L'esemplare venne emesso il 29 maggio in occasione di quello che sarebbe stato il 47° compleanno del Presidente.
Il bozzetto del designer Raymond Loewy fu personalmente approvato dalla vedova Jacqueline Kennedy.
1967. Serie ordinaria "americani celebri". Ritratto di John Fitzgerald Kennedy. L'esemplare venne emesso il 29 maggio in occasione di quello che sarebbe stato il 50° compleanno del Presidente. | 1986. Esposizione filatelica internazionale AMERIPEX '86, Chicago. Presidenti degli Stati Uniti d'America. Ritratto di John Fitzgerald Kennedy e sua firma. Francobollo facente parte di una serie di 4 foglietti contenente ciascuno 9 esemplari. |
Il Presidente statunitense venne ucciso a Dallas il 22 novembre 1963, mentre era in visita ufficiale alla città. Lee Harvey Oswald fu accusato dell'omicidio e fu a sua volta ucciso, due giorni dopo, da Jack Ruby, prima che potesse essere processato. Le due inchieste ufficiali che ne seguirono, quella della Commissione Warren e quella dell'United States House Select Committee on Assassinations, giunsero alla stessa conclusione: Oswald aveva ucciso Kennedy da solo (per compiere un gesto importante e "rivoluzionario" che lo avrebbe reso famoso e avrebbe riscattato la sua vita), e poi era stato ucciso a sua volta da Ruby che intendeva vendicare Kennedy sull'onda dell'emozione, e che era riuscito a sparare a causa dell'insufficiente sorveglianza nella stazione di polizia di Dallas. L'HSCA ammise comunque la possibilità che più persone avessero partecipato al delitto. In origine tutti i documenti relativi all'assassinio avrebbero dovuto restare secretati per settantacinque anni (fino al 2039), ma nel corso del tempo due nuove leggi, il Freedom of information Act del 1966 e il JFK Records Act del 1992, hanno permesso di pubblicare gran parte della documentazione. Gli ultimi documenti ancora segreti verranno pubblicati al più tardi nell'ottobre del 2017.
Per ricordare la grande figura storica di JFK abbiamo scelto i tre francobolli che le poste statunitensi gli dedicarono tra il 1964 e il 1986. Di ogni emissione abbiamo pubblicato sopra le relative immagini corredate di didascalia.
Ciò che accadde il 22 novembre 1963 a Dallas è impresso indelebilmente nella memoria dell’America. Eppure stando ai sondaggi (l’ultimo è del 2004) solo il 26% degli statunitensi è pronto ad accettare le conclusioni ufficiali dell’inchiesta, e cioè che a uccidere il 35° presidente degli Stati Uniti, Iohn Fitzgerald Kennedy, sia stato un uomo solo: Lee Harvey Oswald. Per la stragrande maggioranza Jfk, come lo chiamavano amichevolmente, cadde vittima di un complotto. Ma che cosa c’è di vero su quelle voci? Le più recenti ricostruzioni permettono forse di dare una risposta.
INVIDIABILE. Quel giorno Kennedy era a Dallas (Texas) per una tappa del suo giro elettorale. Alle elezioni del 1964 il giovane presidente (46 anni) si sarebbe giocato il suo secondo mandato. Bello, ricco, elegante, colto (aveva vinto persino il premio Pulitzer), con una moglie affascinante come Jacqueline Lee Bouvier e due fratelli brillanti, Robert ed Edward, sembrava imbattibile. Ma non tutto era tranquillo come appariva.
C’era la Guerra fredda e nel 1961 Kennedy aveva dovuto far fronte allo scandalo seguito al fallito sbarco di esuli anticastristi a Cuba. Il presidente si era riscattato 1′anno seguente, quando aerei spia americani avevano scoperto basi missilistiche a Cuba, alleata dell’Unione Sovietica a un passo dagli Usa. Si sfiorò la Terza guerra mondiale, ma alla fine l’Urss di Krusciov fece marcia indietro e Kennedy ne uscì come un gigante della diplomazia.
Sul fronte interno, però, Jfk doveva fare i conti con un Congresso poco propenso ad appoggiarlo. Le ali conservatrici di repubblicani e democratici si erano alleate per bloccare la sua politica di riforme (la “nuova frontiera”). E tra gli Stati federali, il Texas (dove la segregazione razziale era ancora una realtà) era il più ostile al nuovo corso. Il giorno prima della visita a Dallas erano stati distribuiti volantini con il ritratto di Kennedy di fronte e di profilo, come sulle foto segnaletiche, e con la scritta “Ricercato per tradimento”.
