaggi e dei costumi, l’invincibile antipatia de’ caratteri? No, no: sgombri dal suolo italico ogni dominio straniero! Padroni una volta del mondo, espiaste questa gloria perigliosa con venti secoli d’oppressioni e di stragi. Sia oggi vostra gloria di non avere più padroni. Ogni nazione deve contenersi nei limiti che le diè natura. Mari e monti inaccessibili, ecco i limiti vostri. Non aspirate mai ad oltrepassarli, ma respingetene lo straniero che li ha violati, se non si affretta di tornare ne’ suoi. Ottantamila Italiani degli Stati di Napoli marciano comandati dal loro re, e giurarono di non domandare riposo, se non dopo la liberazione d’Italia. È già provato che sanno essi mantenere quanto giurarono. Italiani delle altre contrade, secondate il magnanimo disegno! Torni all’armi deposte chi le usò tra voi, e si addestri ad usarle la gioventù inesperta.
Sorga in si nobile sforzo chi ha cuore ingenuo, e secondando una libera voce parli in nome della patria ad ogni petto veramente italiano. Tutta, insomma, si spieghi ed in tutte le forme l’energia nazionale. Trattasi di decidere se l’Italia dovrà essere libera, o piegare ancora per secoli la fronte umiliata al servaggio.
La lotta sia decisiva: e ben vedremo assicurata lungamente la prosperità d’una patria bella, che, lacera ancora ed insanguinata, eccita tante gare straniere. Gli uomini illuminati d’ogni contrada, le nazioni intere degne d’un governo liberale, i sovrani che si distinguono per grandezza di carattere godranno della vostra intrapresa, ed applaudiranno al vostro trionfo. Potrebbe ella non applaudirvi l’Inghilterra, quel modello di reggimento costituzionale, quel popolo libero, che si reca a gloria di combattere, e di profondere i suoi tesori per l’indipendenza delle nazioni?
Italiani! voi foste lunga stagione sorpresi di chiamarci invano: voi ci tacciaste forse ancora d’inazione, allorché i vostri voti ci suonarono d’ogni intorno. Ma il tempo opportuno non era per anco venuto, non per anche aveva io fatto prova della perfidia de’ vostri nemici: e fu d’uopo che l’esperienza smentisse le bugiarde promesse di cui v’eran si prodighi i vostri antichi dominatori nel riapparire fra voi.
Sperienza pronta e fatale! Ne appello a voi, bravi ed infelici Italiani di Milano, di Bologna, di Torino, di Venezia, di Brescia, di Modena, di Reggio, e di altrettante illustri ed oppresse regioni. Quanti prodi guerrieri e patriotti virtuosi svelti dal paese natio! quanti gementi tra ceppi! quante vittime ed estorsioni, ed umiliazioni inaudite! Italiani! riparo a tanti mali; stringetevi in salda unione, ed un governo di vostra scelta, una rappresentanza veramente nazionale, una Costituzione degna del secolo e di voi, garantiscano la vostra libertà e proprietà interna, tostochè il vostro coraggio avrà garantita la vostra indipendenza.
Io chiamo intorno a me tutti i bravi per combattere. Io chiamo del pari quanti hanno profondamente meditato sugli interessi della loro patria, affine di preparare e disporre la Costituzione e le leggi che reggano oggimai la felice Italia, la indipendente Italia.
Rimini, 30 marzo 1815. Gioacchino Napoleone.