Nato il 14 marzo 1844 a Torino, a Palazzo Moncalieri, figlio e successore di Vittorio Emanuele II dal 1878, incoraggiò il riavvicinamento dell'Italia alla Germania e all'Austria-Ungheria e sostenne la politica di espansione coloniale di Francesco Crispi. Identificato come massimo responsabile della repressione autoritaria di fine secolo, fu assassinato dall'anarchico Gaetano Bresci a Monza il 29 luglio 1900.
Per ricordare il secondo re d'Italia abbiamo selezionato tutti i francobolli del Regno recanti la sua effigie. Di ognuno di essi abbiamo pubblicato le immagini e una breve descrizione sopra.
Nato a Torino nel 1844, figlio del re d’Italia Vittorio Emanuele e di Maria Adelaide, figlia dell’arciduca Ranieri, viceré del Lombardo-Veneto, Umberto entrò a soli 14 anni nell’esercito piemontese e in pochi anni percorse la carriera militare, prima come capitano e maggiore (1858) e poi come colonnello (1860). Nel 1863 gli venne affidato il comando generale dei granatieri di Lombardia e, successivamente, come luogotenente generale, ottenne la guida della divisione militare di Milano.
L’anno successivo fu nominato comandante della divisione militare territoriale di Napoli. Al pari del fratello Amedeo, durante la terza guerra di indipendenza si segnalò per il valore dimostrato nella battaglia di Custoza (24 giugno 1866), facendosi ammirare per il coraggio e la sagacia militare, grazie alle quali seppe resistere all’attacco austriaco. Dopo il matrimonio con la cugina Margherita, nel 1871, venne nominato comandante generale del corpo d’esercito stanziato a Roma, nuova capitale del regno d’Italia. Il 9 gennaio 1878 succedette al trono di Vittorio Emanuele Il, assumendo il nome di Umberto I, per sottolineare il carattere nazionale della dinastia, contrariamente a quanto fatto dal padre, il quale aveva serbato la vecchia numerazione di casa Savoia. Dichiarò, poi, di prestar «fede inconcussa a quelle libere istituzioni», che, largite dall’avo Carlo Alberto, e «religiosamente difese e fecondate» da suo padre, rappresentavano «l’orgoglio e la forza» della sua dinastia. Ma, al tempo stesso, quale re «di spiriti militari», promise di voler difendere l’indipendenza nazionale, in un periodo in cui gravose minacce sembravano mettere in pericolo il giovane regno. Fu per questa ragione che non tardò a interessarsi all’esercito e alla politica estera, assumendo talora atteggiamenti che parvero contrastare l’essenza stessa del regime parlamentare. Cercò peraltro di promuovere la popolarità della monarchia compiendo numerosi viaggi nelle principali città italiane, e mostrando personale premura nei confronti delle regioni colpite da gravi epidemie e da calamità naturali.
Convinto di dover difendere lo Stato dai tentativi della Chiesa di ristabilire il potere temporale in alleanza di qualche potenza europea, magari della Francia, si decise, grazie anche al supporto della sinistra da sempre avversa a Napoleone III, in favore degli imperi centrali. Incentrò la sua politica estera sull’alleanza con l’Austria-Ungheria e la Germania, accettando quella riconciliazione con l’Austria definita da Bismarck la condizione preliminare e necessaria per la conclusione dell’intesa. Per questo, non mancò di appoggiare la politica di espansione coloniale voluta da Crispi, che, necessariamente, avrebbe legato l’Italia agli imperi centrali. Anche così Umberto I cercò di continuare le passioni risorgimentali e l’aspirazione alla grandezza della patria, senza nascondere le sue aspirazioni assolutistiche.
A causa dello sdegno generale che percorse il Paese alla notizia della sconfitta di Adua (1896), il re dovette cedere alle sempre più numerose pressioni anticolonialiste e costrinse Crispi alle dimissioni. Dopo questo episodio, comunque, la monarchia non era più oggetto di riverenza, e a essa si opponeva il parlamento, quale incarnazione della volontà popolare. Il persistere della politica autoritaria di Umberto I generò violenti moti popolari, repressi, come nel 1898, con la forza e l’assedio. Umberto approvò e premiò la sanguinosa repressione operata a Milano dal generale Bava-Beccaris, e si decise per l’applicazione di leggi eccezionali, lesive delle libertà costituzionali. I governi Rudinì e Saracco non mutarono i metodi repressivi, nonostante il largo successo delle opposizioni ottenuto nelle elezioni amministrative del 1899. Il sovrano, troppo legato ai partiti conservatori, veniva ormai apertamente indicato come il principale responsabile di quella insostenibile situazione. Umberto I fu assassinato a Monza il 29 luglio 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci.
Se volete approfondire le vicende del regno di Umberto I di Savoia potete farlo sfogliando il 19° volume de La Storia d’Italia – La crisi di fine secolo, l’età giolittiana e la prima guerra mondiale nella biblioteca dell’Antica Frontiera.