E VENNE IL GIORNO. La mattina del 22 novembre era spuntato il sole e si era deciso di lasciare aperta la Lincoln decapottabile presidenziale blu, dove sedevano anche il governatore del Texas John Connally con la moglie Sharon. Il corteo di auto, motociclette della polizia, giornalisti e autorità procedeva lento, a 25 km/h. Per due volte Kennedy chiese di fermarsi per stringere le mani di alcuni bambini e di un gruppo di suore. A un certo punto del percorso, in Dealey plaza, la limousine rallentò passando davanti a un massiccio palazzo di sette piani in mattoni rossi, che ospitava il deposito dei libri scolastici della municipalità, per affrontare la curva stretta verso Elm street. L’orologio luminoso in cima all’edificio segnava le 12:29. Sharon Connally, moglie del governatore, si voltò verso Kennedy e disse: “Signor presidente, nessuno potrà dire ora che Dallas non la ama“. “No davvero” rispose lui. Saranno le sue ultime parole.
Un rumore secco. Lì per lì si pensa a un petardo o al motore difettoso di un’automobile. Quando subito dopo arriva un secondo colpo molti si rendono conto che si tratta di spari. Le mani del presidente vanno alla gola. Connally sobbalza sul sedile e scivola tra le braccia della moglie con la camicia sporca di sangue. “Dio mio” grida “qui ci ammazzano tutti!”.
Gli agenti del servizio segreto reagiscono con lentezza, alcuni si voltano verso quella che sembra la fonte degli spari: il deposito di libri. L’autista, invece di accelerare, istintivamente rallenta fino quasi a fermarsi e si volta per vedere cosa accade. Jacqueline guarda con aria sorpresa il marito. Un terzo sparo fa esplodere la testa del presidente, lanciando in aria sangue e materia cerebrale. Jacqueline grida e fugge sul baule dell’auto. Un agente del seguito fa appena in tempo a saltare sull’auto e rimetterla sul sedile. La limousine finalmente accelera recandosi al Parkland memorial hospital, dove, mezz’ora dopo, Kennedy morirà. Nel giro di un’ora il feretro è in volo per Washington sull’Air force One, a bordo del quale il vicepresidente Lyndon Johnson, anche lui a Dallas, giura come nuovo presidente.
PRESO. A Dealey plaza intanto è il caos. Chi si butta a terra, chi corre urlando, chi scatta fotografie. Nonostante la forma a catino della piazza provochi echi ingannevoli, il punto d’origine degli spari viene subito individuato. La polizia entra nel deposito dei libri, un agente ferma sulle scale un giovanotto che si muove rapido, ma il direttore dell’ufficio lo riconosce. “Lo conosco, è un nostro impiegato” dice. Si chiama Lee Harvey Oswald e da poco lavora lì. Il poliziotto lo lascia passare.
Al sesto piano c’è il “nido del cecchino”: una finestra con un fucile di precisione abbandonato, un Mannlicher-Carcano italiano. Alle 12:45 l’edificio viene perquisito e i dipendenti radunati in una stanza. Manca solo Oswald. Mezz’ora più tardi, dopo una rapida caccia all’uomo, il presunto cecchino viene arrestato nel cinema dove si era nascosto.
Oswald si dichiara subito innocente, appare quasi divertito e un po’ sprezzante. Dopo due giorni di interrogatori si decide di trasferirlo nel carcere della contea, ritenuto più sicuro. Alle 11:21 del 24 novembre, davanti a poliziotti, giornalisti e curiosi, Oswald arriva scortato nel sotterraneo della centrale di polizia. In pochi secondi un uomo, un certo Jack Ruby, gli spara allo stomaco, gridando: “Hai ucciso il mio presidente, topo di fogna!“. Oswald muore poco dopo al Parkland hospital, lo stesso dove era spirato Kennedy.
COMPLOTTO? Questo finale a sorpresa fu la scintilla che fece scattare le ipotesi di una cospirazione per assassinare il presidente. Oswald, semplice pedina, sarebbe stato ucciso da Ruby per impedirgli di parlare. Per fare chiarezza, il neopresidente Johnson nominò una commissione d’inchiesta presieduta dal capo della Corte suprema, Earl Warren. La commissione Warren lavorerà un anno, raccogliendo 25 mila interviste e 2.300 rapporti, e nei 26 volumi del documento finale giungerà a una conclusione: Oswald ha ucciso il presidente e lo ha fatto da solo, sparando tre colpi in rapida successione dal sesto piano del deposito di libri con un fucile acquistato per corrispondenza sotto falso nome. E Jack Ruby? Un altro solitario malato di protagonismo.
La conclusione non convinse i complottisti di allora. E innegabilmente presenta incongruenze e lacune forse frutto della fretta di fare chiarezza e del desiderio di evitare una figuraccia ai servizi segreti che si erano lasciati freddare Kennedy sotto il naso. Eppure, dopo quasi cinquant’anni, tutte le verifiche fatte in seguito e la recente pubblicazione di documenti desecretati hanno rinforzato questa ricostruzione, rispondendo ad alcuni degli interrogativi sollevati dai complottisti.
