Già presidente della Fuci, membro democristiano dell'Assemblea costituente nel 1946, divenne segretario della Dc nel 1959 promuovendo la nascita dei primi governi organici di centrosinistra (1963-1968) di cui fu presidente. Negli anni settanta teorizzò la strategia dell'attenzione nei confronti del Pci, per il passaggio a una terza fase della storia della repubblica che, dopo il centrismo e il centrosinistra, consentisse una reale alternanza di forze diverse al governo, rispondendo così alla proposta di compromesso storico di E. Berlinguer. Fu però rapito dalle Brigate rosse il 16 marzo del 1978 e ucciso il 9 maggio.
Per ricordare il grande statista democristiano abbiamo scelto il francobollo da 0,62 euro che le poste italiane gli dedicarono il 9 maggio 2003 in occasione del 25° anniversario della sua uccisione.
Moro, cui i sequestratori avevano annunciato che la sua condanna a morte era stata pronunciata, e che in mancanza di riscontri sarebbe stata eseguita, disconosceva la sua appartenenza al Partito di cui era presidente: “Non mi resta che constatare la mia completa incompatibilità con il Partito della Democrazia cristiana. Chiedo al Presidente della Camera di trasferirmi dal gruppo della Dc al gruppo misto”.
Il calvario stava per concludersi con il sacrificio. Il 9 maggio, mentre la direzione della Dc era riunita e Fanfani si apprestava a prendere la parola, il professor Franco Tritto, collaboratore di Moro e frequentatore della famiglia, ricevette una telefonata di cui esiste la registrazione. “Adempiamo alle ultime volontà del Presidente comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’on. Aldo Moro. Mi sente?” “Che devo fare? Se può ripetere.” “Non posso ripetere, guardi. Allora, lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’on. Aldo Moro in via Caetani. Lì c’è una Renault 4 rossa. Il primo numero di targa è il 5.” Via Caetani si trova a brevissima distanza da piazza del Gesù e dalle Botteghe Oscure. Un’ennesima sfida e un ennesimo sberleffo brigatista alle forze dell’ordine che pattugliavano freneticamente Roma. Il cadavere giaceva nel bagagliaio della vettura. Fu accertato dai medici legali che l’uccisione era avvenuta la mattina stessa di quel 9 maggio. Cossiga si dimise da ministro dell’Interno, la famiglia Moro ripudiò ogni celebrazione ufficiale.
Se il mondo politico italiano s’era diviso tra fermezza e trattativa, anche al vertice delle Brigate rosse la tesi umanitaria (liberazione di Moro) e la tesi sanguinaria (condanna a morte) erano state dibattute. L’ha ammesso Mario Moretti, che di Moro fu l’inquisitore durante il lungo sequestro. Mario Moretti ha detto: “Credo che non ci fu mai scelta più dura nelle Brigate rosse, ma non ce ne fu nemmeno un’altra credo così quasi unanime. C’erano dei compagni che non erano d’accordo, ma non si può parlare neanche di maggioranza o minoranza perché praticamente quasi l’intera organizzazione si pronunciò a quel modo perché, politicamente, era una scelta che a quel punto diventava obbligata”. Valerio Morucci e Adriana Faranda erano contro l’assassinio, e lo ripeterono a Moretti ancora il 3 maggio. Ma non convinsero i “compagni”.
Così fu decisa la morte. La mattina del giorno fatale Prospero Gallinari e Anna Laura Braghetti svegliarono Moro e gli annunciarono che sarebbe stato liberato, inducendolo a distendersi nel bagagliaio della Renault. Lo fulminò invece la raffica d’una mitraglietta cecoslovacca Skorpion.
Se volete approfondire l’episodio più drammatico degli anni di piombo potete farlo sfogliando il libro di Indro Montanelli e Mario Cervi – Storia d’Italia – L’Italia del Novecento nella biblioteca dell’Antica Frontiera.