FOTOGRAMMI. A rinforzare la tesi della cospirazione contribuì nel 1975 la diffusione al pubblico di un filmato muto in 8 mm girato da Abraham Zapruder, sarto e cineamatore, che documentò per caso la sequenza dell’omicidio.
Nel filmato, che fu il perno di tutte le indagini sul caso Kennedy, si vede la testa del presidente prima chinarsi in avanti, coerentemente con uno sparo dal deposito di libri, e poi rimbalzare all’indietro, inducendo molti a pensare che qualcun altro avesse sparato dal davanti o di fianco. In realtà quel movimento – è stato dimostrato – poteva essere provocato anche da uno sparo alle spalle. Il premio Nobel Luis W. Alvarez, nel 1976, lo descrisse come un “effetto jet”, confermato in seguito da esperimenti balistici: la rapida fuoriuscita della massa cerebrale avrebbe spinto indietro la testa.
C’è poi la questione dell’abilità di Oswald come tiratore. I complottisti citano un esperimento del 2007: per sparare tre colpi con un Mannlicher-Carcano, che va ricaricato a ogni colpo, sarebbero necessari 19 secondi contro i circa 7 impiegati da Oswald. Ma negli Anni ’60 i tiratori dell’Fbi avevano già dimostrato che si potevano sparare tre colpi in 5-6 secondi (e una simulazione del 1977 mostrò addirittura che ne bastavano 3,3 se il primo proiettile era in canna). Oswald, comunque, mentre era nei marines si era qualificato al secondo posto fra i tiratori del suo reparto.
PROIETTILI MAGICI. Infine, la questione chiave: poteva, come sostenne la commissione Warren, un solo proiettile (il secondo, visto che il primo andò a vuoto e fu ritrovato su un marciapiede) produrre tutte le ferite riscontrate su Kennedy e Connally? Secondo i cospirazionisti no. E questo anche se si ipotizza che sia stato il terzo colpo a far esplodere la testa di Kennedy e poi colpire Connally. Il film di Oliver Stone Jfk, ispirato all’indagine del procuratore Jim Garrison che nel 1967 riaprì il caso tentando di dimostrare la cospirazione, chiama questa ricostruzione “teoria del proiettile magico”: una “magia”, secondo Garrison e Stone, spiegabile solo con la presenza di altri cecchini, indizio di complotto. Nel film Kennedy e Connally sono mostrati seduti sullo stesso livello, con il governatore che dà la schiena al presidente. Ma nella realtà, come dimostra il filmato di Zapruder, Connally era girato di tre quarti all’indietro. E nel 2003 la rete televisiva americana Abc ha reso pubblica una ricostruzione tridimensionale, frutto di 10 anni di lavoro, dell’esperto di balistica Dale Myers (il filmato è sul sito www.jfkfiles.com).
Basandosi su un’analisi fotogramma per fotogramma del filmato di Zapruder e calcolando le dimensioni della Dealey plaza, Myers ha ricostruito una visione a 360 gradi della scena dell’assassinio. L’analisi (che naturalmente i complottisti contestano) conferma che i colpi potevano provenire solo dal sesto piano del deposito di libri e che le ferite e i movimenti dei corpi di Kennedy e Connally potevano essere stati causati da uno stesso proiettile.
ULTIME PROVE. Un altro esperimento è stato condotto nel 2004: stesso fucile, stessa posizione del cecchino, stessa distanza dal bersaglio e due sagome di gel balistico, riempiti con materiale simile a ossa umane e disposti con la stessa angolazione del 1963. Ebbene, un proiettile calibro 6,5 identico a quello usato da Oswald ha provocato nelle sagome effetti paragonabili a quelli dell’attentato. Un test sorprendente, che ha confermato la plausibilità dell’unico proiettile.
Pietra tombale quindi sull’ipotesi complotto? Per niente. Siccome è vero che la morte d Kennedy fece comodo a molti, continuano a trovare sostenitori le teorie apparentemente più plausibili. Del resto quando muore un eroe, i suoi fan rimasti orfani non vogliono credere che a ucciderlo sia stato un uomo solo, un uomo qualunque.
Quello che avete appena letto è l’interessante articolo di Massimo Polidoro sull’assassinio diJohn Fitzgerald Kennedy e sulle teorie complottiste ad esso collegate. Se volete approfondire la vicenda che ancora oggi divide l’opinione pubblica ed è piena di lati oscuri potete farlo sfogliando le pagine 52-59 del n. 52 di Focus Storia nella biblioteca dell’Antica Frontiera.